Chi è l’ottentotto?

16 Gennaio 2011

Ottentotti

Alfonso Stiglitz

Nel 1920 Antonio Gramsci rifletteva sul fatto “che gli scrittori borghesi considerano gli operai da un punto di vista uguale a quello da cui gli inglesi considerano gli ottentotti”. Ma chi è, poi, l’ottentotto? si chiedeva Gramsci, concludendo che “l’inglese che dà pezzi di vetro all’ottentotto e ne riceve in cambio delle pepite d’oro ha ragione di considerarsi superiore all’ottentotto. Ma come dovrebbe essere giudicato quell’inglese che andasse a esibire ancora pezzi di vetro in un paese che ha già appreso a giudicare e a valutare? Quell’inglese sarebbe egli giudicato un ottentotto”. Quell’articolo di Gramsci, pubblicato sull’Avanti, potrebbe essere, oggi, ristampato come novità, infatti che altro è “l’inglese” Marchionne davanti agli ottentotti della Fiom? Il manager Fiat ripropone il vecchio meccanismo coloniale dello scambio tra il lavoro e i diritti: se vuoi i diritti non lavori. L’articolo di Guido Viale sul Manifesto del 9 gennaio scorso, riproposto in questa sede, ci mostra con chiarezza proprio questo, Marchionne che tenta di vendere pezzi di vetro e chincaglieria agli ottentotti di turno. È un tema che dovrebbe riguardarci da vicino perché è un sistema ampiamente adottato in Sardegna e da tanto tempo, vedi lo scambio tra tumori e occupazione nelle industrie del Sud Sardegna o nelle basi militari. Siamo noi, da sempre, gli ottentotti. Eppure, dagli accessi di lettura a questo giornale si rileva un diverso andamento degli articoli che si occupano delle nostre identità di sardi rispetto a quelli dedicati alle problematiche del lavoro. Risultato sorprendente perché ci si aspetterebbe esattamente il contrario: il Manifesto e i manifestini dei miei tempi erano impegnati sul fronte del lavoro più che su quello dell’identità, anzi, quest’ultima, soprattutto in Sardegna, era meno in quelle corde. Il Manifesto si proponeva come una ripresa de “L’Ordine Nuovo” il giornale di Gramsci e dei Consigli di Fabbrica. A chi come me scrive su questo giornale sui temi dell’identità sembra che i problemi del lavoro siano percepiti come altro dal nostro essere, dal nostro definirci, dal nostro rapportarci con il mondo. L’indipendenza, argomento molto dibattuto in questi tempi, è letta come affermazione dell’identità a prescindere dal tema del lavoro e di quale lavoro. Gli operai dell’Asinara hanno avuto, fortunatamente, molta visibilità e giusta solidarietà, ma non entrano nel nostro interesse per l’identità. È cosa diversa. Lo si è visto in particolare nella lotta dei pastori, che ha avuto altrettanta visibilità, meno male, e solidarietà, soprattutto in quanto percepiti come sardi, come produttori tipici sardi, a differenza degli operai. È il modello resistenziale che ancora ci attanaglia, il modello che si fonda sull’equazione veri sardi = pastori = resistenti. Da qui anche una certa sorpresa verso la lotta di pastori non mastrucati, interni alle battaglie contemporanee, con sistemi sperimentati dal movimento operaio da più di un secolo. Oggi che quasi la metà dei giovani sardi non ha prospettive occupazionali, la perdita del lavoro e dei diritti sul lavoro significa concretamente la perdita della capacità decisionale sul nostro destino; e, allora, a quale autogoverno possiamo aspirare? Se il modello del lavoro è quello proposto da Marchionne, altro non è che quello già operante in Sardegna: malattie e insicurezza in cambio del lavoro e, soprattutto, del silenzio. Un silenzio assordante come mostra il caso del libro “Nel paese dei Moratti” di Giorgio Meletti di cui si parla poco anche per la minaccia di azione legale nei confronti dei “mass media che, in qualsiasi forma e sede, allo stesso abbiano dato o diano spazio e risalto” (Radio Press 14.12.2010). Identità e lavoro sono due facce della stessa realtà; un esempio sono le discussioni, certamente più partecipate, sulla lingua sarda. Ho partecipato e partecipo al dibattito sulla lingua e, a differenza di altri, lo ritengo centrale, come diceva ben più autorevolmente di me Gramsci, e strettamente intrecciato a quello del lavoro. Se non siamo padroni delle nostre lingue non siamo padroni del nostro futuro, del nostro lavoro e dei nostri diritti. Mi piacerebbe che fossimo come gli ottentotti di Gramsci, capaci di rovesciare i rapporti: “mentre l’ottentotto capisce l’inglese, l’inglese non comprende l’ottentotto e perciò non è capace di dominarlo e di sfruttarlo” e l’ottentotto gramsciano è colui che conquista i propri diritti imponendo all’interlocutore la parità di lingua, di rapporti e di capacità decisionale.
P.S.
Questo intervento è dedicato ad Angelo Morittu in segno di solidarietà; la parola è l’unico strumento che ho per manifestargliela. Angelo, lettore di questa rivista nella quale ha pubblicato vari interventi sulle tematiche dell’indipendenza, ha subìto un attentato a fine anno. È uno stillicidio quotidiano nei confronti di chiunque si muova nella nostra società siano amministratori, attivisti politici, imprenditori, cittadini impegnati, operai. L’attentato sta diventando uno dei lati oscuri, negativi, delle nostre identità. L’incapacità di proporsi al confronto diretto, cara a cara, e la codardia dell’agire nascosto come sottoprodotto di una pseudobalentia, mistificata come forma primitiva di resistenza, come se la violenza sia insita nel nostro essere, esattamente secondo la visione che gli inglesi avevano degli ottentotti. Anghelè, a mellus annus.

4 Commenti a “Chi è l’ottentotto?”

  1. Gristolu Thibaudeau scrive:

    bello e denso articolo il tuo, grazie e SOLIDARIETA’ ad Angelo Morittu !

  2. Angelo Morittu scrive:

    Desidero ringraziare Alfonso, Gristolu e l’intero Manifesto Sardo per la solidarietà dimostratami fin dal primo momento. Dedicarmi uno scritto che riguarda il Gramsci-pensiero mi sorprende e mi accontenta, se non altro perché al momento ad altro non attribuisco questa intimidazione se non al mio non riuscire a rimanere indifferente. Non credo infatti di avere altre “colpe” se non nella mia libertà di espressione, visto che “nei fatti” non credo di aver offeso mai nessuno, non essendo mai stato amministratore, nè candidato e nemmeno attivista di alcun partito, posto che tali attività meritino simili “attenzioni”. Fondamentalmente, per chi non mi conosce e che magari pensa: “de badas non bi l’ant fatu“, sono un blogger che nel tempo libero scrive di quello che non va in Sardegna e nel mondo, quindi, come diceva il Marchese del Grillo: “uno che non conta un cazzo“. Dopo la normalizzazione e neutralizzazione dei giornalisti dei media tradizionali, arriverà forse quella dei blogger e dei cittadini comuni che osano scrivere eresie? Eh già, poiché di eresie ultimamente ne ho espresso parecchie e non saprei quale sia stata la più insopportabile e per chi. In attesa di saperne di più continuerò a fare l’ottentotto che non capisce il mondo in cui vive, o se preferite continuerò a far funzionare la mia mente distorta. Grazie, Angelo.

  3. Marcello Madau scrive:

    Alfonso, con elementi di riflessione importanti, rileva ciò che abbiamo discusso nei giorni scorsi all’interno della redazione: la maggiore attrattività, a seguire gli accessi di lettura, di ‘identità’ rispetto a ‘lavoro’. Dall’inizio della nostra esperienza dedichiamo attenzione all’identità, e l’idea, a un certo punto, di avvalerci anche dei contributi di Alfonso testimonia l’importanza data al tema.
    Siamo coscienti che il seguito di un tema non ne certifica ovviamente la maggiore importanza, forse neanche per Gramsci (il cui pensiero è peraltro assai legato a matrici idealistiche) lo era. Gli accessi di lettura web vanno meditati, dipendendo da vari fattori e da orientamenti-links anche di un solo sito o di una specifica enclave, ma possiamo talora leggere segni non confortanti se appare minore, per l’importanza globale che essi hanno, l’attenzione sui fatti di Mirafiori.
    Penso che nella storia e nelle scelte manifestine l’audience non c’entri, però è utile coglierne i segni e trarne decisioni: una è che dovremo impegnarci di più e meglio sui temi del lavoro, se siamo convinti della sua centralità e non, al di là della sua grande importanza, di quella della lingua.
    Il problema – qua può aiutare l’identità territoriale– è la storia e la natura del lavoro in Sardegna, non interpretabile con le letture prodottesi nei territori industriali. Ritardo drammatico soprattutto a sinistra, che la nostra tradizione pintoriana è chiamata, direi quasi obbligata, a cercare di sanare, se possibile senza incrementarlo con analisi obsolete o dando priorità politiche fuorvianti.

  4. joan oliva scrive:

    Grazie Alfonso per i tuoi giusti richiami.
    Solidarietà ad Angelo Morittu.
    joan

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