Agroindustria? No grazie, orto sinergico

1 Settembre 2015
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Cristina Ibba

Oggi l’attività più nociva per il pianeta è l’agricoltura, nociva dal punto di vista sociale, umano e ambientale, e nonostante tutto questo ha anche fallito nell’obiettivo di sfamare la popolazione mondiale.

Il simbolo della primavera, la rondine, sta scomparendo e neanche troppo lentamente. La LIPU (lega italiana per la protezione degli uccelli) denuncia che in Italia (come nel resto dell’Europa) la popolazione delle rondini e anche di altre ventotto specie di uccelli (passeri, allodole ecc.), tutte legate agli ambienti agricoli, è crollata del 40% negli ultimi 10 anni. La colpa è dei pesticidi utilizzati nell’agricoltura intensiva. Le rondini mangiano 6000 insetti al giorno, quindi nelle nostre campagne ormai faticano a sfamarsi. L’Italia è tra i maggiori consumatori di pesticidi in Europa con un consumo annuo di 5,6 kg per ettaro coltivato, il doppio di Francia e Germania. Tra le regioni in testa c’è il Trentino Alto Adige con ben 42,33 kg per ettaro (che in buona parte va a finire nelle mele).

Nel rapporto di Greenpeace “Tossico come un pesticida. Gli effetti sulla salute delle sostanze chimiche usate in agricoltura” si mette in evidenza la diffusione, molto al di sopra della media nazionale, di tumori e malattie neurodegenerative quali il Parkinson o l’Alzaimer nelle famiglie contadine o che vivono in certe aree rurali. Inoltre, nonostante dal dopoguerra ad oggi in Italia gli occupati in agricoltura siano passati dal 50% al 3% il consumo di acqua per l’agricoltura è del 70% del totale, contro il 20% per l’industria e il 10% per usi domestici. Questo significa che, non solo stiamo producendo cibo tossico ma questo modello produttivo è un grave peso per la più importante delle risorse naturali: l’acqua.

E’ il modello di agricoltura dominante che, sostenuto dai grandi gruppi finanziari (industrie farmaceutiche per fitofarmaci, erbicidi, funghicidi ecc. e industrie automobilistiche per trattori e macchine agricole varie), impone un’omologazione delle colture e delle sementi, una produzione svincolata dai reali bisogni, una produzione massificata per una vendita massificata. I semi sono tutti ibridi, pertanto i contadini sono costretti a comprarli tutti gli anni. Negli ultimi venti anni in India si sono suicidati 280.000 contadini a seguito dei debiti contratti per l’acquisto dei semi brevettati da Monsanto. Mentre i nostri contadini, italiani e sardi, vivono solo grazie ai finanziamenti nazionali e europei, che finiscono, nella maggior parte, nell’acquisto di grossi macchinari e di fitofarmaci.

L’agricoltura è diventata un sistema altamente meccanizzato basato sulla coltivazione di piante e sull’allevamento che rende la terra una vasta fabbrica di cibo controllata da un ridottissimo numero di multinazionali. E poi c’è il capitolo OGM che le multinazionali stanno cercando di imporre in tutto il mondo.

Tutto ciò è l’inevitabile prodotto di una cultura che, in maniera scientifica e consapevole, si è data il compito di dominare e sfruttare la terra, per tutto ciò che può avere valore commerciale. E’ l’atteggiamento del capitalismo, industriale e pre-industriale, nei confronti della terra: atteggiamento utilitarista, sprecone, colonialista.

L’agricoltura attuale è interessata a produrre reddito più che cibo. L’utilizzo di tante tonnellate di concimi chimici, diserbanti, erbicidi, funghicidi e l’utilizzo di macchine che arano sempre più in profondità, provoca la mancanza di materia organica nel suolo, la distruzione dell’humus e l’inquinamento delle falde acquifere.

Ci troviamo sicuramente ad un punto critico perché l’erosione e l’impoverimento del suolo, l’aumento delle inondazioni, l’abbassarsi delle falde acquifere, la scomparsa della fauna selvatica, non sono solo nel cosiddetto terzo mondo, ma anche negli Stati Uniti, in Russia, in Germania, in Spagna, in Francia e in Italia. Penso sia giunto il momento di riflettere attentamente su ciò che si può e si deve fare per frenare la distruzione provocata da questa agricoltura chimica. L’umanità ha l’esigenza di far ricorso all’agricoltura per nutrirsi, ma è necessario re-impostare tutto per riuscire a produrre cibo senza danneggiare noi stessi e il nostro pianeta.

Ognuno di noi può agire per ridurre la propria partecipazione ad un sistema così distruttivo. Se utilizziamo il nostro denaro per comprare cibo prodotto industrialmente, che quindi distrugge il terreno, l’acqua, l’aria, la vita, saremo anche noi complici di tutti i danni e le catastrofi create.

Cosa si può fare? Per esempio possiamo autoprodurre un po’ di cibo per poterne comprare di meno; possiamo incominciare con un terrazzo, un piccolo giardino, uno spazio condominiale o pubblico. Tutto questo è possibile anche in città. Possiamo organizzarci per costruire delle C.S.A. (comunità che sostengono gli agricoltori), dove più persone sostengono un agricoltore che produce gli alimenti di cui i membri del gruppo hanno bisogno.

E soprattutto si possono e si devono scambiare i semi da contadino a contadino, con cui tramandare, scambiare, diffondere conoscenza e soprattutto biodiversità agricola. È quello che avviene in tutt’Italia ormai da alcuni anni grazie a una vera e propria rete organizzata: la rete dei semi rurali, fondata nel 2007. Anche in Sardegna sono tante le reti di produzione e consumo alternative all’agroindustria e alla grande distribuzione, che testimoniano, fuori dalle statistiche, il vero ritorno alla terra. Tante agricolture biologiche e contadine su piccola scala e diversificate, si affermano e collaborano con la città nella quale si creano nuovi spazi di mercato e di economia.

Sono le agri-culture contadine che resistono allo sfruttamento del sistema di mercato e si oppongono alla distruzione dei suoli, fermano lo spopolamento delle campagne e riportano agro biodiversità nelle pianure. Ma soprattutto si sta sviluppando l’agricoltura sinergica, un metodo fortemente innovativo, elaborato dall’agricoltrice, permacultrice e insegnante spagnola Emilia Hazelip, che, seguendo le orme del microbiologo giapponese Masanobu Fukuoka, si fonda sul principio dell’autofertilità del terreno. Emilia ha cercato di applicare i principi di fondo del regno vegetale, incontaminato e selvaggio, all’agricoltura, in maniera tale che sia in perfetta armonia con esso. Innanzitutto aveva notato che in natura la terra è sempre coperta. Si difende grazie ad un manto verde (la prateria) o ad una coperta di foglie (il bosco).

Non è mai nuda, eccetto i luoghi molto frequentati dagli animali e dagli umani (sentieri, strade, insediamenti), in quelli in cui vi è stato un evento calamitoso o nelle zone desertiche. Un altro luogo in cui la terra è spoglia è negli orti e nelle coltivazioni. Nell’orto sinergico quindi una delle regole fondamentali è provvedere ad un manto “artificiale” (pacciamatura) di paglia o di foglie, per proteggere il suolo dal compattamento e dal dilavamento causati dalla pioggia, nonché dall’azione aggressiva del sole, facilitando lo sviluppo della microfauna e della microflora. La pacciamatura non è altro che un “tampone termico” che svolge un’azione protettiva sia nei mesi freddi che nei mesi caldi. L’orto sinergico quindi d’estate necessita di molta meno acqua rispetto alle coltivazioni su terra nuda.

Un’altra caratteristica dell’orto sinergico è la presenza di varie famiglie di piante nelle stesse aiuole e negli stessi filari: fagioli con bietole e mais, pomodori con basilico e fagioli, cavoli con piselli e così via, il tutto intervallato da fiori protettori delle coltivazioni come la calendula officinalis, il tagete, il nasturzio. Tutto questo caos variopinto fa si che non si corra il pericolo di epidemie come nelle monocolture. Nell’orto sinergico le piante vengono raccolte senza estirpare le radici, che forniranno ulteriore humus al terreno, le foglie secche vengono lasciate sul suolo, le stesse piante restano nella terra per tutto il loro ciclo vitale. Piante vecchie e piante giovani condividono lo spazio insieme a piante di diverse famiglie (come nelle belle società), creando un ambiente sano e ricco di biodiversità e facendo dell’orto, non un lavoro ripetitivo, ma un sistema in continua evoluzione.

È un’agricoltura che prende realmente in considerazione la vita del suolo e l’ecologia del nostro pianeta. Il terreno ha una sua vita propria ed è uno degli organismi viventi più complessi. Lo scopo dell’agricoltore è di relazionarsi con questo organismo nel rispetto della sua fisiologia, mentre ottiene da esso le colture di cui ha bisogno. Il rapporto deve essere di collaborazione non di colonizzazione per avere un ritorno a breve termine.

Con tutte queste cortesie, che trasformano il lavoro agricolo in una piacevole arte, si pareggia il bilancio energetico: si restituisce alla terra più di quanto le si prende e se ne ottiene in cambio la sua salute, buoni frutti e abbondanti e un’autofertilità in continua crescita. La biodiversità è il carattere distintivo di questa bella natura e quindi il fondamento della stabilità ecologica.

La Danimarca ha messo a punto un piano di oltre 53 milioni di euro, solo per l’anno 2015, per convertire l’agricoltura di tutto il paese in agricoltura biologica e sostenibile; diventerà quindi il primo paese al mondo dove l’agricoltura sarà biologica la 100%.

E noi cosa aspettiamo a seguire questo bell’esempio?

2 Commenti a “Agroindustria? No grazie, orto sinergico”

  1. Giorgio Massidda scrive:

    Grazie Cristina per questo strepitoso articolo. Pulito, potente e ad “onda lunga”, adatto alle nuove semine di consapevolezza.
    Un abbraccio.
    Giorgio

  2. Martina Ghiazza scrive:

    Buongiorno Cristina e complimenti per tutto quello che hai scritto. Conosco l’agricoltura sinergica, da amici e familiari.
    Mi occupo di terapie olistiche, yoga e comunicazione e cerco di vivere il più possibile in comunione con la natura, anche se non ho un orto mio.
    Sto mettendo a punto un progetto video per la divulgazione di un concetto che riguarda l’energia umana e la sua interazione con l’ambiente, che per un ribaltamento di valori avvenuto nel medioevo, ha causato in noi un allontanamento dalla natura, rendendoci inconsapevoli co-creatori dei cambiamenti climatici in corso. Benché sia una visione yogica, che parte cioè dall’interiorità, si estende alla terra, l’industria, l’etica, l’economia e la politica. Ho trovato la foto in cima all’articolo che ho scaricato e ho insrrito nel video di presentazione e poi ho scoperto essere legata a questo sito. Volevo chiederti se posso usare la foto e se ti/vi interessa partecipare al progetto che si chiama Habibi. Per adessso la presentazone del progetto è in pp con un link privato che do soltanto a chi è interessato. Quindi ti mando il link: https://onedrive.live.com/edit.aspx?resid=386116A16C7A6B4C!284&ithint=file%2cpptx&authkey=!ALd9IyTaaYB3-Lc
    Mi interessa sapere se ti interessa supportarmi con le tue immagini in cambio di un ringraziamento nei titoli di coda.
    Nel caso non avessi tue notizie per 30 giorni da oggi, lo prendo come un consenso ad utilizzare la foto. Grazuie mille e buon tutto, Martina Ghiazza

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