100 giorni da reclusi

6 Giugno 2010

la foto da http://www.isoladeicassintegrati.com/?page_id=123

da http://www.isoladeicassintegrati.com/?page_id=123

Loris Campetti*

La prova dei cento giorni l’hanno superata con punteggio pieno, meglio di qualsiasi governo di destra o di sinistra. Loro governano una lotta difficile, la lotta per il lavoro. Lo fanno dentro un carcere in cui hanno scelto di autorecludersi, carcere di Cala d’Oliva, isola dell’Asinara. Perché privarsi della libertà per far valere i propri diritti? «Perché non c’è libertà senza lavoro», risponde convinto Pietro, il «tiranno dell’isola», come lo apostrofano per sfotterlo. Quando aveva raggiunto i 35 anni di anzianità gli avevano detto che era troppo giovane per andare in pensione, che doveva lavorare ancora. Lui ha detto ok, lavoro, «adesso che voglio obbedire a quell’ordine mi dicono che no, non posso più lavorare perché l’Eni vuole chiudere l’impianto chimico di Porto Torres e il governo se ne fotte se così si scrive la parola fine sulla chimica italiana».
Cento giorni di occupazione dell’isola, e altri loro compagni sono rimasti sulla terra ferma a occupare la Torre aragonese di Porto Torres. Ieri si festeggiavano i cento giorni di resistenza operaia, e quel po’ di solidarietà che Pietro Marongiu e i suoi amici sono riusciti a costruire, un po’ nel mondo virtuale e un po’ nella materialissima realtà quotidiana fatta di lotte e fatica, di determinazione ostinata contro la filosofia del falso profitto che decide che la plastica necessaria a vivere va comprata all’estero.
Hanno bucato il video, gli operai della Vynils, sono diventati volti noti in televisione, hanno costruito intorno a sé una rete di simpatia accusando padroni e politica di ogni colore. Ma sono ancora qui. Perché l’Eni è sorda, il governo è muto, la politica chissà dov’è e il possibile acquirente arabo se n’é scappato a gambe levate non avendo ottenuto le agevolazioni che chiedeva. L’inverno è stato lungo e freddo nell’isola, solo ieri ha fatto capolino un sole caldo che lascia sperare in una stagione più generosa con chi vive in cella da 100 giorni. Celle ristrutturate, certo, imbiancate, ma pur sempre celle dalle cui finestre, e non da tutte, si vede un mare turchese che riempie il cuore e lo gonfia di amarezza.
Ieri era festa al carcere. Sono arrivate mogli e fidanzate dei galeotti in tuta operaia, qualcuno con la t-shirt del movimento che reca il simbolo dell’isola dei famosi, quella della Ventura che va a ballare al Billionaire, su cui però sta scritto «Isola dei cassintegrati» e sotto, «Chi lotta può perdere/ chi non lotta ha già perso». Il pranzo degli operai è sobrio come può esserlo un pranzo dei lavoratori sardi: gnocchetti con sugo di salciccia, seguito da salame, pecorino e verdure, un mirto fresco per digerire tutto. Il pesce è a due passi, nel mare turchese, ma qui siamo in un parco naturale che ha preso il posto di antichi carceri, sanatori e sofferenze di ogni tipo e il pesce non si tocca, le tartarughe si salvano e al massimo si fotografano. Come i 130 asini bianchi dagli occhi azzurri che sbarrano la strada alle gip dell’Ente parco, o gli 800 mufloni, o i cinghiali, le capre e le pernici. Al manipolo di turisti sbarcati nell’isola sembra di trovarsi in paradiso, che ne sanno loro dell’inferno dei detenuti, di ieri e di oggi. Sembrano asini anche loro, ma in mezzo ai suoni.
A Pietro vengono i lucciconi quando racconta le condizioni in cui è ridotto il suo stabilimento, con «il guano di colonie di piccioni che oramai la fanno da padroni». Per lui è «un’umiliazione, credimi». Come gli operai di una volta pensa, e con lui i suoi compagni, che difendendo il suo lavoro difende la dignità e il lavoro di tanti altri. Se dice che l’unica lotta persa è quella che non si è combattuta, però, non è che pensi di stare in questo inferno-paradiso per dare una testimonianza, lui la lotta vuole vincerla e i sardi, si sa, sono cocciuti e determinati anche quando scelgono di fare una lotta non violenta. E non vorrebbero cambiarla, questa forma di lotta, non vorrebbero esservi costretti.
Adesso ci si mette anche l’Ente parco a infilare i bastoni tra le ruote dei cassintegrati della Vinyls. Non vogliono autorizzarli a portare un furgone sull’isola, piccola ma lunga, dove tutto va portato dall’isola più grande – la Sardegna. Di un furgone hanno bisogno: «Quelli lassù pensano di prenderci per fame o nostalgia, o solitudine. Dicono che non resisteremo altri 100 giorni da soli, senza mogli e fidanzatate e figli. Hanno ragione, e infatti mogli e fidanzate e figli ci raggiungeranno quassù a Cala d’Oliva. Perciò ci serve un furgone per i trasporti». Il piazzale del carcere, come le celle che per una notte ospiteranno anche il vostro cronista, è lindo. Non vola una cartaccia, non una cicca. C’è persino chi lava in mare le caprette, chi parla con gli asini e chi da uno scoglio invoca Manitù. Adesso non c’è più neanche il ministro Scajola a Roma che faceva promesse da mercante, ora l’obiettivo sta ancora più in alto e si chiama Berlusconi. Si aspetta che il presidente e ministro lanci un’asta internazionale per vendere quel che resta della chimica italiana. «Ma per vendere, prima bisogna far ripartire gli impianti», insiste Pietro, «sennò che gli offri ai potenziali compratori, un impianto arrugginito pieno di guano dei piccioni?».
La storia completa di questa lotta ve la racconteremo ancora un’altra volta, nei prossimi giorni. Vi parleremo di Pvc, Cvm e mansioni operaie. Non oggi però, oggi si festeggiano i 100 giorni con l’asino bianco, il muflone, la capra, il cinghiale e la pernice. Coccolati, non mangiati dagli operai che vorrebbero tornare a manipolare il veleno, e intanto salvaguardano con gentilezza l’isola dei sogni.

“Il Manifesto”, 05 giugno 2010

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