Contorni: Di chi è il potere?

16 Ottobre 2016
Foto Francesca Corona

Foto Francesca Corona

Giulio Angioni

Menenio Agrippa continua a raccontare da millenni alla plebe in dissenso il suo apologo antropomorfo sul corpo sociale che ha bisogno di uno stomaco che venga nutrito e di arti robusti che lavorino, per dimostrare la necessità funzionale del potere dislocato in una parte del corpo sociale.

Hobbes da secoli continua a denigrare l’umanità dipingendola tanto avida e predatoria da dover essere governata da monarchie dittatoriali che ne impediscano l’autodistruzione. Paolo di Tarso rassicura ancora i cristiani che non c’è potere, autorità, se non da Dio. Alla rassicurazione paolina Emile Durkheim obietta indirettamente da un secolo, in Le forme elementari della vita religiosa, che quando qualcosa si attribuisce a Dio vuol dire che si tratta di qualcosa che attiene alla vita sociale, e che quindi il potere, l’autorità, è cosa della società e della sua coscienza collettiva, è l’insieme delle possibilità dell’uomo in società.

Qualche decennio fa Michel Foucault in Microfisica del potere ci ha spiegato che il potere non si disloca né “si divide tra coloro che lo possiedono o coloro che lo detengono esclusivamente e coloro che non lo hanno o lo subiscono. Il potere deve essere analizzato come qualcosa che circola, o meglio come qualcosa che funziona solo a catena. Non è mai localizzato qui o lì, non è mai nelle mani di alcuni, non è mai appropriato come una ricchezza o un bene. Il potere funziona, si esercita attraverso un’organizzazione reticolare”.

Da sempre i movimenti contestativi dello stato del mondo pensano e propagandano la loro azione contrappresentistica come risoluzione dei mali della concentrazione-dislocazione del potere sociale, “lasciandosi alle spalle la fase predatoria dello sviluppo umano”, come dice Albert Einstein in un molto citato parere sul socialismo. Ma gli scarsi successi e i fallimenti dei vari socialismi e delle democrazie fondate sulla sovranità di tutto il popolo, se sono un’ennesima dimostrazione della difficoltà dell’impresa di superare la fase predatoria dello sviluppo umano, “non è detto che la giusta conclusione sia arrendersi, come sostiene Jerry Cohen esegeta odierno del marxismo.

Foucault a volte sembra avvicinarsi alle note e varie concezioni, antiche quanto moderne occidentali e di molte altre culture, del tipo della possessione diabolica, ma senza mezzi di esorcismo. Come il principe delle tenebre, per Foucault il potere è perenne e ubiquo, non si incarna solo nello stato e nelle forme di egemonia e di controllo sociale, è anonimo e onnipervasivo perché è la molteplicità dei rapporti di forza, mutevoli, instabili, che invadono la produzione e la riproduzione, quindi le famiglie e i luoghi di lavoro, le associazioni, gli istituiti, dove i corpi vengono plasmati, le persone inquadrate a scuola, in caserma, in ospedale, in fabbrica: tutto l’uomo a partire dal corpo risulta prodotto dei vari e mutevoli rapporti di potere, che nelle società di ancien régime era potere sovrano di vita e di morte e oggi è biopolitica, cioè impegnato a gestire la vita individuale e dell’intera nostra specie, da ultimo con l’equilibrio del terrore nell’era atomica.

Ma ora il potere non è più principalmente divieto perché “sarebbe un potere povero nelle sue risorse, economo nei suoi procedimenti, monotono nelle tattiche che usa, incapace di invenzione ed in un certo senso condannato a ripetersi sempre […] un potere che non avrebbe praticamente altro che la potenza del “no”; incapace di produrre alcunché, atto solo a porre limiti, sarebbe essenzialmente anti-energia; il paradosso della sua efficacia sarebbe di non potere nulla , se non far sì che ciò che sottomette non possa a sua volta fare niente, se non quel che gli si permette di fare. E infine perché è un potere il cui modello sarebbe essenzialmente giuridico, centrato sul solo enunciato della legge e sul solo funzionamento del divieto. Tutti i modi di dominio, di sottomissione, di assoggettamento si ridurrebbero in fin dei conti all’effetto di obbedienza”.

Questa nozione allargata e le analisi del potere elaborate da Foucault servono non solo a capire aspetti delle società attuali, specie quando del potere si mostri il carattere di “proliferazione di discorsi”, che condiziona lasciando al dissenso e al contropotere certi margini locali di gioco, di reazione, di uso individuale diverso, non previsto dal potere.

È una nozione utile e attuale anche nel suo assumere come centrale il tema della conoscenza, con cui Foucault ripercorre la storia, o certe storie come quella della follia, della carcerazione e della sessualità, in quanto aspetti fondanti della cultura occidentale nella gestione della sua verità per e nell’esercizio del potere. Come tante altre società complesse hanno fatto o tentato in altri modi e con altri esiti. Foucault infatti enfatizza il potere rivoluzionario della conoscenza che diventi contro-verità, mutando così la società e le forma di potere.

È di grande utilità il suo rivedere la storia occidentale nei suoi momenti di crisi come crisi delle sue ‘verità’, e nei momenti di stabilità relativa dovuta alla dominanza di certi discorsi di verità, di certi epistemi che servono a fondare e a esercitare il potere imponendo una ‘verità’ contro altre possibili che vengono interdette, tabuizzate, taciute. Volontà di potere e di sapere prima ecclesiastica e poi anche dei poteri secolari, dato che il sapere è mezzo per sorvegliare e controllare. Nei secoli passati il potere agiva in modo fortemente repressivo, panoptico (alla Bentham), punitivo fino al carcere e alla morte. Oggi ancor più panoptico mediante ciò che Foucault chiama col fortunato termine di biopotere, potere più blando ma più funzionalmente e fisiologicamente pervasivo, capace di modellare il corpo, la prassi, i pensieri, i desideri, le paure e le speranze che fondano e animano la vita dei singoli e della società.

L’estensione foucaultiana della nozione di potere è utile non solo nella microdimensione e nell’individuazione storica, soprattutto se la si volge anche in ‘positivo’, o per lo meno la si neutralizza, se cioè il potere si considera come l’insieme complessivo delle possibilità di azione nel mondo nei modi di una particolare società, come tenterò di meglio intravvedere. Questa esigenza di allargamento è spontanea e necessaria, quando si guardi a modi di vivere umani anche molto diversi da quelli delle nostre società molto complesse e molto stratificate. E nasce anche dal disagio per l’importanza a volte invadente che diamo oggi a modi di vedere che, guardando a rapporti di senso, di potere simbolico, fanno dimenticare un po’ troppo i vari rapporti di forza che si vestono di segni e di senso.

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