Indignamoci. Oppure no

16 Maggio 2011


Manuela Scroccu

Un piccolissimo libro di 30 pagine, o poco più, dal titolo “Indignez-vous!”, pubblicato da una sconosciuta casa editrice di Montpellier, la Indigène éditions (tradotto in Italia dalla add editore con il titolo “Indignatevi”, € 5,00 ) ha sconvolto la Francia. L’autore è Stéphane Hessel, un distinto ex diplomatico di novantatré anni con una vita da romanzo: partigiano, arrestato dai nazisti, torturato e deportato in un campo di concentramento e membro della Resistenza francese. Questo distinto signore ha venduto un milione copie, trasformandosi in un’icona per le nuove generazioni francesi.
Secondo Hessel quando ci indigniamo, diventiamo più forti e ci trasformiamo in militanti impegnati.
L’autore parla alla Francia di Sarkozy, una nazione che sta rimettendo in discussione le conquiste sociali della Resistenza e che ha varato leggi vergognose contro gli immigrati, i rom, i sans papier. Hessel si rivolge ai giovani esortandoli a guardarsi attorno per scorgere tutte le “cose intollerabili” che accadono: le violazioni dei diritti umani, la vittoria delle ragioni del profitto sui deboli della terra, i valori della pace, della solidarietà e della non violenza calpestati ogni giorno dalle ragioni della realpolitik. Ecco: questa è la strada dell’indignazione che ci rende più forti.
Un altro grande vecchio della sinistra europea, Pietro Ingrao, ha risposto alle riflessioni di Hessel in un libro intervista dal titolo: “Indignarsi non basta” (Aliberti editore, 64 pagine, 5 euro). Secondo Ingrao, l’indignazione è un sentimento che, come tale, non potrà mai dare conto delle trasformazioni sociali né guidare l’agire politico verso la risoluzione dei problemi. Nessun cambiamento reale può avvenire se non s’incardina in un’organizzazione, in una relazione condivisa, sia essa un partito o un movimento.
Senza l’agire politico, la rappresentanza è mutilata. Viene ridotta ad una questione di numeri buona per far parlare i sondaggisti nei talk show.
E’ veramente così? Queste considerazioni non possono che interrogare tutti quelli che, nel nostro paese, hanno assistito in questi anni, prima con raccapriccio e poi quasi con rassegnazione, alla lunga serie di attacchi sferrati alle radici stesse della nostra democrazia.
Ci siamo indignati abbastanza? Il problema è stato la mancanza d’indignazione oppure l’incapacità di trasformare questa emozione in un agire civile concreto? Oppure ci siamo indignati troppo, fino a soffocare? In fondo è proprio questo che Berlusconi mette alla berlina nei suoi oppositori: lo stare perennemente in cattedra con il ditino alzato e il broncio indignato, tipico di una sinistra priva di senso dell’umorismo e che non si rilassa mai.
L’indignazione dovrebbe riverberarsi nell’impegno per non spegnersi con l’attenuarsi dell’emozione. Questo è il passaggio che sembra mancare nel nostro paese. I grandi movimenti di piazza degli ultimi mesi, che hanno portato nelle strade gli studenti, i ricercatori, le donne, hanno finito per esaurirsi nella manifestazione della protesta ma non sono riusciti a consolidarsi nella costruzione di un soggetto politico e di un agire collettivo.
La moltitudine della piazza, gli slogan scanditi insieme ci hanno regalato per un momento l’ebbrezza di condividere insieme lo sdegno e la rabbia che sempre più spesso sfoghiamo nell’intimità del salotto di casa di fronte al televisore che vomita le urla della Santanchè di turno.
Chi ha ragione, dunque? Per rispondere, pensiamo alla politica italiana degli ultimi giorni: la violenza delle parole del premier, gli attacchi vergognosi della Moratti all’avversario Pisapia durante la campagna elettorale per l’elezione del Sindaco di Milano e, infine, le lacrime del Presidente della Repubblica.
Hessel parla ad una Francia sicuramente in crisi e in preda a rigurgiti di estrema destra, ma quando chiede ai giovani di non cadere nella trappola dell’indifferenza ha in mente il futuro e i grandi temi della politica: quando parla d’indignazione parla di Palestina, di diritti umani, di guerra, di dittatura del profitto perché sa che Sarkozy sarà pure un pessimo presidente ma presto verrà archiviato dalla storia.
Noi, invece, siamo l’Italia di Berlusconi: la grande anomalia italiana.
Abbiamo un Presidente del consiglio che funziona come un catalizzatore d’indignazione. La scatena a comando con le sue dichiarazioni eversive e i suoi comportamenti antidemocratici (sue o dei suoi dipendenti) e poi la imprigiona, rendendola sterile.
Ogni manifesto che equipara i magistrati alle BR ci pervade di sdegno, ogni barzelletta spinta del premier ci fa fremere d’indignazione, ogni tentativo di scalpellare via dalla nostra Costituzione pezzi di democrazia ci fa tremare di rabbia. Scendiamo in piazza per gridare la nostra indignazione e ritorniamo a casa, dopo un’iniziale euforia, sempre più stanchi e frustrati dall’incapacità di trasformare questo sentimento che ci pervade in impegno e azione civile.
La sensazione è che l’indignazione, invece di essere la scintilla che accende l’impegno nella collettività, stia diventando un potente sedativo di massa per una società ciclotimica, costretta da un’anomalia democratica a vivere sopra a delle gigantesche montagne russe emotive.
No, per noi l’indignazione non è sufficiente.

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