Dall’Iraq alla Libia, ecco la guerra che dura da vent’anni

19 Marzo 2011

Manlio Dinucci

La risoluzione del Consiglio di sicurezza che, il 17 marzo 2011, autorizza a prendere «tutte le misure necessarie» contro la Libia ricorda quella che, il 29 novembre 1990, autorizzava l’uso di «tutti i mezzi necessari» contro l’Iraq. Vent’anni fa, approfittando della disgregazione dell’Urss e del suo blocco di alleanze, gli Stati uniti e le maggiori potenze europee della Nato spostavano il centro focale della loro strategia nel Golfo, attaccando nel 1991 l’Iraq, uno dei principali produttori petroliferi con riserve stimate tra le maggiori del mondo. Oggi nel mirino c’è la Libia, le cui riserve petrolifere sono le maggiori dell’Africa, il doppio di quelle statunitensi. Vent’anni fa il nemico numero uno era Saddam Hussein, già alleato degli Usa nella guerra contro l’Iran (altro grosso produttore petrolifero) quando al potere c’era Khomeini, allora al primo posto nella lista dei nemici: quel Saddam Hussein caduto poi nella trappola, quando l’ambasciatrice Usa a Baghdad gli aveva fatto credere che Washington sarebbe rimasta neutrale nel conflitto Iraq-Kuwait. Oggi il nemico numero uno è il capo della Libia Muammar Gheddafi, con il quale la segretaria di stato Hillary Clinton dichiarava poco tempo fa di voler «approfondire e allargare la cooperazione». Vent’anni fa, al momento in cui il Consiglio di sicurezza autorizzava la guerra contro l’Iraq, gli Stati uniti e i loro alleati avevano già schierata nel Golfo una imponente forza aeronavale (1.700 aerei e 114 navi da guerra), che sarebbe stata comunque usata anche senza il nullaosta dell’Onu. Lo stesso oggi: prima dell’autorizzazione del Consiglio di sicurezza a prendere «tutte le misure necessarie» contro la Libia, era già pronta una potente forza aeronavale Usa-Nato ed erano state attivate per l’attacco le basi in Italia. Il metodo è lo stesso: gettare prima la spada sul piatto della bilancia politica e usare quindi tutti i mezzi (compresi scambi di «favori») per impedire che un membro permanente del Consiglio di sicurezza usi il «diritto di veto». Nel 1990 l’Urss di Gorbaciov votò a favore e la Cina si astenne; oggi la Russia si è astenuta insieme alla Cina, ma il risultato è lo stesso. Oggi, come nel 1990, l’intervento armato viene motivato con la «difesa dei diritti umani» e la «protezione dei civili». E si lodano nella risoluzione i governi arabi che partecipano a questo nobile sforzo: come la monarchia assoluta del Bahrain, che ha chiamato le truppe saudite per reprimere nel sangue la lotta del suo popolo per i più elementari diritti umani, e il regime yemenita che sta facendo strage dei civili che manifestano per la democrazia.
Oggi, come nella prima guerra del Golfo e nelle successive – quella contro la Jugoslavia nel 1999, l’Afghanistan nel 2001, l’Iraq nel 2003 – l’Italia continua a svolgere il suo ruolo di gregario agli ordini di Washington. Con la differenza che, mentre vent’anni fa c’era una sinistra ancora impegnata contro la guerra, oggi c’è un Bersani che, alla vigilia di un intervento armato con le stesse finalità, esclama «alla buon’ora».

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