Derivati. Il grande imbroglio

16 Aprile 2017
Roberto Mirasola

La poco nota vicenda, tutta Italiana, dei derivati ci interroga ancora una volta sul ruolo delle banche nella moderna economia. Come è ormai noto ai più le banche sono sempre di più interessate a vendere strumenti finanziari, alquanto pericolosi, e sempre meno interessate al loro ruolo originario di intermediazione del credito. Se è vero che la funzione del credito ha una sua importanza per lo sviluppo economico è altrettanto vero che l’intermediazione finanziaria finalizzata ad operazioni di mera speculazione è a dir poco dannosa per le nostre società.

Pochi sanno, ad esempio, che lo Stato Italiano ha versato nelle casse della Morgan Stanley tra il 2011 e il 2015 una somma pari a € 23,5 miliardi per coprire delle perdite subite su dei derivati sorti nel lontano 1994. Senza addentrarci troppo in tecnicismi, possiamo dire che i derivati sono quei particolari strumenti finanziari che a determinate scadenze, fanno perdere o guadagnare dei soldi a chi li sottoscrive, a seconda che si verifichino certe condizioni sui mercati. Nel caso Italiano le condizioni erano legate all’andamento dei tassi di interesse. Il problema è che non esiste mai il caso che a guadagnarci siano sia il sottoscrittore sia la banca, il più delle volte a guadagnarci è solo la banca, per le maggiori conoscenze a sua disposizione e per le clausole particolarmente sbilanciate imposte nei contratti. Ma e’ pensabile che uno Stato o un altro ente pubblico possa ricorrere a degli strumenti basati sulla mera speculazione? Non sarebbe opportuno regolamentare una buona volta e per tutte la differenza tra banche d’affari e banche commerciali, imponendo dei limiti legislativi all’emissione di strumenti finanziari particolarmente pericolosi quali i derivati? Non dimentichiamoci che l’inizio della crisi del 2008 negli Stati Uniti ha avuto origine proprio per l’utilizzo scriteriato di questi strumenti finanziari guarda caso sempre di più liberalizzati dalle varie amministrazioni Statunitensi. Nel caso Italiano il danno è stato di ingenti proporzioni. Per capirci la cifra sborsata alla Morgan Stanley ha annullato la politica monetaria volta alla riduzione dei tassi di interesse e al Quantitative Easing voluti da Draghi. Il risparmio dovuto al pagamento di minori interessi sul debito pubblico è finito nelle casse della Morgan Stnaley. Ma tutta la gestione della vicenda da parte del Tesoro Italiano lascia molte perplessità. Le informazioni rilasciate a delle precise richieste di parlamentari sono state alquanto evasive e a tutt’oggi non si è a conoscenza dell’entità dei derivati sottoscritti dal Tesoro. Se a questo non sono sufficienti le normali misure di trasparenza imposte allora sono necessari ulteriori interventi legislativi volti a regolamentare la materia.

Da più parti si parla di un Europa delle banche e della finanza ma nessuna proposta concreta è mai stata avanzata. In particolare è sbagliato confondere la finanza con l’economia come se si trattasse della stessa cosa. L’economia reale è finalizzata alla creazione della ricchezza la finanza NO. Certo bisogna poi capire come deve essere redistribuita la ricchezza se a favore di pochi, come oggi purtroppo accade, oppure se ad avvantaggiarsene devono essere in tanti. Il problema a questo punto è degli Stati visto che l’argomento riguarda i sistemi tributari. Al riguardo la Costituzione Italiana è chiara, l’art.53 recita “ il sistema tributario Italiano è improntato a criteri dì progressività”, non si capisce il perché invece gli interventi di questi anni riguardino sempre l’imposizione indiretta e proporzionale. Ad ogni modo un’opportuna regolamentazione delle banche d’affari non è più prorogabile e sarebbe opportuno passare dalle parole ai fatti.

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