Ora e sempre

1 Maggio 2011

Vindice Lecis

Ci è toccato dunque di assistere a un nuovo 25 aprile salutato dai manifesti irridenti del neofascismo romano inneggianti alla Pasquetta, agli striscioni veneziani contro i partigiani, ai proclami del famigerato Cirami da Salerno contro Togliatti (Togliatti?), alle intemerate paraculturali di una ex show girl contro il comunismo inculcato nei sussidiari.
Pensavamo di aver già visto molto contro la Resistenza, anche in Sardegna dove un sindaco nostalgico, prima della riscossa democratica della città di Berlinguer, anni fa aveva sprangato i portoni della casa comunale di Sassari giudicando luttuosa la giornata della Liberazione. O ad Alghero dove un altro rampante primo cittadino aveva vietato di cantare Bella Ciao, onorando invece su una lapide alcuni repubblichini in un meticciato indecoroso con i martiri della Libertà.
Invece no, altro doveva accadere, in questo 2011 dove l’anti-antifascismo si va consolidando come prassi istituzionale, cemento di governo, segno di riconoscimento della nuova classe dominante. L’aggressione non si è fermata nemmeno il 1 maggio, la festa dei lavoratori in tempi di modernità raffigurata in simbiosi con un grande concerto. Una giornata che è stata salutata dai proclami dei sindaci Matteo Renzi e Letizia Moratti con la loro pretesa di consentire le serrande alzate dei negozi (perché c’è la crisi dicono col ditino alzato), consapevoli probabilmente di assestare uno sfregio al significato universale di una festa che è da tempo patrimonio repubblicano di tutto il mondo.
Un 1 maggio gratificato, in una città come Bologna, dalla scissione dal corteo unitario di Cisl e Uil, i sindacati gratificati da Sacconi come “riformisti”. Un grande crogiuolo dove apprendisti stregoni sperimentano nuove formule contro tutto ciò che odora di Novecento. Compreso lo Statuto dei lavoratori.
Tante brutte notizie non hanno però oscurato l’orizzonte e appannato gli occhiali di chi vuole vedere. Quest’anno, infatti, 25 aprile e 1 maggio hanno avuto in tutta Italia un significato nuovo. Hanno brillato, abbracciati da tanta, tantissima gente. Che si è stretta attorno alle due feste, al loro significato, agli inni, ai simboli della Resistenza e del lavoro. E’ come se gli italiani, di fronte alla marea montante dell’autoritarismo crescente, dell’attacco ai diritti, della devastazione delle istituzioni Repubblicane ridotte a Satrapia si fossero fermati a riflettere. A non accettare di sporcare con nuovo fango la storia impastata col sangue e con i sacrifici, a diventare scudi di due momenti decisivi della vicenda del nostro Paese.
Quest’anno, anche se non con la dovuta nettezza, è apparso più chiaro il collegamento tra le celebrazioni per il 150esimo dell’unità d’Italia e quelle della Liberazione. Tra Risorgimento e Resistenza. Tra camicie rosse e brigate d’assalto Garibaldi. Un rapporto che dovrebbe aiutare alla comprensione delle differenze tra i due grandi movimenti, per gli obbiettivi e per la loro composizione sociale.
Per questo il 25 aprile di quest’anno, e il 1 maggio e il 2 giugno che arriverà, sono stati e saranno momenti di impegno contro la rimozione collettiva della costruzione democratica, contro il revisionismo storico che accomuna carnefici e vittime, combattenti per la libertà e fans delle camere a gas. Date decisive anche per combattere il leghismo secessionista e le comunità del rancore che esprime l’egoismo padanoide.

In alcune foto del 1 maggio del 1948 in diverse località dell’Emilia-Romagna si vedono fiumi di popolo sfilare con le bandiere rosse con la falce e martello e il tricolore. E trasportano grandi ritratti di Garibaldi. Erano il tratto vivente di quel filone (gramsciano e togliattiano)  nazionale e popolare. Sin da allora, all’indomani della rottura dei governi di unità antifascista per volere degli Usa, la sinistra italiana rifiutò suggestioni diverse, collaborò da protagonista alla stesura della Costituzione repubblicana, costruì la nuova Italia.
Nessun floreale determinismo, certo, anche perché non tutto andò per il verso giusto – sino al livido crepuscolo del berlusconismo – ma la difesa e lo sviluppo della democrazia è rimasta al centro di decenni di mobilitazioni popolari.
Ora  la melassa indigesta incolla le teorie della pacificazione smemorata e un revisionismo senza ricerca costruito sui memoriali repubblichini (e sui falsi diari del duce) rovescia l’Italia, e la sua anima, collocando invece borboni, sanfedisti, repubblichini e amici delle Ss in cima all’agenda della nuova Italia che stanno realizzando. Un’Italia, sia detto senza supponente iattanza, rincretinita da bombardamenti televisivi del regime mediatico-affaristico.
Ebbene proprio ora il 25 aprile e 1 maggio brillano davvero, ad indicare la strada anche “a quelli che son stanchi o sono ancora incerti”.

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