Antonio Mele e le prospettive della lingua sarda

1 Aprile 2016
Mele_Pintori
Graziano Pintori

Antonio Mele è un professore di lettere in pensione, da sempre studioso del latino, del greco e dei classici. Da studente universitario seguì le lezioni del pregiatissimo prof. Antonio Sanna docente di linguistica sarda, il quale gli trasmise la passione per la nostra lingua e il giusto incoraggiamento per temprare la conoscenza studiando Max Leopold Wagner e altri eminenti studiosi: Terracini, Lilliu Ferrer, Pittau, ecc. In piena maturità il nostro prof. Mele si è voluto cimentare nella pubblicazione di due opere “…con un semplice scopo divulgativo e stimolo per le nuove generazioni, perché s’impegnino nello studio, leggano e attizzino la curiosità, si informino e convivano con la nostra cultura”.La prima si intitola: “Termini prelatini della lingua sarda tuttora vivi nell’uso” pubblicata nel 2015; la seconda pubblicata nel 2016: “Termini attinenti all’ambito avio-faunistico con relativa proposta etimologica”. Chi ha/avrà la fortuna di avere tra le mani i due libretti si sentirà immerso in una dimensione che nulla ha da spartire con la lettura dei lemmi, disposti severamente in ordine alfabetico, dei vocabolari, nel leggerli si sente “…una grande orchestra in cui le varianti fonetiche sono come singoli strumenti che insieme danno vita ad un concerto…”. Certa musicalità volendo si può cogliere leggendo ritmicamente una parola “qualsiasi”, per esempio: Grodde, Groddo, Lodde, Loddo, Loddosu indica la Volpe secondo la parlata delle diverse zone della Sardegna; mentre Groddo, Droddi, Doddi lo Scricciolo in altre; ancora: Tilikerta, Θilikerta, S’Aligenta, Aligerta e così via, fino a citare diciannove modi diversi per indicare la Lucertola. Molte parole sono di origine prelatina, ossia quel periodo che non ci ha lasciato nessun documento scritto e iscrizione che Wagner ha definito “Il Mistero della Sfinge Sarda”, molte altre voci invece sono indicate con la genesi etimologica, semantica, morfologica, molte altre secondo le origini onomatopeiche, apotropaiche o tabuistiche, naturalmente con rigoroso rispetto degli studi e dei pareri dei più eminenti linguisti. Nel secondo volumetto sono riportati circa 230 lemmi attinenti l’ambito avio-faunistico, dove, per citare nuovamente la Volpe la ritroviamo sotto il nome di Gurpe da cui deriva Gurpinu, che indica il colore del manto delle vacche e nella toponomastica sopravvive in Monte Urpinu (CA). Di seguito con la stessa lettera G possiamo leggere Gurturju, GurtulĞu, GurturĞu e via di seguito con numerose varianti fonetiche locali che indicano l’Avvoltoio; stesso discorso per Crokkire, Čokkire = Chiocciare, Covare della Gallina, con tutta la sua genesi. Il metodo di lavoro utilizzato dall’autore riconosce a ciascun vocabolo la dovuta dignità storica e socio-linguistica, indipendentemente dalle regioni di provenienza. Prof. Mele è ben consapevole che alla varietà delle pronunce e alla comune radice del nostro parlare si devono la musicalità della lingua sarda e la capacità di tutti i sardi di capirsi nonostante le numerose varianti: “basta che ci si ascolti in sardo”dice l’autore.

Privare i sardi della ricchezza del loro idioma sarebbe una barbarie, un olocausto linguistico insensato e ingiustificato, i cui responsabili dovrebbero essere individuati anche tra i precursori della cosiddetta “Limba Comuna Sarda o Limba de Mesania”, o “Esperantistica” come definita nel libro. Si tratterebbe di una parlata costruita a tavolino, una lingua artificiale con la pretesa di sostituire “una lingua che si evolve, si trasforma e si arricchisce se è usata e parlata dal popolo…”. L’impressione che si percepisce è che gli artefici dello “stilnovismo” in salsa sarda sa anche di “stilsabaudo”, per ricordare i tempi in cui venne imposto l’italiano come lingua madre dei sardi, cioè un metodo politico e violento per imporre una lingua “impropria” al posto della lingua propria dei sardi. Infine, l’uniformazione grafica del sistema linguistico sardo sa proprio di puro nazionalismo, una forzatura, anche questa, squisitamente politica perchè a mio parere, e non solo, già esiste una grafia sarda che è quella che liberamente ciascuno adotta secondo il proprio sentire sia in letteratura, sia in altri semplici atti. Non a caso nell’introduzione del secondo libro Prof. Mele ci ricorda che “le vicende storiche della Sardegna non hanno consentito l’affermazione di un dialetto con carattere di lingua nazionale o letteraria”. Di conseguenza, secondo me, sarebbe stato più opportuno pretendere dallo Stato Italiano il riconoscimento del Sardo come lingua propria dei sardi, elevarla realmente e praticamente a lingua d’istruzione e co-ufficiale con l’italiano. Tutto questo senza pretendere forzatamente un’artificiosa lingua nazionale  non sentita  nel vivere quotidiano del popolo sardo.

2 Commenti a “Antonio Mele e le prospettive della lingua sarda”

  1. Giuanna Dessi scrive:

    Solo chi scrive e si esprime in italiano, non sente il bisogno di coerenza grafica nella lingua sarda, ricorda un po’ quei viaggiatori ottocenteschi che dipingevano come meravigliosi i selvaggi incontrati lungo il loro cammino e per loro si auguravano l’immobilismo evolutivo per non essere privati di quell’Eden, facile per chi è solo viaggiatore e torna alla pace e ordine de suo sistema culturale ben normato e standardizzato–

  2. FARA Pietro scrive:

    il piu grande professore della sardegna un grande capolavo, e una grade conoscenza del latino e della storia sarda.Un abraccio Pietro da Glasgow Scotland ciao

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