Bds e dintorni. Come la lingua accerchia il dissenso

16 Marzo 2016
6106917397_fdbdbe0f96_o-2
Omar Suboh

In occasione della manifestazione per i diritti delle donne in Francia del 6 marzo, presso Saint-Étienne, una militante del Bds (Boicottaggio, Disinvestimenti e Sanzioni) è stata arrestata e condotta forzatamente presso il commissariato del comune da una decina di poliziotti.

Il motivo? Indossava una maglietta del movimento Bds, indirizzata verso Israele. La giovane è stata rilasciata successivamente, ma il suo caso non affatto archiviato, anzi la donna è stata convocata per la settimana prossima, come ben testimoniato dal gruppo francese di Génération Palestine.

Nello stesso mese, in contemporanea, a Cagliari, così come nel resto d’Italia e nel Regno Unito, nel mondo Arabo, in Sudafrica (il calendario degli eventi sparsi nel mondo è consultabile direttamente dal blog http://apartheidweek.org) si teneva l’Israeli Apartheid Week, prevista dal 27 febbraio al 3 marzo.  Evento internazionale organizzato con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica nei confronti dell’oppressione e dell’occupazione del popolo palestinese e dei suoi territori.

Arrivata alla sua XII edizione mondiale (la quarta a Cagliari), il Rettore dell’Università di Cagliari ha tuonato contro la manifestazione, attraverso un comunicato in cui si affermano i valori fondanti dell’Ateneo cagliaritano, tra cui “il pluralismo, la libertà di ogni condizionamento ideologico, confessionale e politico”.  Dunque “per questo motivo le autorizzazioni all’utilizzo di aule, locali o spazi dell’Università di Cagliari devono intendersi revocate con effetto immediato”.

Libertà da ogni “condizionamento ideologico” tale che l’Università non ha saputo resistere alle pressioni dell’ambasciata israeliana per annullare l’evento e revocare immediatamente simboli e luoghi dalla disponibilità degli utenti (tra cui i docenti che avevano dato il proprio appoggio alla manifestazione).

Come scrive il professore Angelo D’Orsi, storico dell’età contemporanea presso l’Università di Torino, “le università italiane stanno diventando un recinto chiuso alle idee non allineate ai poteri dominanti. Ora, accade che a Cagliari prima, a Torino subito dopo, gli spazi universitari vengono negati a studenti (e docenti!),  che vogliono esprimere, in modo argomentato e serio, la denuncia del governo israeliano, e delle sue politiche – un vero e proprio apartheid, di giorno in giorno più pesante – ai danni dei Palestinesi”.

Siamo di fronte a una vera e propria mobilitazione da parte delle principali istituzioni politiche israeliane, con la complicità dei suoi alleati più stretti (l’Italia è fedele alla linea), per vietare ogni forma di dissenso. Per citare i Wu Ming, come nel caso delle contestazioni al guerrafondaio Angelo Panebianco da parte dei movimenti studenteschi autonomi di Bologna, la contestazione diviene “aggressione” nella neolingua orwelliana del potere. “La lingua accerchia il dissenso”.

In Inghilterra, come scrive Oliver Wright, si parla di “divieto del boicottaggio di Israele”, con la possibilità che si configuri come reato penale per enti pubblici e istituzioni studentesche. Wright riporta alcune fonti vicine al governo, in cui si afferma che verranno “presi seri provvedimenti contro il boicottaggio da parte dei consigli locali perché esso ha compromesso le buone relazioni nella comunità, ha avvelenato e polarizzato il dibattito ed ha alimentato l’antisemitismo.”

Ulteriore prova del gravissimo attacco in atto contro le libertà democratiche. Tutto questo avviene nello stesso periodo in cui ben 312 accademiche/i delle università italiane chiedono il boicottaggio delle istituzioni israeliane. Il comunicato stampa della  Campagna Stop Technion spiega le ragioni di questa posizione: «L’appello firmato dalle studiose e dagli studiosi italiani si rivolge in particolare al Technion di Haifa per via del ruolo che l’Istituto riveste nel supportare e riprodurre le politiche israeliane di espropriazione e di violenza militare ai danni della popolazione palestinese. Un certo numero di atenei italiani ha stretto accordi di cooperazione con il Technion, tra cui il Politecnico di Milano e di Torino e l’Università di Cagliari, Firenze, Perugia, Roma e Torino. Gli studiosi e le studiose invitano le istituzioni italiane ei loro colleghi a sospendere ogni forma di collaborazione istituzionale con Technion, poiché è profondamente coinvolto nel complesso militare-industriale di Israele e direttamente complice delle violazioni del diritto internazionale e dei diritti dei palestinesi».

Il Technion di Haifa sarebbe responsabile della costruzione di droni e armi utilizzate contro la popolazione civile palestinese, determinando le stragi che ordinariamente apprendiamo aver colpito i Territori Occupati. In questo modo gli accademici italiani si uniscono a  più di 1.500 colleghi del Regno Unito, del Belgio, del Sudafrica, dell’Irlanda e del Brasile che hanno sottoscritto simili appelli negli ultimi mesi.

Secondo una ricerca fatta dal Coordinamento Europeo dei Comitati e delle Associazioni per la Palestina, il Technion riceverà oltre $ 18 milioni in finanziamenti europei nell’ambito del programma di ricerca UE Horizon 2020.

Di fronte a questi dati, si manifesta come necessario e urgente la fine di ogni cooperazione, accademica ed economica, con lo stato di Israele, che come afferma Naomi Klein, citando Ronnie Kasrils (politco sudafricano), ha costruito “una architettura della segregazione infinitamente peggiore dell’apartheid sudafricana”.

La scrittrice canadese è stata una tra le figure più influenti a sostegno del movimento BDS contro Israele, nel suo libro Shock Economy viene spiegato con efficacia come l’avanzata del capitalismo dei disastri ci preannunci un futuro di recinzioni, individuando in Israele lo stadio più avanzato di questo processo. Scrive la Klein: «un intero Paese si è trasformato in una comunità recintata e fortificata, intorno alla quale gravitano gli esclusi, costretti per sempre a vivere nelle zone rosse».

Il manifesto del Bds in Italia, scritto da Diana Carminati e Alfredo Tradardi, spiega chiaramente quali sono le principali istanze del movimento, che si presenta come antirazzista  in lotta contro ogni forma di apartheid; come movimento globale con l’obiettivo di porre fine alla colonizzazione israeliana in Cisgiordania e Gaza; come mezzo per assicurare il diritto al ritorno dei profughi palestinesi.

Prendendo come esempio i successi ottenuto dai movimenti di boicottaggio nati durante l’apartheid in Sudafrica, gli autori ci mostrano come l’attivismo mondiale anti-apartheid condusse le varie istituzioni internazionali a prendere una dura posizione contro il regime (Omar Barghouti, attivista palestinese promotore della campagna BDS, verso chi manifestava forme di scetticismo nei confronti di questo tipo di lotte, dichiarò che la loro azione fu come quella di una “freccia che ha colpito il cammello nel didietro”) portando l’Assemblea Generale dell’Onu negli anni ’60 a richiedere sanzioni contro il Sudafrica. (per chi volesse approfondire gli avvenimenti rimando al libro degli autori citati sopra Boicottare Israele: una pratica non violenta).

Nonostante il grande successo che il movimento sta ottenendo a livello mondiale, qui in Italia leggiamo le parole degli intellettuali schierati contro ogni forma di opposizione alla etnocrazia israeliana e mi riferisco alla polemica in corso tra il filoso ed epistemologo Giulio Giorello e la Campagna Stop Technion. Secondo Giorello infatti l’operazione in corso sarebbe “inutile e dannosa” e non gioverebbe “neanche ai palestinesi”.

In nome di un nobile principio come quello della libertà accademica, si giustificano operazioni contro la popolazione civile palestinese, mascherando ogni forma di dissenso in antisemitismo, ignorando che l’intera operazione è rivolta non ai singoli cittadini israeliani o ebrei, ma mette in discussione le relazioni tra le istituzioni politiche israeliane e i suoi alleati. Come ha affermato Omar Barghouti infatti, se la ricerca universitaria, si rende “complice di gravi violazioni dei diritti umani è giusto chiederle il conto”. La verità è che il movimento del Bds ha raggiunto una svolta, come testimoniato dal fatto che a partire dal 2013, il Bds è stato affidato al ministero degli Affari Strategici israeliano, e la svolta è stata ammessa anche dall’ex primo ministro Ehud Barak.

La presa di posizione degli accademici mondiali riporta  in primo piano il ruolo dell’intellettuale delineato da Edward Said, conferendo un senso che sembrava essersi dissolto nel nulla a questa figura, ovvero quella di coloro che “hanno scommesso tutta la loro esistenza  sul senso critico, con la consapevolezza di non essere disposti ad accettare le formule facili, i modelli prefabbricati”, restituendo dignità all’accademico, volto nella ricerca di dire la verità, senza cedere al conformismo di fondo e senza aderire al mantenimento dell’ordine per assicurare la continuità della vita pubblica, contro ogni forma di interferenza dall’esterno.

Scrivi un commento


Ciascun commento potrà avere una lunghezza massima di 1500 battute.
Non sono ammessi commenti consecutivi.


caratteri disponibili

----------------------------------------------------------------------------------------
ALTRI ARTICOLI