Sos pacubenes

16 Marzo 2012

Graziano Pintori

Sos pacubenes dell’Africa e la nostra ortica L’intervento di Natalino Piras sul n° 117 – “Una bella irgontza” – ha posto al centro dell’attenzione un argomento molto importante, perché riferito a dei contesti sociologici verso i quali, dal mio modo di vedere e di vivere le interiorità, nutro un particolare interesse.  Esiste la vergogna di provenienza sociale, in cui certe categorie di persone tentano di indurre vergogna su altri per controllarne il loro comportamento, con lo scopo di farli sentire piccoli e timorosi davanti a chi esercita un certo potere. Per fortuna la vergogna non ha solo un aspetto negativo, con essa si possono stabilire dei limiti e acquisire consapevolezza della propria condizione, ovvero l’effetto contrario di chi vorrebbe sfruttare, in modo utilitaristico,  il senso di inferiorità che caratterizza il dominato nei confronti del dominante. Tale consapevolezza significa spezzare le catene strette dalla voce interiore della vergogna, la quale, molte volte, rende le persone estranee ed inconsapevoli rispetto alla realtà che le circonda, facendole sentire umiliate e sottomesse davanti agli altri. E perdere il senso di sé. Perciò, se definiamo vergogna quel turbamento interiore che ci fa abbassare la testa e lo sguardo davanti ad altri e, in certe situazioni, anche “davanti a se stessi”, escluderei dalla possibilità di vivere questa esperienza una larga fascia di cittadini che appartengono alla categoria dei ricchi. La ragione di questa esclusione sta nel fatto che molti ricchi non si sentirebbero tanto ricchi se tanti poveri non si sentissero tanto poveri e, molte volte, anche miserabili davanti a loro. Escluderei quei ricchi che intendono la cultura dei poveri quella che li adatta ad essere poveri, ad accettare l’oppressione di una società disuguale, una società che li umilia e li pone in una condizione di debolezza economica e culturale. In effetti accade, come  possiamo constatare, che molte persone  vivono la loro condizione di povertà alla maniera di un fallimento della propria vita, sentono dentro di loro il senso di vergogna che mascherano, quando riescono, con dignitosa riservatezza e silenzio. Altri sentono turbamento, vivono un senso di colpa quando ritirano la povera pensione perché pensano a“sos pacubenes” dell’Africa, i quali sopravvivono con due dollari al giorno. Pure possiamo constatare che una larga parte dei non abbienti tendono a considerare le disparità sociali ed economiche una fatalità, o un fatto proprio, anziché l’effetto di una società basata sulla disuguaglianza. Victor Hugo diceva: “…quanti uomini si somigliano all’ortica! Non ci sono erbe cattive né cattivi uomini, ci sono solo cattivi coltivatori”. Nel caso specifico i cattivi coltivatori sono coloro che producono disuguaglianze vivendo nella ricchezza, i quali non possono sentire quel tipo di “birgonza” che Natalino mette bene in evidenza nel suo intervento. Il Commissario Monti con Severino, Passera e via di seguito, sono accumulatori di ricchezza e, in nome della ricchezza, fanno accumulare ulteriore ricchezza a chi già la possiede. Come tali nessun turbamento etico può ferire la loro anima. Il loro cuore di ricchi. Altrimenti come potrebbero aggredire le pensioni, la cassa integrazione, i salari? Natalino accenna alla resipiscenza, quella che porta ad una visione più etica delle azioni da compiere, ovvero al ravvedimento consapevole dei propri errori. Ma i ricchi, di cui stiamo parlando, oltre l’imperturbabile eleganza esteriore, possiedono il senso morale della compostezza? Per esempio parliamo di un altro Mario, il “Supermario” della Banca Europea, quel Draghi favorevole ad elargire 1018 miliardi di euro alle banche europee,  affinchè riposizionino le proprie finanze secondo le esigenze del capitalismo globale. E, di seguito, potranno vendere parte di quel denaro, ottenuto con il tasso dell’1%, all’artigiano, al piccolo imprenditore, alle famiglie ad un costo superiore anche di dieci volte, come i peggiori strozzini. Veri usurai di Stato. Può questa delinquenza finanziaria ravvedersi? Può appartenergli il senso della vergogna? Il turbamento, il ravvedimento, il rammarico? Penso proprio di no.

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