A proposito di Mesina

16 Novembre 2017
[Graziano Pintori]

Qualche settimana fa la stampa diffondeva la notizia che la 4^ Sezione della Corte di Cassazione respingeva la richiesta degli arresti domiciliari per Graziano Mesina. Sono convinto che sulla “pellaccia” di Graziano Mesina si stia consumando una sorta di accanimento giudiziario e carcerario. Lo dico senza azzardo: lo Stato è a debito nei confronti dell’ex ergastolano, perchè si occupa del suo recupero alla vita civile già dai lontani anni ‘50 con esiti deplorevoli. L’orgolese è nelle mani dello Stato, salvo alcune parentesi aperte da evasioni, latitanze e arresti domiciliari, da oltre quarant’anni.

La storia dell’ex bandito barbaricino sarebbe il caso, a questo punto, di analizzarla non solo sotto l’aspetto criminale e sociologico, ma anche sotto quello drammaticamente umano. Dramma che non può essere scisso dal ruolo svolto dalla giustizia e dal sistema carcerario italiano, i quali dovrebbero spiegare perché il Mesina odierno, dopo tanti anni di carcere, continua a essere un ostinato recidivo, fermo restando che le antesignane teorie antropometriche del Lombroso e del Niceforo sono morte e sepolte. Se proprio non vogliamo considerare il detenuto Mesina vittima dell’aberrazione dello Stato, almeno concediamogli di essere un testimone in carne e ossa costretto a espiare pene in modo sterile e futile, con effetti che debordavano nel degrado e nella crudeltà. Se i miei giudizi sulla detenzione sono opinabili, altrettanto non può essere la fonte da cui parte degli stessi trovano origine.

Analizziamo quanto lo Stato investe mediamente per il “recupero e l’emancipazione del detenuto”. Sono 13 gli euro assegnati giornalmente per ciascuno di essi e spesi nel seguente modo: € 3,95 per i pasti; € 3,6 per spese di funzionamento; € 2,24 per compensi ai detenuti per prestazioni lavorative (pulizia locali, cucine e manutenzione ordinaria). La rieducazione, trattamento della personalità e assistenza psicologica costa 8 centesimi, 11 centesimi l’attività scolastica, culturale, ricreativa, sportiva. Con questi presupposti finanziari sfido chiunque, in condizioni detentive, a emanciparsi. Salvo che non si tratti di personaggi eccezionali come Carmelo Musumeci, in carcere da oltre un quarto di secolo, passato nell’ergastolo ostativo e altre forche caudine delle galere. Un personaggio che grazie alla sua tenacia ha conseguito più lauree, è diventato scrittore, poeta e punto di riferimento per l’umanizzazione delle carceri. Non tutti i carcerati ovviamente sono uguali: il destino di Graziano Mesina, purtroppo, non è un’eccezione.

Se il sistema scolastico statale subisse le stesse attenzioni degli istituti penitenziari, quanti studenti conseguirebbero la promozione? La promozione sarebbe un fatto eccezionale, alla stregua di un detenuto che conquisterebbe titoli di studio grazie alla personale ostinazione di voler rientrare, a testa alta, nella cosiddetta società civile. “Il carcere non è la medicina, ma la malattia”, disse il detenuto Musumeci, non a caso l’Italia oggi è fra le ultime nazioni le cui pene siano ispirate all’umanità e alla civiltà. Don Ciotti concretamente dice che bisogna “impedire alla Giustizia di diventare vendetta, impedire che la Giustizia chiuda chi ha sbagliato nel suo errore e gli neghi la possibilità di  cambiamento…”.

Sono convinto che il pluricondannato recidivo Graziano Mesina, “studente di lungo corso” presso vari Istituti Penitenziari Statali per oltre 40 anni, non debba subire una ulteriore condanna nei modi e nei termini già conosciuti e subiti. Salvo che non si tratti di pena da espiare coerentemente con l’art. 27 della Costituzione e il Regolamento Penitenziario in vigore, se tanto potrà servire a un uomo, ormai settantacinquenne, condannato a ulteriori 30 di carcere, dove ha già trascorso  più della metà della propria vita. “In manos a sa zustissia”, mani di uomini che ritengono di sottrarsi a qualsiasi senso di colpa davanti al proprio fallimento che l’uomo Mesina sta lì a dimostrare.

Holden è il carcere modello della Norvegia, la sua funzione è totalmente dedicata a preparare il detenuto alla vita che dovranno condurre quando usciranno dalla prigione: “Meglio fuori che dentro!” è il moto, non ufficiale, dell’Autorità Penitenziaria. Lungi da me l’idea che il sistema carcerario italiano sia ridotto in questo modo per esclusiva responsabilità della polizia penitenziaria, anzi la stessa con i detenuti ne subisce le conseguenze.

In chiusura vorrei accennare alla non casuale ingenuità del Ministro della Giustizia Andrea Orlando, il quale durante l’escursione a Is Arenas ha scoperto l’acqua calda: “…se le carceri fossero sostenute da opportuni progetti possono essere delle alternative al carcere che tutti noi conosciamo”. Omettendo, fanciullescamente, di dire che nel 2017, rispetto al 2016, sono venuti meno 40 milioni del finanziamento destinato al sistema carcerario.

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