Rifiuti Porta a porta

16 Giugno 2008

Redazione

Nicola Culeddu, chimico è ricercatore presso l’Istituto di Chimica Biomolecolare del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Si occupa di sistemi analitici avanzati per la determinazione dei metaboliti in fluidi biologici,applicando queste tematiche anche alla ricerca di marcatori dell’impatto sulla popolazione di impianti industriali. Lo abbiamo incontrato nel corso di una serie di appuntamenti promossi a Sassari sul tema dello smaltimento dei rifiuti dal Circolo Progetto Progressista (il prossimo, venerdì 27 giugno, alle 18,30 presso la sede di via Principessa Jolanda n. 79, sarà un incontro-dibattito su “Il riciclo e lo smaltimento dei rifiuti e la valutazione ambientale strategica del Piano Regionale”). Lo abbiamo intervistato su rifiuti, inceneritori, sperimentazioni alternative.

La questione della Campania rende meno visibile la realtà sarda. Ma da essa vorremmo anche partire. Come va la raccolta differenziata in Sardegna?
Attualmente la Regione Sardegna si attesta su una quota attorno al 25% con realtà virtuose che hanno superato il 60% ed altre meno (Cagliari per esempio) che non superano il 10%. Ovviamente l’impatto sulle statistiche di una città con 150.000 abitanti mostra come sia nei grossi centri che lo sforzo per giungere ad un livello accettabile di raccolta differenziata deve essere incrementato. Sassari in particolare sta facendo uno sforzo notevole per superare la soglia del 30%, soprattutto con campagne di informazione, ma penso che l’unica via da perseguire sia la raccolta porta a porta.

L’assetto complessivo degli abitati sardi (per la maggior parte piccoli centri) non rende conveniente, secondo alcuni, la raccolta differenziata.
Falso, i dati puntuali presentati sul rapporto rifiuti 2007 mostrano come quando i piccoli centri effettuano la raccolta porta a porta raggiungono rapidamente elevate quote di differenziata

Gli inceneritori sono allo stato attuale la soluzione più ‘a portata di mano’ e risolutiva e, se sì’, esistono in ogni caso soluzioni alternative? Cosa dice la ricerca a questo proposito?
Se diamo un sguardo al rapporto APAT 2007 scopriamo che il numero di impianti di Trattamento Meccanico Biologico sono in ascesa, mentre rimangono stabili gli inceneritori, inoltre gli inceneritori non sono ‘a portata di mano’ infatti, vedi il caso di Acerra, i tempi di costruzione sono dell’ordine di tre-cinque anni contro 1 anno per un TMB e i costi di costruzione sono tre volte quelli di altri sistemi. Senza contare i prezzo sociale dell’impatto ambientale di un impianto che emette inquinanti e produce polveri con elevato grado di pericolosità.

Esistono esempi di sperimentazione alternativa?
Non solo esistono nuove tecnologie in avanzato stato di sperimentazione, ma ormai sono commercializzati sistemi come l’autoclave, che permette una sterilizzazione dei rifiuti ed un loro trattamento successivo, e i P2P sistemi di recupero del petrolio dalle plastiche. Esistono poi sistemi di eliminazione dei residui del trattamento del rifiuto che permettono un minore impatto ambientale, per esempio le “torce al plasma” che ci permettono di rendere assolutamente inerti anche residui più pericolosi: il sistema al plasma sarebbe davvero la soluzione anche per la bonifica dei terreni inquinati.
Inoltre vorrei segnalare il bellissimo progetto che sta nascendo in Anglona dove si punta ad un recupero totale dei rifiuti, in particolare la plastica verrà trasformata in una “sabbia sintetica” utilissima per i manufatti edili e poi, seguendo questa via, diminuiremo anche lo sfruttamento del territorio.

Vi sono pareri assai contrastanti attorno all’impatto degli inceneritori impatto sulla salute. Cosa ne pensi?
Nei casi in cui si cerchi la risposta a domande che coinvolgono attività scientifiche altrui, sicuramente una ricerca su MEDLINE, la più grande banca dati sulle pubblicazioni scientifiche del mondo, ci aiuta a capire quale è l’opinione della comunità scientifica. In questo caso la stragrande maggioranza dei lavori pubblicati da indicazioni di alcune pericolosità correlate alla presenza di inceneritori, purtroppo invece di presentare una raccolta dei risultati e farne una sintesi (in gergo si dice “fare review”) di questi tempi vanno di moda i testimonial, persone che, dall’alto di una carriera scientifica spesso svolta in campi lontani o quantomeno non specifici, emettono sentenze di assoluzione sulla base di chissà quali dati. La mia opinione personale che mi sono fatta leggendo centinaia di articoli sull’impatto delle attività di incenerimento dei materiali post consumo (descrivendo così i rifiuti ci allontaniamo dall’idea che siano qualcosa da non riconoscere come nostri) e che ci siano evidenze importanti che l’incenerimento abbia un impatto sanitario sulla popolazione circostante.

Si dice che riempirsi i polmoni di fumo con sigarette o i fumi del traffico urbano sia più pericoloso dei fumi degli inceneritori.
Domanda giusta ma posta in maniera scorretta, il problema non è se sia più pericoloso fumare o respirare nelle prossimità di un inceneritore, il problema dovrebbe essere posto correttamente chiedendosi se un fumatore abituale ha più o meno possibilità di ammalarsi in prossimità degli inceneritori. Lo stesso vale per il confronto tra traffico ed emissioni degli inceneritori: è come voler confrontare le mele con le galline….

Ruotano interessi significativi attorno agli inceneritori, in grado di orientare le scelte della politica?
Direi di si, certi movimenti di acquisizioni e vendite di organi di informazione, così come gli appoggi delle organizzazioni industriali verso scelte lontane dal rispetto ambientale sono indicativi dell’attenzione che certo mondo imprenditoriale dirige verso tutte quelle attività dove circolano enormi quote di finanziamenti pubblici.

Cosa ne pensi dell’idea di piazzare l’inceneritore ‘espulso’ dalla piana di Ottana a Porto Torres?
Nello spirito di una gestione “in loco” dei materiali da posto consumo, possiamo ipotizzare nel bacino circostante, a regime una quantità di indifferenziato dalla RD dell’ordine delle 60.000 ton/anno, questa quantità non è assolutamente sufficiente per giustificare un impianto di incenerimento, senza contare tutte le alternative di trattamento citate sopra. L’utilizzo di CDR in uno dei gruppi di Fiume Santo implica un investimento notevole da parte del futuro proprietario (EON – A2A) il quale dopo si troverà davanti ad una scelta tra bruciare carbone e pagarlo oppure bruciare rifiuti (o CDR) e venir pagato: che scelta farebbe un buon imprenditore??

Greenpeace, in un dossier da noi pubblicato, sostiene che miglioramento ed aumento della raccolta differenziata rende tendenzialmente meno utili gli inceneritori. E’ vero?
Certo, una buona pratica di riciclo dei materiali da post consumo induce una serie di effetti benefici: diminuiscono le quantità perché le persone stanno più attente agli imballaggi; il recupero della frazione organica rende più trattabili gli altri rifiuti, ricordiamoci che la frazione organica è quella che sporca e produce il percolato; aumenta la quantità relativa di materiale post consumo inerte; diminuisce la quantità di carta e plastica nell’indifferenziato. Questi effetti diminuiscono il potere calorico dell’indifferenziato riducendone l’interesse come “carburante” per gli impianti.

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