Inettitudine ad umiltà e lavoro

16 Marzo 2011

Pierluigi Carta

I pigmei e gli yanomani non emigrano, gli africani e gli asiatici che arrivano in Italia hanno i cellulari nel taschino, molti italiani si immaginano ancora l’arrivo in massa del “buon selvaggio”, ma non è così. In Italia gli immigrati fanno i soldi e patiscono la fame, e vale lo stesso per la Sardegna. Un cinese in Cayenne che porta il figlio alla scuola privata sarà pur diverso da una filippina assunta come badante a tempo pieno, o da un senegalese che fa il manovale a chiamata; eppure tutte queste figure hanno qualcosa che li accomuna. La storia dell’umanità è da sempre storia di migrazioni di uomini e di popoli, ma solo oggi rappresenta un quid politico/mediatico così scottante. La parola esodo -che ha origini greche- indicava la parte finale delle Tragedie, quando il coro abbandonava il palcoscenico. Nel mondo post-rivoluzionario, dissipati i miti dell’eldorado d’oltremare, l’inizio della migrazione coincide con l’inizio della tragedia. Dato che i telegiornali evidentemente hanno un budget linguistico e metaforico limitato, utilizzano in modo indiscriminato tale parola anche in senso vacanziero e automobilistico, dando poi l’impressione che l’arrivo dei migranti si risolva con due sbarchi.  Una volta bloccate le navi a Lampedusa, si spengono i riflettori sulla baia, lasciando i telespettatori ignoranti sulla reale situazione di cambiamento, e i migranti in pasto ad un mercato asfittico, ad un’invisibilità amministrativa e alle cosche malavitose. Se le rivoluzioni sono un fatto di sangue, le migrazioni sono un fatto di sudore e lacrime. L’epoca delle migrazioni precapitaliste è conclusa, e oggi i migranti si mettono in moto sotto la spinta centripeta del Capitale. Esportare il capitalismo (o la democrazia) significa distruggere in tempi più o meno rapidi i sistemi economici precapitalistici, e quindi creare mercati nuovi a disposizione dei paesi più avanzati, ma anche rendere impossibile la sopravvivenza di milioni di uomini. Coloro che migrano verso le metropoli sono costretti a fuggire dai loro paesi, non perché i loro paesi siano arretrati o immobili, ma perché vi si stanno investendo capitali che disgregano le vecchie economie. Ora, il reporter Ryszard Kapuscinski affermò che -decolonizzarsi culturalmente, significa acquisire la consapevolezza dei torti subiti non da noi stessi, ma dalle generazioni passate. Torti che sono il frutto dell’era dello schiavismo e delle conquiste coloniali-. Se tale acquisizione è avvenuta ideologicamente,  non è corroborata da un’azione pratica. L’occidente capitalista e colonialista continua ad attrarre, e drenare giovani uomini e donne da ogni angolo del pianeta. Anzi, l’occidente si è sparpagliato, in quanto le “migrazioni interne”, statisticamente maggioritarie, seguono le rotte verso le grandi metropoli del sud del mondo e dell’est, oltre che del consueto nord. In questo decennio di cambiamento antropologico, l’Italia ha giocato un ruolo chiave per le rotte sud-nord, e in pochi anni ha raggiunto con il suo 7%, per quanto riguarda le presenze di stranieri in patria, le percentuali dei paesi europei d’immigrazione storica, come Francia e Gran Bretagna.  Pure la Sardegna ha esperito un trend differente rispetto al passato; l’isola infatti, pur mantenendo una percentuale minima di stranieri -lo 0,8% degli immigrati in Italia- già da diversi anni è stata promossa a meta per i ricongiungimenti familiari, per la residenza elettiva e la stanzialità territoriale dei cittadini stranieri. -L’unica pecca di questa terra?- afferma l’Immigrato in Sardegna -non c’è lavoro-. Qui l’immigrato di turno mette sale sulle ferite, ma certo è che prima di approdare sull’isola, la maggior parte di loro sapevano a quel che sarebbero andati incontro. Il passaparola tra le “réseaux migratoires” è uno strumento affinato, e non è un caso se molti di loro son riusciti ad inserirsi, spesso come lavoratori autonomi, nelle nicchie lasciate scoperte dal mercato primario della regione.  Inoltre i lavoratori stranieri continuano, nonostante la crisi, ad incontrare minori difficoltà nel trovare nuove opportunità di inserimento; anche grazie al fatto che si adattino ai lavori delle 3D (dirty, dangerous, demanding). Ciò avvalora purtroppo la tesi del Ministro della Gioventù, Giorgia Meloni, la quale ha affermato che -i giovani italiani soffrono di inettitudine all’umiltà-. Dal 2000 ad oggi, gli assicurati INAIL nati all’estero sono aumentati del 10,4% all’anno, raggiungendo i 23.127 -di cui la percentuale femminile è del 44,9%-. Una grossa fetta di questi, viene assorbito dal settore dei servizi -quasi il 64%-, un quarto è impiegato nell’industria e più o meno 1.800 di loro vivono di agricoltura e pesca. Il 2009 però è stato il primo anno dove le nuove assunzioni di lavoratori stranieri ha subito un brusco tracollo: fino a 1.080 unità in meno rispetto al 2008 e ben 2.490 in meno in rapporto al 2007. Le difficoltà connaturate alla situazione economica isolana, non hanno impedito l’invio di consistenti rimesse verso i vari paesi di provenienza. È la Romania ad aggiudicarsi il primo posto come serbatoio di rimesse, con la ricezione di 18.128.000 € solo nel 2009 -il 27,7% di tutte le rimesse dalla Sardegna-. È di 65.454.000 € il valore totale delle rimesse in uscita dall’Isola, dalla provincia di Sassari è partito un 42% della quota, segue Cagliari col 41%, mentre Oristano è ultima col 4,7%*. Il settimo rapporto del CNEL sull’integrazione, ha rilevato che la difficile congiuntura economica non aiuta certamente ad una maggiore apertura dei locali verso le presenze straniere. Ma la Sardegna, seppur in fondo alla classifica stando all’indice assoluto sul potenziale di integrazione, si colloca al 4° posto della graduatoria differenziale, basato sullo scarto tra il dato degli immigrati e quello degli autoctoni. Ciò significa che le condizioni di inserimento sociale e lavorativo per i locali e per gli immigrati, non son poi così distanti. Chiosando si potrebbe affermare che in Sardegna stiamo diventando tutti più poveri, e per questo, un po’ più uguali. Le difficoltà economiche della regione non sono certo da imputare agl’immigrati, ma sono strutturali. Se il cammino da seguire rimarrà in discesa, i giovani nostrani saranno costretti a scrollarsi da questa “inettitudine all’umiltà”, oppure riprenderanno il cammino verso nuovi eldorado. Chissà cosa preferirebbe la nostra ministra della Gioventù.
*Dati del XX Rapporto Immigrazione Caritas/Migrantes.

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