Quella femminile: una condizione che peggiora

1 Dicembre 2012
Diletta Mureddu*
Quello che sta accadendo  nel nostro paese non fa che peggiorare la condizione di chi già oggi è in difficoltà e mi riferisco in modo particolare alle donne.
I tagli ai servizi e allo stato sociale, sanità, fondo per la non autosufficienza, costringono noi donne da un lato a farci welfare noi stesse, occupandoci dei nostri figli, dei nostri genitori anziani e spesso rinunciando alla nostra carriera;  dall’altro lato sappiamo che nei servizi lavorano per la maggior parte donne e quindi siamo doppiamente penalizzate. Il tema della cura, dei bambini, degli anziani e dei disabili ancora di più viene visto oggi come un destino ineluttabile per noi donne, che siamo  nate, parrebbe,   per occuparci degli altri, senza poter dedicarci a noi stesse. Siamo noi donne che dedichiamo mediamente 5 ore al lavoro in casa rispetto agli uomini che dedicano poco più di un’ora (ricerca OCSE dell’anno scorso). Spesso non riusciamo a conciliare tutto questo e il risultato è che  l’Istat ci dice che nel 2012 una donna su 4 a due anni dalla nascita di un figlio non ha più un lavoro e sono soprattutto le neo madri residenti nel Mezzogiorno. Occorre quindi un cambiamento culturale  e sociale: intanto il tema della cura dei bambini, degli anziani e dei disabili dovrebbe assumere il significato di bene comune, di benessere della popolazione. Occorre  rovesciare l’idea che la conciliazione sia un tema caro solo alle donne e farla invece diventare di interesse generale, e che contribuisce alla ricchezza e produce reddito.
Una ricerca  condotta dalla nostra Consigliera Regionale di Parità ha evidenziato che in Sardegna, diversamente dall’Italia, il tasso di occupazione femminile è cresciuto, ma è emerso che sono per lo più lavori precari, evidenziando che le donne iniziano a lavorare non per scelta ma perché negli ultimi anni  la perdita del lavoro da parte di altri componenti familiari le porta ad introdursi nel mercato del lavoro. E d’altra parte  il fatto di avere un contratto a tempo indeterminato non ci fa sentire molto  più tranquille: la frammentazione del mondo del lavoro, le delocalizzazioni, la flessibilità, i salari inadeguati, la perdita dei diritti fondamentali, sono tutti aspetti che ci fanno sentire incerte, precarie, con una vita precaria,senza sapere davvero quello che sarà il domani per noi.
A questo aggiungiamo che  la maternità, purtroppo, è vista  come un costo per le aziende. La maternità che rappresenta  la massima creatività e l’apice della progettualità diventa  la causa maggiore di discriminazione nei luoghi di lavoro. E’ evidente che se un’azienda deve investire su un ingegnere e ha davanti un uomo e una donna sceglie l’uomo. Badate, sono i dati che parlano. La ricerca della nostra consigliera  di parità evidenzia che soltanto il 20% delle donne sono titolari di promozioni sul totale di quelle concesse dalle aziende. E’ chiaro che l’occupazione femminile non è vista come una risorsa su cui puntare per migliorare l’efficienza e la produttività.
Vi racconto questa. La nostra responsabile nazionale delle risorse umane durante la presentazione del piano industriale,  dice: il vero problema è che in questo periodo state facendo troppi figli.. ecco, la verità è che per le aziende i figli sono un problema. E non ci dobbiamo stupire allora se il tasso di natalità in Sardegna è pari a 1.14. Perché dobbiamo avere il coraggio di dire che i figli rappresentano la vera crescita per il nostro paese , perché rappresentano più forza lavoro, più pensioni e più entrate fiscali.
E  oggi cosa succede quindi, che la maternità sta diventando una “non scelta”, perché non ci è dato modo di scegliere davvero  se decidere di avere un figlio, visto che il mondo del lavoro non è minimamente a misura di donna .O lavoro o figli, una delle due…leggevo i dati di save the children “Solo nel periodo tra il 2008 e il 2009 – ben 800.000 mamme hanno dichiarato di essere state licenziate o di aver subito pressioni a seguito di una gravidanza, anche a causa del meccanismo delle “dimissioni in bianco”. Il lavoro delle donne quando se ne parla si associa sempre ad alcuni termini che non sono molto positivi: part time, precariato, differenze salariali, segregazione di carriere, conciliazione, merito. E allora di tutto ciò si occuperà  il centro donna; di donne precarie, donne in maternità, donne discriminate, donne che ormai non ce la fanno più perché la disperazione dell’assenza di futuro le attanaglia, donne maltrattate,donne che hanno bisogno di conoscere quali sono i loro diritti e le leggi che le tutelano, perché la conoscenza arricchisce e rinforza le donne, si occuperà di donne.. perchè di fronte a tassi di inattività che vedono la metà esatta delle donne fuori dal mercato del lavoro, ancora di più è di vitale importanza uno spazio radicato nel territorio che permetta di intercettare i bisogni di queste donne che diversamente non saprebbero dove rivolgersi. Il centro donna vuole essere una rete di relazione tra donne perché  spesso i fenomeni di discriminazione e di violenza implicano la mancanza di una rete adeguata di supporto alle donne che si sentono sole e incapaci di gestire e fronteggiare la situazione. E le conseguenze psicologiche delle discriminazioni e del mobbing sono diverse e complesse:  sia a livello emotivo con attacchi di panico e vissuti di persecuzione, terrore di andare al lavoro, ansia, depressione, sia a livello relazionale con amici a parenti. Racconta una donna discriminata a lavoro e demansionata in seguito alla sua gravidanza: “la mia vita personale e familiare fu talmente condizionata, dato che parlavo in continuazione sempre dello stesso argomento,in modo ripetitivo e ossessivo, non riuscivo a pensare ad altro. Ho trascurato i miei figli e il mio compagno perché non riuscivo a staccare il pensiero. La rabbia e il senso di impotenza mi logoravano”.E’ stato stimato che una lavoratrice sottoposta a violenze nel luogo di lavoro ha un tasso di produttività ed efficienza inferiore al 60%. C’è uno striscione all’ingresso della sede della Cgil Nazionale di corso D’Italia. Dice: la violenza sulle donne è una sconfitta per tutti. E allora si può uscire dalla violenza, ma non da soli. Ci dobbiamo sentire tutti responsabilizzati, perché  ognuno di noi può fare qualcosa di piccolo, ma di molto grande se inserito all’interno di una rete sociale. E quando parlo di rete penso ai servizi qua presenti che tanto hanno fatto e sono certa tanto faranno anche in relazione al pieno avvio del centro donna:  il centro immigrazione, il sol, il servizio handicap, il centro nuovi diritti, l’ufficio vertenze, federconsumatori, il caaf e l’inca. E la conferenza dei servizi è stata l’occasione che mi ha permesso di conoscere i compagni che ci lavorano e di vedere quanto sforzo e quanta fatica fanno per portare avanti il servizio soprattutto in un momento così drammatico e complesso per il lavoro.

*responsabile del centro donna Cgil

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