Cous cous, seadas e pennette tricolori

17 Marzo 2011


Marcello Madau

Non è che ami troppo le ricorrenze. Quando arrivano, sembra che il resto delle cose sia meno importante. Poi, quando passano, diventano meno importanti loro. Sono due cose ingiuste! Però ti portano a ricordare, laddove la memoria, nella nostra contemporaneità, è in crisi, e la rottura della sua trasmissione drammatico.
Per dire che mi sento sardo, o mi sento italiano, dovrei definire cosa significa sentirsi tale. Quello che capisco e sento è che le due cose un po’ mi appartengono, assieme a tante altre, in affollata compagnia. Sono pezzi, non esclusivi e non etnici, di appartenenza. Le appartenenze che senti sono quelle che contano, e mi sento, ad esempio, più docente che sardo, più archeologo che italiano, più comunista che sardo e italiano, più maschio solidale con le donne e incazzato per i ruoli che altri maschi insatiriti continuano a disegnare per la nostra identità sessuale che docente sardo e italiano. E che buoni i cibi di tutti (a patto di averne accesso, tutti), che identità ti regalano.
Le mie radici le includo tutte, ma anche se non lo facessi ci penserebbe la storia.
Il mondo che mi circonda mi appare da capire nel suo passato e nel suo presente, in luoghi e persone, nella prospettiva del futuro: è l’ambiente, e lo potrò difendere se lo capirò, ciò che non può avvenire chiudendosi a curiosità e comunicazione.
L’identificazione con luoghi e le persone che mi circondano non può che discendere da una comunicazione reciproca con essi: in essa l’apertura e la pratica della multiculturalità mi pare una medicina potente contro l’alienazione, contro il razzismo e l’assalto a paesaggi naturali e culturali. Queste condivisioni allargano l’identità, in continuazione, configurando la pienezza biologica come concetto dinamico.
Sono internazionalista, ma il vecchio slogan del ‘proletariato che non ha nazione’, anche se lo capivo, mi è sempre sembrato una scempiaggine. Credo che non ci sia internazionalismo senza mosaico, senza l’elaborazione critica del lutto culturale rappresentato dal nazionalismo, cittadinanza mondiale senza identità. Credo quindi che non ci sia vera identità con il nazionalismo.
Per questo non amo alcuna bandiera nazionale, e sono al massimo attratto dai segni delle bandiere e dai percorsi che indicano. Non amo i quattro mori, l’albero giudicale mi piace come specie vegetale da proteggere, il tricolore mi lascia indifferente, e l’altro pomeriggio in piazza, nella giornata per la Costituzione, anche se capivo l’utilità contingente rispetto a stupidi secessionismi, vedevo sciogliersi il mosaico del federalismo possibile, e mi sentivo pienamente a disagio: mi sembrava di essere allo stadio o ad una vecchia manifestazione dell’MSI.
Mentre mi piacevano le letture degli articoli della Carta costituzionale, stavo lontano dal tricolore e il libertario Fantozzi, alle note dell’inno, mi sussurrava, tra molti dirigenti PD che lo guardavano con grave aria di rimprovero (si formerà probabilmente il gruppo dei ‘Responsabili’ del centro-sinistra) : “L’Inno di Mameli è una boiata pazzesca”.

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