Una nuova dittatura?

16 Ottobre 2012
Maria Chiara Cugusi
L’assenza di libertà di stampa e di espressione, una repressione che colpisce soprattutto le donne, la corruzione della classe politica e della giustizia. La Tunisia descritta da Lina Ben Mhenni, blogger tunisina, ospite a “Incontri d’Affrica” –  organizzati dal Centro di studi africani in Sardegna (CSAS) – assume il volto di un ‘nuovo regime’, quello instaurato dal partito Ennahdha, da un anno alla guida del governo. Un paese instabile, in cui continuano le manifestazioni di protesta e le rivendicazioni sono le stesse di due anni fa.
Era il dicembre del 2010, quando iniziò la cosiddetta ‘rivoluzione dei Gelsomini’: una manifestazione ‘spontanea’, nata dal basso, che affondava le radici in una rabbia e in un’ insoddisfazione covate da tempo (il pensiero corre alla rivolta del bacino minerario di Gafsa del 2008). In piazza, i giovani, disoccupati nonostante i loro titoli di studio, e un unico slogan: lavoro, libertà e democrazia. Nessun simbolo di partito, nessun riferimento alla religione: “Non è stato l’islamismo a fare la rivoluzione – sottolinea la Ben Mhenni, durante l’incontro a Cagliari – : gli islamisti erano in esilio e non hanno preso parte alla protesta, né l’hanno sostenuta in alcun modo”. Una battaglia che, da subito, non è riuscita a favorire un rinnovamento della classe politica, “come denunciato durante i due sit – in nella piazza della Kasbah, dopo le elezioni”.
Sulla vittoria di Ennahdha, partito di ispirazione religiosa: “Non si può parlare di una reale maggioranza – precisa la blogger -, sono i numeri che lo confermano: su sette milioni di persone con diritto al voto, solo tre milioni si sono recate alle urne, e di queste un milione e mezzo di cittadini hanno votato Ennahdha.
Un partito che, per la Ben Mhenni, ha enfatizzato l’identità religiosa, presentandosi come “partito di Dio, per dare un segnale di cambiamento rispetto ai precedenti regimi di ispirazione laica”. In realtà, tutta apparenza: basti pensare all’immobilismo della giustizia: “Gli stessi giudici corrotti che lavoravano sotto Ben Ali – denuncia la blogger –  continuano a ricoprire il loro posto”. Senza dimenticare “il coinvolgimento dei soldati nella morte dei martiri della rivoluzione – aggiunge-:  ci sono dei video che lo dimostrano, ma ancora non è stata fatta giustizia”.
Violenze che continuano ancora oggi: “lo scorso aprile – sottolinea –  abbiamo manifestato per ricordare i martiri della rivoluzione e invocare giustizia: la polizia ha lanciato pietre e gas lacrimogeni, ferendo molte persone. Dopo gli scontri, non è stata fatta nessuna inchiesta: il Ministero dell’Interno ha archiviato le indagini, con la motivazione che è trascorso troppo tempo”.
Sullo sfondo, una crisi economica – sociale che continua ad aggravarsi: “Delle migliaia di posti promessi in campagna elettorale non è stato fatto nulla, il turismo sta diminuendo, cresce la povertà e in alcune zone del paese mancano l’acqua e l’elettricità”.
Anche ciò che si riteneva essere un diritto acquisito viene ora messo in discussione: “Fino all’ottobre 2011- spiega la blogger – ero convinta che uno dei risultati ottenuti grazie alla rivoluzione fosse la libertà di stampa, ma oggi non è così: ogni giorno ci sono processi contro i giornalisti, contro chi cerca di esprimersi liberamente. Basta pensare al direttore di Nessma tv, arrestato per aver trasmesso il cartone iraniano Persepolis (per Ennahdha offendeva l’islam), o allo sciopero della fame organizzato dai giornalisti della testata ‘Assabah’, dopo  che, come direttore, è stato nominato un ex poliziotto. Tutti i posti di controllo dei principali mezzi di informazione sono occupati da ex seguaci di Ben Ali, che hanno cambiato bandiera e appoggiano il nuovo governo”. Per non parlare “degli attacchi contro gli intellettuali, gli artisti, le persone di cultura dissidenti verso cui c’è un continuo appello all’odio”.
E soprattutto, ci sono i diritti delle donne. Sono loro “il bersaglio più frequente di attacchi e manifestazioni – sottolinea la Ben Mhenni – aggredite verbalmente e fisicamente, per il loro abbigliamento troppo occidentale, che lederebbe la cosiddetta morale pubblica”. Quelle donne che scendono in piazza “per difendere il diritto a indossare ciò che vogliono, per combattere contro la proposta di reintrodurre la poligamia e contro quell’articolo 28 della nuova costituzione, che vorrebbe stabilire la complementarietà della donna rispetto all’uomo”. Così, “il nuovo governo calpesta ogni libertà di espressione – continua la Ben Mhenni -, ma chiude l’occhio davanti alle manifestazioni dei salafiti: durante le violenze scatenate qualche settimana fa davanti all’ambasciata statunitense contro il film blasfemo su Maometto, la polizia non ha reagito, nonostante vedesse che quelle proteste non erano pacifiche”.
In un paese che aspira a un islamismo moderato sembra oggi prevalere una nuova dittatura che tradisce quelli che erano i valori della rivoluzione e della Tunisia: “i salafiti vogliono diffondere un islam che istiga alla violenza, capace di uccidere tutti gli oppositori”, denuncia la blogger. Ma i giovani non hanno perso la speranza. “Per il 23 ottobre, a un anno dalle elezioni dell’Assemblea costituente, stiamo organizzando una grande manifestazione, anche se temiamo che essa si concluda in un bagno di sangue. La vera risorsa contro l’oscurantismo e la dittatura è costituita dalle donne: si batteranno fino alla fine perché non accetteranno mai che qualcuno possa accaparrarsi il loro diritti. Non so quanto tempo ci vorrà, ma sono sicura che la Tunisia diventerà un paese democratico. Questo è il senso della nostra battaglia, nessuno potrà rubarci la nostra rivoluzione”.

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