Articolo 3 della Costituzione

1 Dicembre 2013
femminismo
Gianfranca Fois

“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali di fronte alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.”
Inizia così l’articolo 3 della Costituzione italiana. E’ uno degli articoli più importanti se non il più importante, ma anche quello che è stato meno attuato.
Basta leggere il seguito, cioè la seconda parte per rendercene maggiormente conto: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Sono parole attualissime ma che ben poco sono state rese concrete dai vari governi della storia della Repubblica e non solo sono state completamente ignorate dai governi di centro destra berlusconiani di questi ultimi venti anni, ma addirittura contraddette, pensiamo solo all’atteggiamento nei confronti dei migranti con o senza il permesso di soggiorno.
In questo momento però, a pochi giorni di distanza dal 25 novembre, giornata contro la violenza sulle donne, vorrei parlare della situazione delle donne in Italia, o meglio, partendo da degli spunti presenti nei numerosi interventi che ho letto o sentito, vorrei riflettere su alcuni aspetti che ritengo importanti e che, a mio parere, non sono stati sufficientemente approfonditi.
Anzitutto non ci si è fermati abbastanza sul fatto che, a proposito di femminicidio o di violenza contro le donne, si è intervenuti con l’ottica della sicurezza, tipico modo di impostare i problemi da parte della destra, e dell’emergenza. Perciò è stata emanata una legge, di cui forse non c’era bisogno essendoci già tutta una serie di decreti legislativi, che prevede sanzioni o pene di varia natura ma non prende sufficientemente in considerazione due aspetti importantissimi, senza i quali ogni discorso è vano: anzitutto la rivoluzione culturale che deve avvenire in questo paese e che invece trova tantissimi ostacoli ad ogni livello.
E’ fuor di dubbio che in Italia le conquiste delle donne non sono state accompagnate da un cambiamento della mentalità della società, e in particolare di quella maschile, arcaica e maschilista, azioni, stereotipi e luoghi comuni sessisti, espressi spesso anche in modo inconsapevole, li vediamo ad ogni livello, nella comunicazione, nella politica, nell’informazione, nei discorsi delle persone comuni,.
E’ proprio di questi giorni ad esempio la notizia che ha ricevuto un avviso di garanzia per diffamazione una giornalista che aveva espresso le sue critiche nei confronti di una pubblicità che ritraeva la foto di una bambina che si truccava.
E, a proposito di pubblicità, vorrei ricordare che la maggior parte degli spot antiviolenza mostrano figure femminili in fuga, volti di donne deformati dalle percosse, manca invece la figura maschile, quella cioè di chi agisce in modo violento. Questo è molto grave perché conferma il luogo comune della debolezza femminile (il sesso debole), della sua necessità di dipendere dall’uomo e rafforza l’idea che la donna ha bisogno di protezione perché non è in grado di essere autonoma, idea che le donne nella loro storia e con la loro storia smentiscono e hanno smentito.
Un suggerimento in proposito ci viene dal Canada. Il 6 dicembre 1989 presso il Politecnico di Montreal furono uccise 14 donne da un uomo che si professò antifemminista. Da lì nacque nel 1991 un movimento (White Ribbon) che si è sviluppato in circa 60 paesi e che coinvolge molti uomini più o meno giovani. Questi lavorano per superare le disuguaglianze tra i generi, per prevenire la violenza e operare nella società una trasformazione culturale che interessi tutti. Nelle loro campagne gli uomini e i ragazzi, con un fiocco bianco che simboleggia la loro lotta, testimoniano contro la violenza sulle donne.
Il secondo aspetto riguarda gli uomini maltrattanti, penso che sia giusto che nei loro confronti, oltre alla condanna a pene severe, venga avviato un processo di recupero e di dialogo, insomma le Istituzioni dovrebbero anche farsi carico, se non in prima persona almeno supportando in vario modo le iniziative a riguardo, delle strategie che aiutino questi uomini a riflettere sui loro atteggiamenti e sui loro comportamenti violenti, coinvolgendo eventualmente in questo dialogo anche le loro famiglie. E’ necessario cioè trovare la via per incidere e per modificare i comportamenti e le relazioni tra uomini e donne. C’è molto silenzio su tutto ciò, a parte l’apertura, non molto pubblicizzata, di alcuni centri per gli uomini, pochi e, soprattutto, nel centro nord, niente al sud.
Per concludere vorrei ricordare quanto ha scritto recentemente Lea Melandri: “Chiediamoci…quanta strada in salita c’è ancora da fare perché il rapporto uomo-donna esca dal privato e prenda la rilevanza culturale e politica che gli spetta”.

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