Esiti elettorali a più parti

16 Maggio 2012

Marco Ligas

Non credo che il voto elettorale del 6 e 7 maggio possa considerarsi lusinghiero sebbene abbia confermato una previsione della vigilia, quella relativa al ridimensionamento dei partiti del centro destra. Preoccupa piuttosto il distacco crescente tra elettori ed eletti: si tratta di un segnale pericoloso che sottolinea quanto sia grave la crisi della rappresentanza e quanto possa indebolirsi ulteriormente la democrazia.
Né può rassicurarci che la crescita dell’astensionismo non sia solo un fenomeno italiano. Negli stessi giorni in cui si è votato in Italia, si sono svolte consultazioni anche in altri paesi, e in Gran Bretagna e in Grecia la percentuale dei votanti è stata ancora più bassa che da noi.
Tutta l’Europa soffre di questo malessere ma non possiamo accettarlo come un dato endemico e immodificabile delle democrazie occidentali. Quando questi processi si consolidano sono sempre portatori di limitazioni delle libertà e dei diritti dei cittadini, soprattutto di quelli che, sempre più frequentemente, si trovano ai margini della società. Certo, e questo è un dato apprezzabile da non sottovalutare, c’è stata anche una tenuta della sinistra soprattutto dove ha costruito candidature unitarie. Ma non dappertutto è successo questo. E quando la sinistra non riesce a rispondere alla domanda di un cambiamento che vada oltre l’accettazione della politica del rigore imposta dal governo Monti, allora è comprensibile che gli elettori indirizzino altrove le loro aspettative, accettando persino la demagogia delle proteste strillate o un populismo comunque ingannevole perché non alimenta alcuna forma di partecipazione ma, al contrario, tende a perpetuare i vecchi rapporti della politica fondata sulla delega e sull’individuazione/accettazione di un leader carismatico.
Anche per queste ragioni è sempre più urgente avviare una svolta che metta fine alla crisi in cui ci troviamo. Non sono pochi coloro che, sia come singoli sia come gruppi organizzati, si impegnano perché cambino le prospettive del paese.
Naturalmente occorre più determinazione nell’individuazione degli obiettivi, è fondamentale la consapevolezza che nessuna politica neoliberista potrà farci uscire dalla crisi e che il rilancio delle iniziative sul lavoro dovrà essere il perno di qualsiasi politica innovativa.

Negli stessi giorni del 6 e 7 maggio si sono svolti in Sardegna 10 referendum definiti impudentemente ‘anti casta’ dalla stessa casta che li ha promossi. Il fatto che abbiano superato il quorum previsto non modifica la natura di questa iniziativa: un’operazione di trasformismo politico tesa a ridare credibilità a chi, dalle posizioni di governo, cerca di conquistarsi una legittimazione per prolungare la propria presenza nelle istituzioni dove ha sempre mal governato.
Non è casuale che nel corso della campagna referendaria non ci sia stato da parte dei promotori alcun coinvolgimento dei cittadini in appositi dibattiti allo scopo di fornire le informazioni essenziali su ciò che i referendum proponevano. Il messaggio più diffuso riguardava l’opportunità di ridurre le spese della politica. Che proposta originale! Chi mai oggi non è disposto a sottoscrivere questa esigenza dopo decenni di malversazioni architettate e realizzate da chi governa?
Chissà se il nostro presidente autodefinitosi babbeo vorrà dirci qualcosa di più sulle relazioni che ha intrapreso a suo tempo con alcuni galantuomini dell’imprenditoria nazionale.
C’è un solo aspetto positivo da salvaguardare in questa consultazione referendaria: riguarda la domanda dei cittadini tesa alla promozione di una politica pulita che escluda gli sprechi e faccia gli interessi di chi è senza lavoro. Ma questi obiettivi non possono essere realizzati da questi governanti, si raggiungono soltanto voltando pagina.

Nel corso di queste elezioni c’è stato un grave attentato contro l’amministratore delegato di Ansaldo Nucleare. Lo ha rivendicato la FAI, la federazione anarchica informale. Altri ne ha minacciato. Non ci stancheremo di ripetere che queste iniziative sono criminali, non hanno niente a che vedere con la cultura delle organizzazioni dei lavoratori. Dobbiamo perciò condannarle senza alcun equivoco, così come facciamo regolarmente. Contemporaneamente si stanno diffondendo preoccupazioni relative ad eventuali escalation della violenza. Si parla di possibili compromissioni delle organizzazioni NO TAV; da parte dei Ministri competenti(?) si ipotizzano interventi dell’esercito a tutela dell’ordine pubblico.
Ci chiediamo se queste notizie e queste anticipazioni siano equilibrate o se rappresentino esse stesse forme di terrorismo psicologico tese a scoraggiare la protesta sociale provocata dalle pessime politiche neoliberiste del governo.
Sappiamo che tra questi preavvisi e il coinvolgimento delle organizzazioni che lavorano per creare le strategie della violenza il rapporto è molto stretto. Perciò denunciamolo tempestivamente e contrastiamolo dando la massima informazione.

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