Democrazia e ‘monnezza in Sardegna

Andrea Pubusa

La vicenda dell’importazione dei rifiuti in Sardegna presenta molti degli ingredienti di una visione acritica e populistica della democrazia. S’inventa un’emergenza solidaristica che non esiste come dimostra il fatto che l’aiuto della Sardegna è isolato e non porta alcun rimedio all’immane dramma campano, la cui soluzione và trovata in loco (è dunque emergenza campana non sarda). La si fonda su un principio forte, cui nessuna persona civile può dichiararsi insensibile, la solidarietà. S’invoca, senza le dovute mediazioni, la centralità di questo principio nella nostra Costituzione formale (in quella materiale è diverso, basti pensare alla macelleria sempre aperta nei luoghi di lavoro) per giustificare la violazione della legge regionale (art. 6, l.r. n. 6/2001) che espressamente vieta l’importazione, lo stoccaggio e lo smaltimento nell’Isola dei rifiuti urbani di altre regioni. Si dimentica però che prima del principio di solidarietà (art. 2) la Carta costituzionale pone quello della democraticità dell’ordinamento (art. 1) e il principio di legalità che è in esso ricompreso. Il che significa che la solidarietà dev’essere espressa nella legalità e nel rispetto delle regole democratiche. E si dimentica altresì che la legge rimane tale fino a quando non viene abrogata o la Corte costituzionale non l’annulla. E. in proposito, si scorda ancor più che l’art. 6 della L.r. n. 6/2001 proprio un anno fa ha superato il vaglio del Giudice delle leggi, che l’ha riconosciuta costituzionalmente legittima proprio nella parte in cui vieta l’importazione in Sardegna di rifiuti urbani ordinari.
Poi cos’ha fatto il nostro Presidente? Ha de-istituzionalizzato la decisione (benché – si ripete – sia stata adottata in contrasto con la legge regionale) saltando tutti gli organi (giunta e consiglio) e gli enti locali regionali (comuni e province interessate) e l’ha ricondotta alla propria volontà virtuosa del capo: si veda la pagina pubblicitaria a pagamento in cui si riporta l’art. 2 della Costituzione sulla solidarietà e omettendo l’art. 1 sulla democraticità dell’ordinamento). E su questa volontà del capo buona e virtuosa si chiamano poi i seguaci al compattamento, abbandonando la critica al disprezzo (egoismo e insensibilità ai mali altrui) o le manifestazioni pacifiche di dissenso ai manganelli (Porto industriale di Cagliari). Per creare il consenso al capo e all’operazione si inventano poi i diversivi. E così una grave leggerezza della Questura di Cagliari, che non ha prevenuto, impedendolo, il raduno teppistico a Bonaria, ancorché fosse preannunciato via SMS fin dalla sera prima, viene assunta a pretesto per eccitare i cittadini e le istituzioni alla solidarietà a chi li ha privati del loro potere di codecisione e a chi ha bastonato il legittimo dissenso manifestato il giorno prima nel Porto industriale.
Come si vede, una perfetta strategia istituzionale di ispirazione e risultato classicamente autoritari, camuffata dietro forme ultra-democratiche: solidarismo e disponibilità all’accoglienza.
Ma c’è un’alternativa a questa deriva intrisa d’illegalità, populismo e autoritarismo? Certamente ed è anche più utile allo scopo. Anzitutto, occorre evitare i toni emergenziali e prendersi il tempo per decidere in modo democratico. Le altre regioni lo hanno fatto e non per questo hanno mostrato insensibilità al dramma napoletano, che d’altronde non è neppure temperato dagli interventi esterni, ma deve trovare soluzione all’interno della regione campana. Il prendersi il tempo necessario per decidere significa mettere da parte i calcoli personali e l’inevitabile richiamo all’emotività, per puntare sulla ragionevolezza e sul coinvolgimento. Insomma, garantendo a tutte le voci legittimate (anzitutto istituzionali, ma non solo) di esprimere il consenso ma anche il dissenso, l’opinione della maggioranza come delle minoranze, si può pervenire ad una decisione che sarà alla fine accettata anche dai dissenzienti in quanto espressione di una procedura e di un metodo democratico. In questo modo – credo – la regione avrebbe trovato la strada per una soluzione condivisa e razionale del caso.
Cosa rimane invece di questa vicenda? L’accreditamento di Soru presso i vertici nazionali del centrosinistra (peraltro, oramai in stato comatoso), un parziale recupero di quanti lo avevano abbandonato nell’insensata pretesa di impadronirsi del PD e di consacrare nella Legge Statutaria la sua propensione autocratica e la commistione affari/politica. Rimangono però sul campo soprattutto molte macerie: il vulnus alla legge regionale senza spiegazione e con per via di fatto, la riduzione della l’autonomia a protettorato (basta il volere del capo d’intesa con gli organi statali a mettere nel nulla una legge regionale, e cioè il principio di autonomia speciale costituzionalmente garantito), l’ulteriore divisione del popolo sardo, un orizzonte oscuro per il futuro della nostra vita democratica a fronte di grandi eventi (si pensi al futuro G8) e ai problemi, che non possono trovare soluzione se non con la spinta unitaria. Ed infine i camion dei rifiuti che possono sbarcare solo al Porto industriale di Cagliari per recarsi frettolosamente, notte tempo, al Casic, perché in ogni altro percorso è precluso dal rischio di un impantanamento fra la folla dissenziente. Dal punto di vista di una democrazia critica e partecipata l’immondezza assurge così a simbolo di un grave degrado della convivenza democratica regionale.