Cappellacci ambientalista

16 Luglio 2012

Giuseppe Masala

La Giunta Regionale si appresta a varare le nuove linee guida del Piano Paesaggistico Regionale approvato dalla precedente amministrazione Soru.
A quanto è dato sapere non ci si trova di fronte a meri aggiustamenti di dettaglio ma ad un vero e proprio cambio di paradigma e dunque ad un cambio complessivo di impostazione. Infatti se nell’impostazione della vecchia Giunta Soru le coste sono considerate “bene paesaggistico” nel loro complesso, nell’impostazione della Giunta Cappellacci si appresterebbero a diventare “sistema ambientale ad alta intensità di tutela”.
Non è una novità di poco conto: la nuova visione imporrebbe una valutazione del grado di tutela caso per caso e dunque avremmo una costa non protetta nella sua totalità ma tutelata a macchia di leopardo. Qui mi fermo rispettosamente, non essendo competente né in ambito giuridico né in materia di tutela di beni ambientali e culturali.

Ma qualcosa mi sento di dire sui risvolti economici della questione.

Appare del tutto evidente come alla radice di un simile provvedimento vi sia la convinzione che uno stimolo all’esangue mercato immobiliare sardo possa essere necessario alla sperata ripresa dell’economia regionale. Andando ad analizzare la ratio economica del provvedimento possiamo facilmente estrapolare come essa sia di natura squisitamente liberal-liberista o – se vogliamo – appartenente a quella che, nell’ambito delle dottrine economiche, viene definita sintesi neoliberista. Infatti, da un lato, vediamo che la misura è di natura legislativa e tendente ad eliminare quelli che proprio i liberisti chiamano “lacci e lacciuoli” che lo Stato pone a limite della libera intrapresa. Nel caso specifico si tratta di una misura che consenta agli imprenditori del settore delle costruzioni di aumentare la loro offerta (sia quantitativa che, soprattutto qualitativa) di appartamenti, alberghi e locali commerciali, consentendo di costruire in luoghi attualmente sotto stretta tutela.
Dall’altro lato e di conseguenza al primo punto, vi è la convinzione che un aumento dell’offerta di immobili generi in automatico una domanda aggiuntiva ed equivalente all’aumento dell’offerta. Siamo di fronte all’applicazione nel mercato immobiliare sardo della vecchia “legge degli sbocchi” di Jean-Baptiste Say. Legge economica che, inutile ricordarlo, appartiene a pieno titolo all’apparato delle dottrine neoliberiste che, secondo l’umile parere dello scrivente, sono causa se non della crisi, almeno dell’impossibilità ad uscirne.
Come si vede tutto si può dire della Giunta Cappellacci fuorché di non essere coerente con le ideologie di destra alle quali, legittimamente, in campagna elettorale ha dato rappresentanza. Anzi, bisogna dire che il Governatore è la voce (e il braccio) di quel Berlusconi che in campo nazionale ha fatto proprio lo slogan “Quand le bâtiment va, tout va!” ovvero la convinzione che bisogna deregolamentare il più possibile l’attività economica e favorire l’offerta.
Questo in particolare vale – secondo la visione di Berlusconi e quindi di Cappellacci – nel settore delle costruzioni, che è dunque considerato motore dell’attività economica in generale.
Ma seppur legittima, questa posizione può essere considerata al passo con i tempi?
Se andiamo a vedere il primo punto possiamo sicuramente dire che la deregulation del Piano Paesaggistico Regionale che mira ad aumentare le possibilità di costruzione in luoghi attualmente strettamente tutelati aumentando teoricamente la qualità dell’offerta nel mercato immobiliare, in realtà ottiene il risultato paradossale di depauperare proprio il valore aggiunto che i costruttori vorrebbero successivamente vendere: il paesaggio.
Giova inoltre ricordare che poi è tutta da verificare la correttezza di un provvedimento che andrebbe a privatizzare un bene comune come il paesaggio
tutelato anche dalla Costituzione (art. 9). Per quanto riguarda l’intenzione di stimolare l’economia agendo dal lato dell’offerta (legge di Say), mi pare del tutto evidente come questa visione non sia al passo con i tempi: in una realtà di profonda crisi come quella italiana (ma anche europea) dove vi è addirittura un attacco al welfare state ed al diritto al lavoro pare veramente difficile credere che vi possa essere – stimolando l’offerta – un aumento della domanda di immobili e quindi un aumento delle vendite. Credo che per chiarire la questione non sia neanche necessario entrare nel dibattito dottrinario tra economisti neoclassici da un lato e marxisti, neoricardiani e keynesiani dall’altro.
E’ sufficiente l’evidenza empirica: secondo i dati dell’Osservatorio sul credito al dettaglio di Assofin, CRIF e Prometeia la domanda di mutui immobiliari sono in flessione, a livello nazionale, del 47%.
Facile intuire da questo dato, che evidentemente una famiglia ben difficilmente si imbarca in un acquisto così impegnativo come quello di un immobile. quando è di fronte ad un attacco senza precedenti sia al lavoro (ormai si può essere licenziati da un giorno all’altro senza tanti complimenti) che ai diritti fondamentali come quello alla salute (la spending review taglierà altri settemila posti letto negli ospedali, spingendo le persone a rivolgersi sempre di più a strutture private a pagamento). Non pare insomma azzardato dire che vale l’esatto opposto di quanto affermato nello slogan berlusconiano: “Quand tout va, le bâtiment va!”; quando tutto va bene anche l’immobiliare va bene.

In definitiva il provvedimento della Giunta Regionale Sarda, dal punto di vista economico, rischia di essere un colossale buco nell’acqua utile solo ad aumentare lo stock di immobili invenduti e quindi aggravando la crisi del settore che si vorrebbe favorire.

PS Mi è parso inutile aggiungere – al fine di rafforzare la mia tesi – il caso della Spagna. Nazione che ha fatto, per anni, dell’attività edilizia il motore dello sviluppo della sua economia, ciò alla fine si è risolto nella completa catastrofe economica dell’intero settore. Con l’ulteriore ragguardevole risultato di aver trascinato nel baratro prima il sistema bancario, che all’edilizia aveva concesso credito, e poi l’intero bilancio dello Stato, che è stato dissanguato nella vana speranza di salvare le aziende di credito.

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