Notti padane. La cravatta

16 Novembre 2011

Valeria Piasentà

Forse, mentre leggete queste note, il governo è già caduto. Ma non importa la scadenza: i politici di professione sono sempre in campagna elettorale, e da mo’ hanno riallestito i loro armadi e rinverdito la loro icona per l’occasione, genialmente assistiti dagli indispensabili consulenti d’immagine. Perché la grande kermesse – termine che unisce chiesa a messa, traslato dalla storia del teatro medioevale francese – delle elezioni si avvicina, oltre le promesse salvifiche di un qualsiasi governo tecnico.

Quanto sono lontani i tempi in cui i primi rappresentanti del PCI entravano in parlamento indossando rigidi abiti in grisaglia per rispetto dell’istituzione; ma anche le intemperanze del leghista Speroni che, obbligato all’uso della cravatta in Senato, si presentava con i lacci in cuoio e turchesi dei Navajo. Oggi la politica postmoderna della seconda Repubblica ha mediato gran parte del suo linguaggio dalla pubblicità, in questo clima ideologico i pubblicitari assumono sempre più potere, come attesta la nomina governativa di un pubblicitario alla Biennale di Venezia. Così la comunicazione politica utilizza a man bassa il simbolico e l’immaginario del gruppo sociale per inviare messaggi subliminali. E ricordiamoci che l’immagine, al contrario della parola, si radica nell’inconscio senza passare il vaglio critico del logos e della ratio (paiono immuni solo gli studiosi di storia dell’arte: perciò il ministro Gelmini tenta di sopprimerne l’insegnamento?)

Domenica 6 novembre, il ministro Maroni si presenta a ‘Che tempo che fa’ in giacca blu e cravatta verde ‘pino’, per intenderci: il tono di verde della bandiera italiana. Non nel solito ‘verde-lega’, il ‘verde celtico’ o ‘verde padano’ tono di verde brillante anche detto ‘verde elettrico’, e il conduttore Fazio lo nota. E dire che proprio la Lega, nel contesto ideologico della politica come merce, ha fatto della cravatta verde-lega un simbolo identitario al pari del sole delle alpi e dell’alberto da giussano a spadone sguainato, producendo in Cina e vendendo (vendita camuffata da richiesta di sovvenzione) il kit di cravatta e pochette al prezzo di 30 euro più spese di spedizione. La domanda è: perché Maroni da qualche mese si presenta in pubblico con una cravatta non politicamente omologata?

Chiediamoci anche: a che serve una cravatta? a nulla, e a differenza di altri accessori come le scarpe o il cappello, la cravatta è soltanto un residuo culturale, un oggetto comunicante. La cravatta è accessorio maschile per antonomasia posizionato come un cappio vicino a bocca e occhi tanto da confondersi con l’espressione facciale, è usato per trasgredire come per dichiarare la propria aderenza a un’idea o a un gruppo, un clan o una università. Ricordiamo il bellissimo articolo Come si veste un architetto, scritto da Adolf Loos nella Vienna fra Otto e Novecento, e come da allora il papillon sia diventato un elemento distintivo della professione, lo attestano i ritratti degli architetti del Movimento Moderno primi fra tutti quelli di Gropius. E già, la cravatta per un uomo – ma anche per una donna che volendo trasgredire la adotta, come la Dietrich – non è solo un accessorio. La cravatta, per un uomo, è un manifesto d’intenti.

La vicenda della cravatta di Maroni somiglia a quella delle mises eccentriche che un noto stilista anglo-milanese cura per accreditare un’immagine giovanilistica al buon vecchio politico ciellino Formigoni, cui urge riciclarsi allo scadere dei tre mandati in Regione Lombardia. La cravatta verde-bandiera italiana di Maroni ricorda anche la storia della cravatta rosa di Fini che un giorno di qualche anno fa, subito dopo aver fondato con Berlusconi il Pdl, si è presentato a una occasione istituzionale con una sorprendente cravatta rosa confetto.
Chi si occupa di comunicazione visiva ha sobbalzato credendo di essere diventato d’un tratto daltonico. Perché gli uomini in generale, escludendo le sole categorie dei creativi di professione e di chi adotta scelte sessuali alternative, di regola non vestono colori eccentrici come il rosa confetto.
Al massimo possiedono qualche camicia rosa residuo degli anni ’80 nascosta nei recessi dell’armadio, raramente un gilet per le occasioni sportive che il rosa fa la sua bella figura sotto certe giacche ruvide color tortora da domenica in campagna. Il rosa confetto è il colore delle femminucce, l’esatto contrario del maschio azzurro baby. Un tempo i bambini seduti nei banchi di scuola si distinguevano anche dal colore del fiocco al collo, e tuttora sappiamo chi è nato vedendo un fiocco rosa o azzurro sulla porta del vicino.
Considerando che, negli stessi giorni, il partito di cui Fini è cofondatore aveva adottato una bella cravatta distintiva azzurro baby; inoltre, che il rosa confetto è il colore meno adatto al carattere e alla storia politica del personaggio; ecco la domanda che gli analisti politici avrebbero dovuto porsi allora: perché Fini inalbera una cravatta rosa confetto? Si sarebbero risparmiati tante fatiche interpretative in quanto, molto prima dei proclami e delle azioni, cosa volesse fare Fini era già tutto contenuto nella rivoluzionaria cravatta poi diventata cifra distintiva e simbolo di strappo dal padre-padrone. A conferma postuma la foto istituzionale che nel 2010 ritrae la fondazione di Fli, dove il vice-presidente Bocchino sfoggia una bella cravatta rosa confetto. In questo caso però l’uso di quella cravatta rappresenta non un moto rivoluzionario ma l’adesione agli ideali del neo-leader Fini: sovrapponendo la sua immagine in cravatta rosa a quella di Fini, Bocchino trasla per magia simpatica il coraggio della trasgressione da un’icona (Fini, presidente autosospeso) a un’altra (Bocchino, presidente di fatto).

In conclusione: consideriamo con attenzione il messaggio di Maroni e/o del suo personale consulente d’immagine, contenuto in una bella cravatta verde-bandiera italiana. Il messaggio del corpo ci dice che oggi Maroni si vuol far accreditare come uomo delle istituzioni a tutti gli effetti, andato ben oltre il partito governativo che lo esprime.
E la scelta di quella particolare cravatta lo rappresenta pubblicamente come un’altra e nuova persona, ridotta a un verde più spento (= più moderato) rispetto al politico interventista di un partito barricadero che solo qualche anno fa morse il polpaccio a un poliziotto, a un uomo delle istituzioni e del controllo sociale di cui oggi è il capo.

Forse la cultura non si mangia ma di certo è molto pericolosa perché fa pensare. Infatti, è ancora la finzione scenica e letteraria a offrirci le chiavi interpretative del reale. Forma e contenuto, l’oggetto e la sua rappresentazione che prende il sopravvento sul reale sono i temi de Il ritratto di Dorian Gray, e lì l’autore Oscar Wilde ci aiuta a comprendere anche il gioco comunicativo delle cravatte: «Con un abito da sera e una cravatta bianca, chiunque, anche un agente di cambio, può far credere di essere una persona civile».

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