Cartelli abusivi

1 Agosto 2010

stiglitz

Alfonso Stiglitz

Sono un appassionato lettore di cartelli e qualche volta mi diverto a fotografarli, soprattutto quelli più strani; anche se qualcuno manca al mio carniere come il mitico “vendo galline uccise davanti”, dal quale promana tutta la visione surreale della nostra vita. Uno si immagina queste galline con la testa penzoloni, inerte, e le gambe vivaci, leste e non sa bene se avvicinarsi al venditore, come un normale cultore dell’horror o se rivolgersi alla più vicina e meno truculenta rosticceria. Oppure un altro, visto di persona sulla porta di una chiesa, che recitava “entrate preghiamo” e, subito sotto, un secondo cartello specificava “vietato l’accesso ai non addetti ai lavori”, sul cui reale significato ancora mi sto interrogando. Ma altri cartelli, altrettanto surreali, ho potuto immortalare senza che neanche un involontario tocco ironico potesse scalfirmi. Nei giorni scorsi mi trovavo a Firenze e, in un momento libero da impegni, mi sono inoltrato nel borgo San Lorenzo, nell’area colma di bancarelle davanti e al lato della famosa chiesa. Ovunque si inciampava in un cartello ben posizionato con riportato il testo di un’ordinanza (?), sul quale vorrei invitarvi a riflettere. Come ogni ordine dato con piglio autoritario anche questo è regolarmente scritto tutto in maiuscolo muscoloso: E’ VIETATO COMPRARE MERCE FALSA E “CONTRAFFATTA” DAI VENDITORI ABUSIVI, ripetuto in inglese e spagnolo. Nell’intestazione è riportato COMUNE DI FIRENZE con il giglio, simbolo della città (forse un po’ fuori posto nella sua gentilezza) e in piè di pagina i marchi della Confesercenti Firenze, dell’ANVA (Associazione Nazionale Venditori Ambulanti), della CNA Firenze e, infine, della CISL. Non ho motivo di dubitare della buona volontà di chi ha voluto questo divieto, volto a difendere i produttori e i posti di lavoro dei loro dipendenti, l’immagine della città d’arte e così via; il problema è che il cartello in sè mi pare sbagliato e scritto in un modo un po’ surreale, non molto diverso da quello delle galline. Non sono un giurista ma dubito che dal punto di vista legale questo cartello abbia alcun valore, manca tra l’altro l’indicazione della norma di riferimento del divieto; e, poi, che ci fanno i marchi delle associazioni di categoria in un divieto la cui titolarità dovrebbe essere esclusiva del Comune? Mi sembra che configuri l’idea di vigilantes ai quali l’Ente pubblico delega i propri poteri o, viceversa, l’idea dei controllori, le Associazioni di categoria, i quali controllano che il Comune faccia il proprio dovere. E già qui l’impressione è proprio brutta, poco attenta alla distinzione di ruoli e funzioni che dovrebbe regolare il gioco della rappresentanza popolare, che è cosa diversa da quella della rappresentanza professionale o, per citare altri tempi, corporativa. Ma è soprattutto l’uso della lingua che fornisce l’immagine peggiore; in italiano l’effetto è esilarante quanto quello delle “galline uccise davanti”: E’ VIETATO COMPRARE MERCE FALSA E “CONTRAFFATTA” DAI VENDITORI ABUSIVI, da cui ne consegue che può essere tranquillamente acquistata se il venditore non è abusivo. Per cui, mi raccomando, assicuratevi che abbia regolare licenza e, quindi, comprate tranquillamente la merce, anche se falsa. Da un punto di vista legale, poi, ne consegue un altro corollario: io acquirente dovrei dotarmi di una robusta conoscenza merceologica per capire che quello che mi stanno vendendo è merce contraffatta, se no rischio grosse sanzioni, come è accaduto di recente a una turista straniera. Personalmente se mi offrono un Rolex a 10 euro riesco ancora a capire che si tratta di un falso o, eventualmente, di qualche disperato all’ultimo stadio che sta svendendo i beni di famiglia. Ma se mi vendono una borsa in pelle di marche di cui non ho mai sentito parlare, come faccio a sapere se si tratta di un prodotto a basso costo o di una contraffazione? Ma è soprattutto il terzo corollario che più mi interessa quello contenuto nella parola “abusivi”. Il termine è chiaramente la versione più burocratese o, se preferite, più apparentemente democratica di “vu cumprà”, espressione ormai quasi desueta. Sembra, infatti, che cambiare il termine ripulisca la nostra coscienza di democratici e ci permetta di continuare indenni nella classificazione delle persone. L’abusivo, in effetti, di per sé non è diverso dal venditore regolare, manca semplicemente del necessario pezzo di carta che tramuta magicamente una persona da delinquente a onesto commerciante. Un po’ come il clandestino e il regolare che sono divisi da un semplice pezzo di carta, in assenza del quale il primo può tranquillamente essere gettato in mare e questo anche quando ci si trovi in acque internazionali dove le due parole non hanno, o non dovrebbero avere, alcun senso. Un tale divieto minaccioso pare sorprendente nel momento in cui il governo sta varando una normativa per cui per creare un’attività non sono necessarie autorizzazioni preventive, un po’ come per l’attività edilizia. A questo punto si potrebbe pensare che la differenza tra abusivo e legale sta nel gradino sociale in cui uno si trova e il venditore abusivo, soprattutto il piccolo, di scale non ne ha salito neppure una, anche perché, spesso, ha la pelle di colore sbagliato. Mi stava sfuggendo il quarto corollario: e se fosse abusivo il cartello?

2 Commenti a “Cartelli abusivi”

  1. joan oliva scrive:

    Caro Alfonso, ti invierò una selezione di cartelli italiani (raccolta da un francese, per cui la traduzione) che mi è pervenuta tramite un amico sardo giramondo.
    Buone cose a tutti. A presto j.

  2. Fabio Cocchi scrive:

    Sono fiorentino e lavoro a Firenze, proprio vicino a San Lorenzo, e quei cartelli li vedo da molti mesi, con il senso di malessere e vergogna, ben descritta da Alfonso.
    Suppongo (spero) che i cartelli non li abbia messi il Comune, ma gli “ambulanti” che hanno il posto fisso e “regolare” nel mercato, e temono la “spietata” (!!!) concorrenza degli “abusivi”.
    Vero è che il Comune, i cartelli, finge di non vederli, insomma, li tollera…
    Mi sorge spontanea una domanda: ma se è reato vendere una borsa o un vestito perché sembrano così simili, ma così simili all’originale da potere ingannare i compratori, ma costano 5 euro anziché 100, i veri “criminali” non saranno per caso quelli che vendono un oggetto più o meno uguale ad un prezzo venti volte superiore…?

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