Voltare pagina

16 Settembre 2012
Marco Ligas
La Sardegna vive una situazione drammatica: nessuno mette in dubbio questa realtà. E non a caso perché non c’è fabbrica che non interrompa le attività produttive. Il fenomeno riguarda indistintamente tutta l’isola, dal sud al nord; chiudono le aziende sorte col Piano di Rinascita ma entrano in crisi anche quelle dell’indotto. Non c’è protesta dei lavoratori, neanche la più clamorosa o disperata, che riesca a contenere questo processo e a imporre un’inversione di tendenza. Peggio, tutte le forme di lotta stanno diventando rituali umilianti che non producono effetti se non quello di scoraggiare i lavoratori creando un malessere sociale sempre più diffuso e dagli sbocchi politici incerti.
Sicuramente è arrivato il momento in cui bisogna pensare al lavoro, allo sviluppo e alla crescita in modo diverso da come si è fatto sinora.
Non più sostenendo attività industriali senza futuro e comunque estranee alle caratteristiche del territorio e alle sue risorse. L’aver sottovalutato questo aspetto non solo ha favorito la penetrazione di un capitalismo famelico che ha accentuato la dipendenza della struttura produttiva isolana ma, al tempo stesso, ha provocato l’inquinamento di ampie aree che oggi risultano fortemente compromesse.
Dobbiamo abituarci all’idea che è possibile creare lavoro seguendo nuovi itinerari, incominciando per esempio a risanare l’ambiente devastato dalle attività speculative condotte senza scrupoli e con la complicità di gruppi dirigenti irresponsabili.
In tutta la Sardegna, da Quirra al Sulcis, da Santo Stefano/La Maddalena ad Ottana, sino all’area cagliaritana è necessaria un’opera di bonifica; se avviata tempestivamente, senza ulteriori indugi, sarà di lunga durata e non potrà non garantire il lavoro a tanti disoccupati. Si tratta di difendere e, laddove è ancora possibile, ripristinare, senza ripetere gli errori del passato, quelle condizioni naturalistiche e paesaggistiche, che farebbero della Sardegna un richiamo turistico molto importante.
Ma non è la sola ipotesi. Come abbiamo sottolineato più volte, anche nel settore minerario è possibile, attraverso la creazione di un parco (ecco un’alternativa all’estrazione del carbone), dar vita ad attività che rispondano alle aspettative delle nuove generazioni collegandosi all’eredità delle popolazioni che hanno vissuto in quei territori. Naturalmente occorre costruire nuove progettualità a partire dalle risorse esistenti facendo in modo che siano funzionali ai bisogni delle comunità locali e al tempo stesso alla domanda dei visitatori del parco. Esistono esperienze significative, sia nel nostro paese che altrove, dove si è lavorato, una volta dismesse le attività minerarie, per la salvaguardia del patrimonio archeologico industriale e per la sua valorizzazione attraverso la riconversione economica e sociale dei territori interessati. Gli effetti di questi interventi sono stati il più delle volte incoraggianti, si è creata nuova occupazione soprattutto nei settori della ricerca, delle attività culturali e di quelle turistiche. C’è chi ipotizza che il parco geominerario potrebbe produrre lavoro per 800-1000 persone.
Perché  non percorrere questa strada anche in Sardegna?
E che dire delle attività produttive legate all’agricoltura e alla pastorizia, sempre considerate attività minori, incapaci di reggere la concorrenza del lavoro industriale. Anche in questo settore, attraverso la ricerca e gli indispensabili adeguamenti tecnologici delle strutture produttive, è possibile creare lavoro e beni di prima necessità (si pensi alla così detta produzione a Km zero), modificando tra l’altro il rapporto tra esportazioni e importazioni di beni alimentari, rapporto largamente condizionato da queste ultime.
Questi indicati sono esempi parziali, delineati superficialmente; hanno bisogno, perché si realizzino, se non di una rivoluzione culturale, di profondi cambiamenti del nostro operare quotidiano.
Al tempo stesso è indispensabile un investimento di risorse da parte delle istituzioni pubbliche che mostrano sempre diffidenza ed estraneità nei confronti di queste iniziative.
Ritengo che anche per le formazioni politiche e sindacali sia arrivato il momento di riflettere con più determinazione su queste ipotesi, acquisendo nuovi strumenti culturali e correggendo l’impostazione e i contenuti dell’impegno politico e sindacale, spesso troppo ripetitivo o dipendente da interessi clientelari vecchi o nuovi, e comunque ormai inadeguato rispetto ai cambiamenti in corso nella nostra società.

1 Commento a “Voltare pagina”

  1. Katia Cerulli scrive:

    Caro compagno Ligas,
    la sua analisi è certamente condivisibile, così come alcune delle proposte indicate per riqualificare il territorio dell’isola.
    Tuttavia, non trascurerei la necessità di rivitalizzarne anche lo sbrindellato tessuto industriale, traducendo in atti politiche di approvvigionamento energetico di segno opposto rispetto a quelle avallate dall’imbelle Governo Cappellacci.
    Un caro saluto da me e dai compagni del Circolo 2 Giugno di Tortolì-Arbatax.

    http://www.facebook.com/Circoloduegiugnohttp://www.circolo2giugno.it

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