Clandestini italiani in Tunisia

16 Giugno 2016
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Gianfranca Fois

“17 italiani allontanatesi clandestinamente dalla Sicilia su di una barca (sono) riusciti, dopo una penosa traversata, a toccare terra in territorio della Reggenza presso Kelibia […] Le condizioni di vita nel Regno sono divenuti così impossibili da indurre 17 disgraziati a un passo disperato come quello della traversata in barca dalla Sicilia al continente tunisino.”

Nonostante il linguaggio usato sia simile a quello che oggi ci racconta il viaggio dei tanti migranti che abbandonano i loro territori spinti da fame e carestie, questo è un rapporto degli anni trenta del secolo scorso conservato nell’archivio del Ministero dell’Africa Italiana.

E’ una pagina della nostra storia, quella dell’emigrazione italiana in Tunisia, quasi dimenticata, eppure si trattò di un fenomeno importante che coinvolse decine di migliaia di persone.
Ebbe inizio nel secolo XVII con un gruppo di Ebrei sefarditi proveniente da Livorno, detti Qrana, in genere commercianti che esportano in Italia piume di struzzo, avorio e polvere d’oro ed importano prodotti tessili e marmi di Carrara per palazzi e moschee. E che raggiungono posizioni importanti in seno alla comunità dando vita a una ricca vita culturale tanto che nel 1838 viene fondata la prima scuola italiana in Tunisia.

A questi si aggiungono nel tempo Italiani che sfuggono le persecuzioni politiche, soprattutto dopo il fallimento dei moti mazziniani e poi esuli antifascisti. Ma contemporaneamente, dall’inizio del XIX secolo, e soprattutto dalla seconda metà, cominciano ad emigrare dall’Italia pescatori e corallari, operai, manovali, marinai, braccianti agricoli e minatori (spesso Sardi del Sulcis), e balie provenienti dalla Toscana.

E’ a questo periodo che risalgono gli accordi con il Bey, titolo del Governatore vassallo dell’impero ottomano, di Tunisi. Accordi che prevedono alcuni privilegi per gli Italiani.
Nel 1881 inizia il Protettorato francese della Tunisia che richiama un numero crescente di migranti italiani che trovano lavoro nelle opere pubbliche e si arriva al punto che, nel 1881, mentre la presenza francese raggiunge appena il numero di 700 persone, gli Italiani sono 25.000, diventando circa 91.000 nel XX secolo.

Le continue ondate migratorie provenienti dall’Italia determinano la nascita di numerose comunità nelle diverse città e paesi della Tunisia; a Tunisi contribuiscono allo sviluppo del quartiere La Goletta dove gli Italiani, in particolar modo i Siciliani, tengono vive le usanze della madrepatria.

Ben presto scattano però nei confronti degli Italiani, né colonizzatori né colonizzati, tutti i luoghi comuni e gli stereotipi verso chi è “straniero”: sono visti come nemici che con la loro violenza mettono in pericolo la vita regolare e pacifica. Vengono quindi accusati di qualsiasi disordine sociale, in particolare i Siciliani dipinti come violenti, criminali e pericolosi, e i Sardi “gente rozza che si riunisce con le famiglie in quartieri e cascinali tutti loro, e tra cui molti non conoscono una parola della nostra lingua”.

Questo clima spinge il governo francese a disporre decreti restrittivi nei confronti degli Italiani e delle loro attività. Il regime fascista, che nel frattempo si afferma in Italia, a parole sembrò assumere un atteggiamento di difesa dei connazionali, nei fatti fece ben poco sperando di ottenere buone compensazioni dalla Francia.

Non si creò dunque, come dimostra la studiosa italo-tunisina Leila El Houssi nel suo interessante e documentato saggio “L’urlo contro il regime”, quella tanto decantata identità tra fascismo e italianità che costituiva il vanto del regime. Questa non avvenne per l’opposizione sia dell’elite liberale borghese dei Qrana, sia della classe operaia socialista e comunista. Opposizione che vide momenti di grande tensione che culminarono nell’uccisione del falegname comunista Giuseppe Miceli, nel settembre 1937, da parte dei cadetti della Vespucci in visita a Tunisi.

Insomma la conoscenza delle vicende dei nostri connazionali emigrati in Tunisia dovrebbe aiutarci a superare i tanti luoghi comuni che sono sempre più presenti nella nostra società impaurita dai flussi migratori di questi anni, ci dovrebbe insegnare quanto sia miserabile la distinzione fra profughi richiedenti asilo e migranti economici e mostrare come chi abbandona per necessità la propria terra sia portatore di capacità, cultura, intelligenza e sentimenti che non possono che arricchire in tutti i sensi i paesi e le società ospitanti.

Immagine da milocca.wordpress.com

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