Sovranisti e trasformisti

16 Settembre 2012

Sovranisti  e  trasformisti

con la risposta di Michele Piras.

Marco Ligas
Recentemente, parlando di sovranismo e trasformismo, ho voluto mettere in evidenza come l’uso di neologismi talvolta serva da schermo nell’assunzione di posizioni diverse da quelle espresse precedentemente. E ho sottolineato come l’espressione ‘unità delle forze sovraniste’ sia ambigua essendo diversi, spesso contrastanti, i comportamenti e le scelte politiche delle formazioni che si richiamano al sovranismo, termine coniato recentemente come sinonimo di sovranità.
Alcuni aspetti della politica regionale e dei suoi protagonisti, dentro e fuori dalla maggioranza, confermano questa valutazione.
In questi giorni il Consiglio regionale ha approvato le linee guida del nuovo piano paesaggistico. Con questa scelta si darà il via all’uso indiscriminato del territorio e conseguentemente al suo ulteriore impoverimento. La motivazione usata per giustificare le modifiche del vecchio ppr (si creeranno nuovi posti di lavoro!) è così stantia che non inganna più nessuno. In realtà verranno danneggiati in modo irreversibile i paesaggi della nostra isola e la classe dirigente sarda si caratterizzerà ancora una volta per la sua subalternità e per l’incapacità di affermarsi come classe capace di tutelare gli interessi e i beni comuni che appartengono alle comunità locali. Altro che sovranismo!
Le condizioni per creare lavoro nel settore dell’edilizia già esistevano e sono ancora possibili: non solo si possono avviare le opere di recupero e di ristrutturazione dei centri storici delle nostre città, ma anche quelle di risanamento del territorio, sempre più frequentemente esposto ai rischi dei cambiamenti climatici e alle conseguenze delle attività speculative. Non c’è più nessuno che sia ancora convinto che il turismo, inteso come saccheggio del territorio finalizzato alla costruzione di orribili villaggi residenziali, crei lavoro stabile.
La giunta regionale non sa queste cose? Per quanto sconsiderati possano essere alcuni assessori e lo stesso presidente, è poco attendibile la sottovalutazione di questa realtà. Certo, ci saranno ancora speculatori che fanno parte della rete clientelare che opera attorno alla giunta e sono in attesa del lasciapassare per aggredire i territori ancora liberi, e sicuramente l’approvazione delle nuove linee guida del ppr darà loro il consenso auspicato. Ma non sembra prudente escludere altre motivazioni/obiettivi che la giunta forse non ha ancora interesse a comunicare.
Non voglio sostituirmi a coloro che preparano gli oroscopi, però alcune supposizioni magari accompagnate da altrettanti interrogativi non mi sembrano fuori luogo. Per esempio, perché non si parla più del Galsi? E gli incontri tra Monti e Putin e quelli tra Monti e gli emirati arabi, in questa occasione presente Cappellacci, delineano forse una strategia nuova sull’energia? La cosa riguarda anche la Sardegna?
Il presidente di Rossomori, Gesuino Muledda, pur con la dovuta cautela, esamina questa ipotesi e la considera abbastanza attendibile. Al punto che se fosse vera, dice Muledda, dovremmo fronteggiare una nuova stagione rovelliana, con buona pace del sovranismo.
Ecco, se i rischi contenuti nelle linee guida del nuovo piano paesaggistico sono questi (aggressione del territorio ed ennesimo uso coloniale della Sardegna), perché un partito che si dichiara sovranista come il PSd’Az anziché astenersi dal voto non si esprime (votando) contro con la necessaria determinazione? Perché collabora ancora con una giunta che fa scempio delle libertà del popolo sardo? Trova svantaggioso, il partito sardo, uscire dalla casta? Ma allora la smetta di prendere in giro i sardi.
L’atteggiamento del partito sardo riconduce alle scelte di SeL. Da qualche tempo i dirigenti di Sinistra e Libertà, in Sardegna, sottolineano l’importanza di un’alleanza con il Partito Sardo d’azione e con l’Udc, ritenute formazioni sovraniste. Visti i comportamenti differenti in sede di Consiglio regionale è evidente che queste formazioni politiche usano indicatori diversi per definire il sovranismo. Forse SeL prende in considerazione un auspicio, cioè si augura che il Partito Sardo e l’Udc in prospettiva possano cambiare la loro politica, o forse ipotizza un’alleanza che non esito a definire innaturale con queste formazioni: la crisi generale che vive il paese può determinare questo ripiego. Ma in questo secondo caso l’alleanza si baserebbe sulle scelte imposte dagli alleati. Si tratterebbe cioè di un cambio di postazione, di un vero e proprio trasformismo.
Appare singolare anche la motivazione usata per rendere comprensibile il giudizio sull’Udc: è una componente cattolica della società, viene detto, con cui bisogna fare i conti! L’identificazione del mondo cattolico con l’Udc è davvero una forzatura. Ricordo che Pietro Ingrao, in tempi ormai lontani, si impegnò a fondo per favorire un dialogo tra comunisti e mondo cattolico, ma non pensò mai che questo rapporto potesse nascere attraverso un confronto privilegiato con Mariano Rumor o Ciriaco de Mita. Anche in Sardegna pensare a un rapporto privilegiato con Giorgio Oppi perché leader di una formazione sovranista, per giunta cattolica, mi sembra una scelta scriteriata. Penso che Giorgio Oppi sarà pure un bravo cattolico ma sotto l’aspetto politico mi sembra fortemente legato al sistema di potere che ha sempre governato la nostra isola, prima con la Dc e poi con le altre formazioni centriste.
Per tutte queste ragioni penso che SeL farebbe bene a rovesciare la politica delle alleanze, a rivalutare le ragioni della sua nascita e privilegiare le relazioni con i lavoratori e con le componenti della società civile che oggi tendono a prendere le distanze dalla politica.
La risposta di Michele Piras*
Caro Marco,
mi fa piacere contribuire al dibattito, anche e da subito per dirti che non faccio fatica a raccogliere l’appello affettuoso che rivolgi a SEL qui in Sardegna per quanto riguarda le cosidette alleanze nell’editorial del 1 agosto scorso sul Manifesto Sardo.
Soprattutto perchè (ne sia testimonianza anche quanto ho già avuto modo di scrivere sul mio sito) vivo con crescente fastidio una discussione tutta concentrata sulla sfera della politica politicante, senza alcuna connessione – nè intellettuale nè sentimentale – con la necessaria elaborazione di società che un campo politico dell’Alternativa dovrebbe tentare di produrre.
Assistiamo a un progressivo declino dell’Isola. La condizione sociale dei sardi oscilla pericolosamente su una linea di confine oltre la quale è il sistema democratico stesso a rischiare il precipizio. Attorno alle spoglie di quella che fu l’Autonomia la danza macabra di migliaia di disoccupati, cassintegrati, precari. I giovani che emigrano, le migliori menti, le più forti braccia.
E una classe dirigente indegna di rappresentare questo stato di cose, incapace di produrre quel necessario scatto di dignità che affermi il diritto di questo popolo a stare – al pari degli altri – sul crinale della speranza.
Nel volgere di qualche anno, nella fase che intercorre fra il declino dell’ultimo Berlusconi e l’ascesa dei tecnici, quest’Isola ha perso tutto: il trasporto pubblico delle merci e delle persone, il residuo impianto industriale, le entrate dovute per Costituzione, la possibilità stessa di legiferare in autonomia, di produrre decisioni che incidano positivamente sulla condizione dei sardi (basti pensare dai tempi di Renato Soru a oggi quante sono le Leggi regionali impugnate dai governi che si sono alternati alla guida del Paese).
L’Autonomia non c’è più. Fiscal Compact significa anche questo. Ed io penso che consentire che si completi la torsione neocentralistica in atto costituisca il male peggiore. L’antistoria, l’antipopolo, l’antifuturo.
Una condizione alla quale reagire con una grande mobilitazione: di popolo, politica, progettuale. E non penso nemmeno che questa partita si possa giocare solo in Sardegna o in Italia. Serve una nuova Europa. Un nuovo europeismo. Ed anche una nuova Sinistra europea.
Ma è in questi termini – e non per strumentalità o logica alleantista – che parliamo di Sovranità.
erchè pensiamo che dalla crisi si possa uscire con un avanzamento e non necessariamente con l’accelerazione del declino oppure con la resa a un sistema che i poteri finanziari – in un contesto di fortissima sfiducia nella politica – vorrebbero meno democratico, meno partecipativo, meno giusto.
Perciò pensiamo che il tema delle alleanze debba essere rovesciato, spostato dalla semplificazione costante dei titoli giornalistici e del dibattito pubblico. Qui si tratta semmai di realizzare, nel contesto specifico di questa terra, un’alleanza che sia capace di coinvolgere tutte le forze sane della società sarda. Ogni banalizzazione per sigle di questo concetto andrebbe respinta, perché miope, fuorviante, limitante, persino un poco noiosa.
Ciò che ci interessa è la possibilità di immaginare (e poi costruire) maggiore responsabilità di governo, una Sardegna che guardi al Mediterraneo con fiducia ed apertura, che cresca nello scambio culturale con la sponda nord dell’Africa e la sponda sud dell’Europa, un sistema industriale di nuova generazione – alta tecnologia ed energia pulita – cooperazione sociale e nelle produzioni agroalimentari, cultura, innovazione, un nuovo modello turistico che non consumi le coste e non si limiti ad esso, la messa in rete e la piena fruibilità dell’immenso (ed ampiamente ignorato) patrimonio archeologico, una terra del sapere mediterraneo che attraverso l’Università attragga menti e richiami quelle dei sardi sparsi per il mondo, un sistema sardo di diritti civili e sociali (reddito minimo, legge contro l’omofobia, coppie di fatto) che guardi al XXI secolo.
Insomma per quanto in questa maniera – certamente didascalica – vorremmo aprire questo tipo di discussione. Su questo terreno credo che le discriminanti ci siano senza il bisogno che, continuamente, in maniera autistica si sia chiamati a rispondere su un terreno che è precisamente quello che ha accelerato l’isolamento della politica dal corpo vitale della società.
Con chi? Con ogni persona di buona volontà, democratica e progressista, che creda che un futuro sia possibile per questa Isola così bella, che creda che chi la popola – siano essi sardi, senegalesi, marocchini, rom, slavi, campani, genovesi, svizzeri o tedeschi – ne abbia il diritto.
La prossima legislatura – politica e regionale – sarà decisiva. Si gioca la fase finale della partita della transizione. Può esserci uno sbocco moderato (o addirittura reazionario). Ma può esserci anche un centrosinistra di nuova generazione, capace di vincere la sfida. Non certo quella del governo per il potere, ma quella del governo per il cambiamento.
*Coordinatore SEL Sardegna

2 Commenti a “Sovranisti e trasformisti”

  1. Andrea Pubusa scrive:

    Cosa c’entri l’UDC di Oppi con la sovranità è un mistero. Più semplicemente bisognerebbe parlare delle alleanze in vista di un’alternativa di governo alla Regione. E qui non è scandaloso pensare di allargare alle forze di centro, PSDAZ compreso. La politica delle porte in faccia, come fece Soru con Psdaz e PSI, non dà buoni risultati. E lo si è visto.
    La scriminante è il programma. Ed anche su questo planerei, lascerei da parte la sovranità e parlerei di più del progetto su industria, turismo, moralizzazione e così via. E qui vedo difficoltà reali. Insomma, mentre Oppi potrebbe dichiararsi sovranista, con più difficoltà lo vedo pronunciarsi contro il clientelismo, di cui lui (non da solo) è ormai un maestro.
    Per farla breve, capisco l’approccio di Piras e di SEL-sarda, che vuole essere pragmatico, ma manterrei questa impostazione anche sul programma, non creando facili diversivi per scansare i problemi veri.
    D’altronde, questa mi pare l’impostazione di Vendola e di SEL nazionale, che non a caso è fortemente contraria ad un allargamento all’UDC nazionale, certo più dignitosa di quella locale.
    Senza un confronto reale e serio sul programma, che comporta anche una rimessa in discussione delle politiche e prassi del passato (UDC di Oppi e PSDAZ) c’è il trasformismo. E non c’è sovranismo capace di nasconderlo.

  2. Celeste Murgia scrive:

    Il direttore Ligas pone un problema vero: se della nostra esperienza politica comunista, vissuta pur nella frastagliata area di partitini sempre più inclini al suicidio, è rimasto un minimo senso ne deduco che certe alleanze comunque definibili debbano ritenersi inconciliabili con il nostro progetto politico, per SEL in particolare, per il PRC e altre sigle che comunque ignorano tale tentazione.
    Nel progetto politico si può e si deve coinvolgere tutto il popolo indipendentemente dai suoi riferimenti di partito, qualsiasi partito, ma a condizioni specifiche senza populismo ed escludendo gli accordi di vertice.
    L’area cattolica è una galassia, nel dissenso al potere e nella radicalità ci sorpassano a vele spiegate. Caro Michele prova a sfogliare Nigrizia dei Comboniani e Missione Oggi dei Saveriani. Vedrai che sorpresa!!!!

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