Bambini invisibili

1 Agosto 2009

Manuela Scroccu

Il signor Giovanni Daveti è il responsabile per gli affari che riguardano la comunità cinese per la prefettura di Prato. È un funzionario dello Stato che, conoscendo il proprio lavoro, si è limitato a far osservare come nel cosiddetto “pacchetto sicurezza” (Legge 15 luglio 2009, n. 94) sia stata inserita una norma che obbliga i clandestini a mostrare il permesso di soggiorno negli atti di Stato civile. Il vecchio decreto legislativo 286/1998 (il testo unico sull’immigrazione così come modificato dalla famigerata Bossi Fini) all’art. 6, comma 2, prevedeva che il cittadino straniero non fosse obbligato a presentare un documento di soggiorno per i provvedimenti riguardanti gli atti di stato civile. Il pacchetto sicurezza (ormai legge), invece, modifica questo articolo rendendo obbligatoria l’esibizione di un permesso di soggiorno valido con la sola eccezione dei “provvedimenti riguardanti attività sportive e ricreative a carattere temporaneo e quelli inerenti all’accesso alle prestazioni sanitarie di cui all’articolo 35 e per quelli attinenti alle prestazioni scolastiche obbligatorie”.
Si tratta di poche righe che di fatto potrebbero ledere uno dei diritti fondamentali del minore, sancito dall’ l’art.7 della Convenzione sui diritti dell’infanzia di New York del 20 novembre 1989, ratificata in Italia con la legge con la legge n. 176 del 27 maggio 1991. Convenzione di cui quest’anno si sono celebrati i vent’anni, con tanto di pubblicità progresso sponsorizzate dal Governo italiano Così recita: “Il fanciullo è registrato immediatamente al momento della nascita e da allora ha diritto ad un nome, ad acquisire una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i genitori e a essere allevato da essi”. Il diritto alla registrazione, peraltro, viene considerato un diritto di base, il primo anello a cui ancorare la catena di diritti di ogni minore, strumento indispensabile per porre un freno al cosiddetto traffico di bambini e per impedire il traffico di organi e le adozioni illegali.
La norma introdotta, ironia della sorte, dal “pacchetto sicurezza (ma sicurezza di chi, bisognerebbe chiedersi?)” di fatto potrebbe favorire proprio la criminalità organizzata, costringendo le famiglie irregolari ad affidarsi a persone senza scrupoli per aggirare il dettato della legge. Inoltre vi è il forte rischio che i bambini nati in ospedale non vengano consegnati ai genitori privi di permesso di soggiorno, essendo a quest’ultimi impedito il riconoscimento del figlio, e che in tali casi venga aperto un procedimento per la dichiarazione dello stato d’abbandono, in violazione del diritto fondamentale di ogni minore a crescere nella propria famiglia (ad eccezione dei casi in cui ciò sia contrario al suo interesse), sancito dalla Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dalla legislazione italiana. È ancora probabile, infine, che molte donne prive di permesso di soggiorno, temendo che il figlio venga loro tolto, decidano di non partorire in ospedale, con gli elevatissimi rischi sanitari che questo comporterebbe. Questi aspetti problematici erano stati da tempo messi in evidenza dalle principali organizzazioni che si occupano di migranti, dalla Chiesa Cattolica e dai giuristi che si occupano di diritti dell’immigrazione.
Ma per il Viminale si tratta di preoccupazioni prive di fondamento, perché nel pacchetto sicurezza non vi sono norme che impediscano esplicitamente ai genitori non in regola con il permesso di soggiorno di iscrivere all’anagrafe il figlio nato in Italia.
È vero, così come non c’è scritto chiaramente “non ci importa se affogate in mare” ma il problema non è tanto quello che la norma dice, ma quello che non dice. La disposizione di legge, se interpretata restrittivamente, potrebbe impedire la registrazione alla nascita dei figli di cittadini stranieri irregolari. E anche nel caso in cui la norma venisse interpretata nel senso di consentire l’iscrizione all’anagrafe del minore, il pubblico ufficiale, che sarebbe comunque obbligato sulla base delle nuove norme a richiedere il permesso di soggiorno, potrebbe anche essere costretto, in virtù del suo ruolo, a denunciare chi ne fosse provvisto all’autorità.
Ora il signor Daveti si è limitato a fare un’unica domanda: cosa ne sarà dei bambini figli di immigrati irregolari che nasceranno, per esempio, nell’ospedale cittadino che, per inciso, solo a Prato e solo nei primi mesi del 2009, sono stati 412?
Una domanda semplice semplice di un funzionario dello Stato, che invoca almeno una circolare chiarificatrice perché, dall’8 agosto, quando entrerà in vigore la legge, migliaia di bambini potrebbero diventare improvvisamente invisibili.
Anche un clandestino, quest’individuo – non individuo, capro espiatorio ideale di quest’Italia “senza nocchier in gran tempesta”, è in grado di capire il senso di tutto ciò. Ancora altro fango gettato sui diritti fondamentali dell’individuo, che costituiscono il patrimonio della nostra, ormai quasi invisibile anch’essa, civiltà giuridica democratica.

2 Commenti a “Bambini invisibili”

  1. Horia Corneliu Cicortas scrive:

    La cosa è inquietante e destinata a creare davvero INsicurezza, da tanti punti di vista. Si capisce che, probabilmente, nella mente del legislatore c’era l’intenzione di scoraggiare “naturalizzazioni facili”. E qui sorge tutta una questione culturale, molto più ampia: che società vogliamo? Aperta a chi, una volta arrivato o nato sul territorio nazionale, da una chance a chi vuole crearsi un futuro tra di noi, oppure chiusa in compartimenti stagni?
    Cicortas, presidente FIRI (Forum degli intellettuali romeni d’Italia)

  2. Cristina Ronzitti scrive:

    Essendomi trasferita per lavoro in Trentino, ma ancora residente in Sardegna, di recente mi sono ri-iscritta per il periodo estivo, nel sistema sanitario regionale per poter fare alcuni controlli medici durante le ferie. Tutti sapranno che occorre andare in Via Nebida, però quello che forse non si sa è ciò che occorre a un lavoratore straniero per iscriversi e accedere così ai servizi sanitari. Mentre facevo la fila allo sportello ho potuto vedere ciò che l’impiegato richiedeva a una lavoratrice proveniente dall’Est Europa: il permesso di soggiorno,il contratto di lavoro e non ultime le ricevute dei contributi versati. Ora vi immaginate di cosa priviamo un lavoratore straniero quando non lo “regolarizziamo” e lo assumiamo in nero? Di quanti diritti gli impediamo di godere ?

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