Il peggior murale di San Sperate

16 Luglio 2012

Manuela Scroccu

Hanno invaso San Sperate. E chi? Gli zingari. E chi lo dice? Un volantino, e anche il sindaco.
Le strade della ridente cittadina famosa, tra le altre cose, per i murales e per aver dato i natali a Pinuccio Sciola hanno visto la comparsa, nei giorni scorsi, di anonimi manifestini che avevano l’intento di “svegliare” la popolazione ignara dell’imminente pericolo. “Non lasciamo che il nostro paese diventi una discarica per colpa degli zingari”. “SVEGLIA!!!!! Sono arrivati a San Sperate oltre 400 Rom”. I rom in questione sarebbero quelli “sgomberati” dal Comune di Cagliari e insediati, notte tempo e con il favore delle tenebre –sembrerebbe di capire -, a San Sperate.
“Devono fare un recinto e li devono anche sorvegliare quelli lì”. Dove l’ho già sentita questa?
Non me ne vogliano gli amici di San Sperate. Sono molte le voci dei loro concittadini, illustri e non, che si sono alzate, prima incredule e poi giustamente indignate, per stigmatizzare quanto stava accadendo nella loro comunità. Ma le interviste rilasciate da alcuni cittadini del paese museo e mandate in onda dai tg regionali, così come alcuni commenti apparsi sulle pagine dei principali social network, sono un documento impressionante di quello che accade quando si scoperchiano gli angoli più bui e nascosti della cosiddetta società civile. Il neo sindaco Enrico Collu, lancia in resta, si è subito schierato affianco della popolazione spaventata: “Si sono create le premesse per una situazione di ordine pubblico che non posso controllare. La situazione che ci siamo trovati davanti è inaccettabile, e ora c’è troppa tensione per consentire l’integrazione”. E quindi, che fare? “Non ho ordinato nessuno sgombero, non ne ho l’autorità” (chè altrimenti…) “ho solo ascoltato le segnalazioni dei cittadini, e a mia volta ho chiesto una verifica delle condizioni igienico – sanitarie degli appartamenti dei rom”. E perché? Perché “si sa” che i rom vivono nella spazzatura?
Ai principali quotidiani sardi ha dichiarato furibondo “Mi chiedo come sia possibile apprendere dai propri concittadini che in paese si siano già trasferite, con l’avallo del Comune di Cagliari alcune famiglie Rom”. Già, com’è possibile? Chiamate il capo delle guardie! Chiudete le porte della città. Azzardo un’ipotesi, avranno fatto come tutti noi quando decidiamo di cambiare domicilio, o residenza. Non ci presentiamo certo a casa del sindaco ad avvisare, magari con un pacco di paste.
Ma vediamola in dettaglio questa situazione di ordine pubblico incontrollabile.
Tutto succede perché il Comune di Cagliari decide – a seguito del sequestro preventivo del Gip del Tribunale del capoluogo, chiesto dalla Procura che indaga in ordine a diversi reati di inquinamento ambientale – di chiudere il c.d. campo Rom della 554-viale Monastir: una vera e propria bomba ecologica e umanitaria che nessuno sembrava volersi prendere la briga di disinnescare.
Le 157 persone che vi abitavano (e non 400), di cui 93 minorenni, sono state trasferite e “dislocate” altrove, con l’aiuto delle istituzioni (Regione, Provincia e Comune) e della Caritas.
Il sindaco Zedda non ama utilizzare la parola “sgombero” e ha ragione. E’ una brutta parola che evoca un dato costante della storia del popolo Rom, costellata da riduzione in schiavitù e deportazione.
Tutti i paesi europei hanno adottato, nel corso della loro storia bandi di espulsione nei loro confronti, fino alla programmazione dello sterminio dei Rom, insieme a quello degli ebrei, durante il nazismo in Germania. Diciamo allora che le famiglie della comunità Rom che ancora avevano la residenza nel campo hanno “accettato di doverlo lasciare” accogliendo le soluzioni abitative proposte in via provvisoria, anche in alcuni paesi del circondario. L’unica cosa che hanno chiesto è di non essere sparpagliati e di poter vivere ancora tutti assieme. I capifamiglia, intervistati dagli organi d’informazione, hanno dichiarato che la soluzione migliore sarebbe un pezzo di terra dove allestire un campo attrezzato per vivere secondo la loro cultura e tradizione. Si tratta di adottare modelli che altrove stanno funzionando egregiamente. E per altrove mi riferisco a realtà come quella di San Nicolò Arcidano, per esempio, che sta vicino a Oristano e non in Svezia (per dirne una). Segno che si può operare nel rispetto delle normative europee che tutelano le minoranze etniche e garantire politiche adeguate che mirino all’inclusione sociale nel rispetto delle differenze. Il comune di Cagliari ha deciso di aprire un tavolo di concertazione tra le istituzioni coinvolte e i rappresentanti della comunità Rom. Sarebbe bello se la democrazia partecipata iniziasse proprio da qui. Una bella risposta a chi, invece, in questi giorni ha gridato all’invasione.
E torniamo a San Sperate, per l’appunto. La Caritas aiuta due nuclei familiari, una ventina di persone, ad affittare una casa di campagna nella periferia del paese. Si tratta della famiglia Halilovic, che sta in Sardegna da quarant’anni. Ovviamente, i più giovani sono tutti nati qua. Eccolo il terrore di San Sperate. Bastava leggere il giornale con attenzione, anche soltanto l’Unione Sarda, per capire che gli odiosi volantini erano assolutamente mistificatori. E invece, il Sindaco, un rappresentante delle istituzioni di questa Repubblica, ha preferito cavalcare l’onda e ha convocato urgentemente un consiglio comunale aperto alla cittadinanza, per discutere del pericolo “invasione”. Sto esagerando?
Proprio in questi giorni è apparsa sulle pagine dei giornali nazionali, senza tanta enfasi a dire il vero, una notizia che richiama un vergognoso episodio di due anni fa.
Napoli, dicembre 2010: ignoti appiccano il fuoco all’accampamento rom di via Gianturco. Potevano morire tra atroci sofferenze: uomini, donne e bambini. La cosa sconvolgente fu che gran parte del quartiere si schierò contro i rom che, da vittime, furono costrette – loro si, terrorizzate – a lasciare il campo. Oggi sappiamo cos’è successo: le indagini della procura di Napoli hanno portato all’arresto di 18 persone appartenenti al clan camorristico Casella-Circone. I reati? Associazione di tipo mafioso, tentato omicidio, estorsione e danneggiamento seguito da incendio, reati aggravati dal metodo mafioso e da finalità di odio razziale. Il movente? Alcuni genitori del quartiere, dopo avere fatto invano pressioni sul preside, si sono rivolti alla camorra per “cacciare” i rom dalla zona perché non volevano che i loro bambini frequentassero la stessa scuola dei figli.
Siamo lontani da San Sperate, dal paese dei murales. Ma basta un attimo, è sufficiente cedere per un momento alla logica del “noi non siamo razzisti ma loro se ne devono andare perché non li vogliamo”. Ed è subito pogrom.

2 Commenti a “Il peggior murale di San Sperate”

  1. Antonello Pabis scrive:

    Semplicemente, brava. Così è!

  2. Giuseppe Pau scrive:

    Brava, senza dubbio. Però “schierato affianco”…

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