Rom senza diritti

1 Agosto 2012
Maria Chiara Cugusi

Finalmente si parla di rom e ci sono anche loro. Un dibattito pubblico contro il razzismo e le discriminazioni, organizzato a Cagliari nell’ambito della rassegna ArtEco: sono loro i protagonisti, non più invisibili, ma desiderosi di scrivere la propria storia, impegnati a farsi conoscere realmente, cercando di superare stereotipi e diffidenze.
La riflessione sui loro diritti non può che partire dalle ultime vicende: l’ordinanza di sgombero del campo della 554 in seguito al sequestro dell’area da parte della Procura, il via libera a un progetto di inclusione ambizioso, conforme alle linee guida nazionali ed europee, ma che lascia ancora aperte tante incertezze per i 157 rom, tra cui 93 bambini. “Finora non hanno partecipato a nessun tavolo tecnico – ha ricordato Antonello Pabis, presidente dell’Asce (Associazione sarda contro l’emarginazione) durante il dibattito -: certo, sono stati ascoltati più di una volta, ma una cosa è ascoltare, un’altra è ragionare, studiare, trovare insieme una soluzione, seppur temporanea. Dopo anni di silenzio, oggi tutti sono mobilitati a dire la loro, ad applicare le proprie certezze e presunzioni, continuando a considerare i rom non alla pari, ma come oggetto di studio”.
Il confronto. Inclusione sociale, dunque?
“Il Comune ha pensato il progetto senza coinvolgerci – sottolinea Boban, uno dei rom -, senza chiedere alle singole famiglie come e dove avrebbero voluto vivere. Siamo arrabbiati, perché ci hanno disgregato come comunità”.
Ricorda la paura vissuta subito dopo il trasferimento a San Sperate, le polemiche, l’assemblea in cui “qualcuno ha minacciato di tirare bombe, o molotov”, la comparsa di un volantino che allarmava “sull’imminente invasione di 400 ladroni, una delle tante nostre etichette”.
Per fortuna, gesti isolati: “Non abbiamo mai detto che San Sperate fosse un paese razzista – puntualizza Saltana Ahmetovic, rappresentante della comunità rom – : lo conosciamo come paese di cultura e di spettacolo”. Ora, “la situazione è più serena – assicura Boban – abbiamo instaurato un buon rapporto di vicinato con la comunità”. Merito delle associazioni, delle realtà parrocchiali, dei sindaci, che continuano a svolgere un ruolo di mediazione costante, attraverso l’organizzazione di incontri e momenti di confronto. “Prima di giudicare qualcuno bisogna conoscerlo – evidenzia Rubino Sulejmanovic, mediatore interculturale, collaboratore di Alfabeto del mondo e dell’Opera nomadi – : una cosa è parlare di inclusione sociale, diverso è realizzarla concretamente. Pagare l’affitto di una casa, per persone che non lavorano e hanno figli da mantenere, è difficile”.
Il progetto. Punti cardine del progetto integrato concordato da istituzioni, Prefettura e Caritas, l’accompagnamento dal campo verso una stabilità abitativa, l’orientamento, l’accesso ai servizi territoriali, l’assistenza sanitaria, il coinvolgimento delle famiglie nell’inserimento scolastico dei bambini, politiche di inserimento lavorativo. L’obiettivo è cercare di superare l’assistenzialismo messo in campo dai comuni negli anni passati, puntare all’autonomia e alla valorizzazione della persona. La ricerca delle abitazioni è stata affidata alla Caritas diocesana di Cagliari, grazie all’esperienza maturata negli anni, come nel caso del superamento dell’ex baraccopoli dei rom di via del Commercio. Proprio come allora, anche in quest’ultima vicenda c’è stata la massima disponibilità da parte della comunità rom: “Un popolo pacifico – ha sottolineato Don Marco Lai, direttore della Caritas di Cagliari – che ha ascoltato, capito la situazione e addirittura ha anticipato l’uscita dal campo”. Da lì, è poi iniziato il confronto all’interno della stessa comunità rom, il dialogo con le associazioni e le istituzioni. “Un processo che si cerca di costruire giorno dopo giorno, in cui però, l’emergenza corre più veloce delle soluzioni – ha aggiunto Don Lai-: ci troviamo di fronte a un popolo fragile, disgregato, che necessita di un accompagnamento immediato e costante, perché vive in una situazione di incertezza, ancora alla ricerca di soluzioni abitative stabili”. Perciò,“si deve guardare alla fase progettuale, con tavoli condivisi: e là, davvero, nulla si può costruire senza di loro”.
Superare le discriminazioni è possibile. Imparando a tutelare la specificità dell’etnia rom. Rispettando le leggi, come l’articolo 3 della Costituzione italiana che parla di ‘pari dignità sociale’, ricorda Roberto Copparoni, responsabile dei progetti dell’ AseCon Ong (Amici senza confini) e organizzatore del dibattito. Invece, “continuiamo a dare spazio ai pregiudizi – continua Copparoni – alle immagini precostituite di una società piena di incertezze, di paure, che reagisce con distacco, con un atteggiamento di rottura, che rifiuta la conoscenza”. Ecco, allora, il ruolo delle associazioni non governative, come l’AseCon, che si interpongono tra due mondi apparentemente lontani per cercare occasioni di dialogo, perché è giunto il momento di camminare insieme, di essere capaci di gesti concreti, nel rispetto delle diversità”.

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