Diario Palestina 3: Gli angeli di Nablus

11 Maggio 2014
Mariella Setzu Nablus
Mariella Setzu

Il pomeriggio del 19 aprile visitiamo la città di Nablus non distante; Wajdi Ayash e Ali Noban son le nostre guide e ci mostrano il centro storico e in particolare i luoghi colpiti dall’operazione militare israeliana «scudo difensivo» nell’aprile 2002, durante la seconda Intifada. I soldati sparavano dai tetti e non era neanche possibile soccorrere i feriti che morivano dissanguati. Gli israeliani entravano nelle case non dalla porta ma sfondando i muri. C’è stata la distruzione di molte fabbriche di saponi, tipica produzione di Nablus. Molti muri della città portano targhe e foto in memoria degli uccisi dalle incursioni militari.
Luisa Morgantini ci racconta che andò a Nablus con una delegazione del Parlamento europeo proprio durante quell’operazione militare e là incontrò Wajdi, ora direttore dell’organizzazione Human Rights Supporters, sostenuta da Assopacepalestina e nata da quei ragazzi e ragazze che Luisa ha chiamato «gli angeli di Nablus», giovani volontari che in quei giorni tremendi sono stati attivi nel servizio ambulanze soccorrendo i feriti e portando cibo e medicine agli anziani costretti a restare chiusi in casa.
Durante il nostro giro a Nablus un gruppo di ragazzi si unisce a noi: sono di Human Rights Supporters. Andiamo a trovarli nel loro centro culturale che ha molte attività: musica, danza, spettacolo. Là incontriamo Faten Niree del Working Women Commitment, associazione che parte dall’impegno delle donne lavoratrici: per loro e per la vita del centro culturale la politica è un interesse fondamentale. Assistiamo a coreografie di break dance e di tipo più tradizionale, realizzate da ragazzi e ragazze molto bravi. Ci regalano una bellissima raccolta «Voice of Kids» di poesie scritte da bambine e bambini.
La mattina del 20 aprile, giorno di Pasqua, alle 9 stiamo arrivando al villaggio di Bili’n, fra zona B e zona C, piena di insediamenti e di militari. Ricordo che gli accordi di Oslo hanno previsto tre zone per la Cisgiordania: zona A amministrata dai palestinesi, zona B in cui il controllo è misto (ai palestinesi l’amministrazione, agli israeliani la polizia e i soldati) e zona C, cioè il 92% della Cisgiordania, controllata interamente dagli israeliani. La zona C doveva tornare all’amministrazione palestinese entro il 1999, ma questo non è mai successo. Al contrario in questa zona aumentano gli insediamenti dei coloni e vaste aree sono adibite a esercitazione militare, mentre nella valle del Giordano si vogliono evacuare i palestinesi.
Incontriamo Mohamed Alkhateeb – dei Comitati popolari per la resistenza non violenta – che ci racconta della loro lotta contro il muro e contro gli insediamenti che si spingevano sino a inglobare case del villaggio. Attraverso azioni legali e 6 anni di manifestazioni non violente e continui arresti sono riusciti ad ottenere dalla Corte suprema israeliana che il tracciato attuale del muro fosse modificato perché illegale. Il muro è stato costruito più lontano, vicino a un fitto insediamento in corso di costruzione, e il villaggio ha recuperato un ampio terreno (da cui l’esercito aveva sradicato gli ulivi secolari) che sta diventando un parco pubblico con zone coltivabili.
Il progetto di costruzione di quella colonia (illegale) non è andato avanti perché l’azienda costruttrice nel 2007 ha fallito, grazie agli ostacoli che gli attivisti del villaggio hanno frapposto per un anno e mezzo.
Ci avviciniamo ad aiuole dove dalle moltissime bombolette di lacrimogeni sono stati ricavati dei portafiori. Un cartello reca la foto di un giovane – Bassem (che significa sorriso) – colpito proprio in quel luogo da un soldato con cui cercava di parlare per poter portare soccorso a una donna colpita davanti a lui. Percorriamo la china e andiamo a vedere il muro, enorme, preceduto da una trincea e da filo spinato. Dietro c’è l’insediamento che avanza. Per terra molti candelotti di lacrimogeni, qualcuno inesploso.
Mohamed ci fa fare una sosta a casa sua e ci offre il tè. Qui Luisa Morgantini ci presenta un ragazzo liberato il giorno prima, Mohamed Abu Rahme: era stato arrestato durante le manifestazioni contro il muro e l’insediamento, tenuto in isolamento incatenato mani e piedi per un mese, poi rilasciato perché non hanno trovato imputazioni nei suoi confronti.

Foto: Muro di un negozio di Nablus

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