Un no necessario

16 Novembre 2012
Paola Pilisio*
Diciamo No alla Chimica Verde perché prima di tutto verde non è, ma ricorrendo all’uso strumentale di termini suggestivi, in ogni caso termini sufficientemente vaghi da  consentire  ogni nefandezza, essa  tenta di spacciarsi come chimica pulita, dicendosi verde.
Il movimento No Chimica Verde nasce principalmente dallo scandalo  provato quando abbiamo scoperto la vera natura di questo progetto. Scandalo al quale si è aggiunta l’indignazione  constatando la ferrea alleanza  tra i nostri amministratori locali, l’ Eni e le sue consociate, i sindacati, la stampa e addirittura  le associazioni  ambientaliste come Legambiente e anche i vertici della Chiesa, tutti uniti a benedire la Chimica Sedicente Verde. L’indignazione è diventata rabbia di fronte al carattere clandestino di questo progetto. Infatti l’Eni e gli amministratori locali hanno firmato un protocollo di intesa contravvenendo agli obblighi di pubblicità che impone la legge per quanto riguarda tutti gli interventi industriali o altro in un S.I.N. Obblighi allegramente disattesi per cecità o ignoranza dai contraenti di questo accordo. Insomma un progetto firmato senza informare e consultare minimamente le popolazioni interessate.
Ma cosa è la Chimica Verde? Dicono che si tratta di produrre sacchetti di Mater-Bi, quelli che usiamo al supermercato per fare la spesa, ma anche forchettine, piattini e cotton fioc biodegradabili e che perciò non impatterebbero l’ambiente. Peccato che questo progetto dovrebbe realizzarsi in un luogo dove l’ambiente non solo è già impattato dall’industria chimica pre-esistente ma spaventosamente inquinato.
Ma questa  parte “nobile” del progetto, ne nasconde una infinitamente meno nobile dei sacchetti bio degradabili. Non si è capito perché per alimentare tale produzione , verrà realizzata una mega centrale a biomasse da 205 Mwt di cui 70 alimentati a FOK (Fuel oil cracking) derivato della lavorazione dell’etilene residuo tossico e altamente cancerogeno sicuramente non bio che verrebbe importato via nave dalla Sicilia. In Sardegna non si produce più FOK ma nel resto d’Italia l’ENI ne ha moltissimo da smaltire e non sapendo finora dove ha trovato finalmente Porto Torres.
Non solo, per far funzionare questa enorme centrale che produrrà energia che non si sa dove finirà, saranno necessari tra le 400 e le 500mila tonnellate l’anno di cardi da coltivare in 100 000 ha seminativi ( su circa 250 000 disponibili in Sardegna). Quantità che la Sardegna tutta non sarà mai in grado di produrre e se anche lo fosse non si capisce perché si debba convertire l’intera agricoltura dell’isola a monocoltura da bruciare in una centrale, finendo di dissestare l’attuale già fragile economia pastorale e agricola. Coltivatori, pastori, pecore e la popolazione tutta dovrebbe immolarsi su questa verde iniziativa.  Bruciare 500mila tonnellate all’anno in un inceneritore non emette sicuramente farfalline verdi ma sostanze come furani, diossina e metalli pesanti, tutte cancerogene e quindi potenzialmente mortali.
Non essendoci biomasse da bruciare in Sardegna, all’Eni non restano che due possibilità. La prima è di importare la biomassa necessaria ad altissimo costo, andando ad affamare  altri luoghi e in ogni caso non rispettando quella filiera agro-industriale di cui si vanta moltissimo che dovrebbe invece realizzarsi entro 70 Km dalla centrale. La seconda possibilità, è di utilizzare la parte non biodegradabile dei rifiuti solidi urbani cioè la monnezza, poiché la normativa italiana lo permette. Dopo il Fok anche  plastica e copertoni  diventano così bio. Alla fine del processo, l’ENI grazie ai certificati verdi e ai cip6 avrà intascato gli incentivi per smaltire rifiuti, realizzando un business estremamente ricco e profittabile, alle spalle, nelle tasche e sulla pelle della popolazione .
Di una popolazione che si vuole liberare di un passato che non passa mai, che ha già pagato un prezzo altissimo sia in termini ambientali che di salute, perché il Petrolchimico di Porto Torres continua a fare vittime dopo 40anni di chimica scellerata. L’inquinamento non è solo ambientale e umano ma anche  etico, sociale, insomma antropologico.
Parliamo di luoghi che 40anni fa erano incontaminati,  inseriti in un contesto naturalistico molto fragile come il Golfo dell’Asinara a ridosso della seconda pianura della Sardegna, la Nurra. Questi luoghi, come anche Portovesme, sono S.I.N.(siti di interesse nazionale ove l’elevato inquinamento delle falde, dei suoli, dei sottosuoli, delle acque dei fiumi, del mare e dell’aria mettono quotidianamente a rischio la salute di chi ci lavora e di chi ci abita). Luoghi che vanno immediatamente bonificati. Bonificati perché i veleni producono i cancri e i cancri fanno morire la gente. Giusto per citare due o tre dati, è provato che nelle  falde acquifere i livelli di benzene superano di 139.000 volte il limite ammesso dalla norma, il dicloroetano 28.000.000 milioni di volte il limite. Per fare un esempio, la Vinyls di Porto Torres per produrre il PVC ha immesso una quantità tale di cloruro di vinile monomero  (CVM) da avere fatto superare il livello ammesso dalla norma di 542.000 volte. Il disastro è biblico, ma si fa di tutto per mantenere nell’ignoranza le popolazioni. Ci sono 3000 ha da bonificare con la massima urgenza, prima di qualunque altra iniziativa. E’ chiaro ormai a tutti che l’ENI ha messo avanti la così detta Chimica Verde per sottrarsi agli obblighi della bonifica, ancora una volta con la complicità e la cecità attiva dei nostri amministratori.
Il movimento No Chimica Verde ha svelato questa truffa che prima scandalizzava solo noi, ora a provare scandalo e indignazione iniziamo a essere parecchi. I segni manifesti di questo movimento sono reali, li abbiamo avuti nella vasta opposizione che è stata fatta al SAVI (Servizio della Sostenibilità Ambientale, Valutazione Impatti) rispetto alla richiesta di VIA che ENIPower  ha inoltrato per la mega centrale. Non ultimo, due settimane fa ci sono state in Consiglio Regionale due mozioni contro la Chimica Verde.
Questo movimento è stato un passaggio di idee attraverso internet ma anche un corpo a corpo tra persone che non vogliono delegare più nessuno su scelte che riguardano il nostro futuro, e quello dei nostri figli. Persone che portano uno sguardo diverso su questi luoghi, giudicando che bisogna mettere un termine a questa storia mortifera e devastante della chimica verde o no, per aprire un nuovo futuro. Luoghi che devono così tornare a essere disponibili per il godimento comune, mentre ora sono delle Chernobyl pericolosamente attive, chiuse a doppia mandata dall’ENI ancora una volta con l’incomprensibile collaborazione dei nostri amministratori.
Abbiamo altri progetti, c’è un intero mondo da reinventare, tanti settori da coinvolgere, operai di tutti mestieri, professori, architetti, urbanisti, agricoltori, chimici, poeti, artisti. Tutta la gente insomma. Anche i chimici cassaintegrati evidentemente, che si sbagliano quando pensano che il nostro movimento possa far torto alla loro lotta, che è anche per loro e si spera con loro. No Chimica Verde continuerà a battersi finchè non ci saranno le bonifiche e questi martoriati luoghi riparati, liberati, restituiti.

*A nome del comitato No Chimica Verde

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