Disorienti

26 Aprile 2013
Paola Contu
Sabato 27 e Domenica 28, dalle 19:00 alle 22:00 a Spazio Sottostudio via San Giovanni 178 a Cagliari verrà presentata “Disorienti”. Disorienti è una mostra composta dai collage digitali di Francesca Vitale insieme a “Lo Struscio” con il montaggio di Sergio Ponzio e musica di Yannis Xenakis, e “Sa Passillara”, montaggio di Maria Grazia Esu e musica di Walter Reiscon (Red).
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Quando ho visto per la prima volta l’album con i collage digitali di Francesca sono rimasta subito toccata nel profondo. Premetto che io e lei non ci conosciamo personalmente, nel momento in cui scrivo non c’è stata ancora l’occasione di incontrarci, ma abbiamo parlato alcune volte per telefono e via Internet del suo lavoro – progetto.
Subito ho immaginato che fosse per deformazione professionale che il collage con la vecchia planimetria IGMI dell’isola di Ventotene mi avesse colpito tanto, anche se lì per lì non ho fatto nemmeno caso a che cosa riproducesse la mappa. Alla mia richiesta di darmi qualche notizia in più sulla loro genesi, Francesca mi ha spiegato parzialmente quanto c’è di lei ma, per ovvie ragioni, non ha potuto spiegare quanto c’è di mio in quelle sue immagini, in quel suo lavoro, in quei suoi autoritratti. Perché, prima attraverso la perdita dei riferimenti nella decontestualizzazione sentimentale delle ombre e, tempo dopo, con un ritrovare i nessi, gli echi, i legami, le attinenze, attraverso simboliche briciole sapientemente disseminate lungo il percorso e fortemente prestanti ad una libera interpretazione personale ed artistica, è una vera e propria immersione terapeutica che l’artista fa compiere a chi la segue lungo lo snodarsi del suo lavoro.
Ecco, allora, lungo la discesa la necessità di aggrapparmi alla presenza della planimetria che, per deformazione professionale, rappresenta per me fortemente lo strumento principe di orientamento dello spazio, ma anche nel tempo; ecco il perché dell’attrattiva particolare che su di me esercitano nell’immediato i collage che contengono pezzi di mappe; nei collage digitali di Francesca la composizione tradizionalmente intesa è spezzata e l’intento è quello del disorientamento, della perdita di identità. I riferimenti, gli indizi, sono accostati sinteticamente in maniera irrazionale, non interpretabile attraverso canoni riconosciuti di lettura.
La presenza dell’ombra, a tratti in dissolvenza o in espansione, sospesa tra atteggiamenti che tradiscono la difesa, o il gioco, inquieta e contribuisce, con il gioco del camuffamento, alla sensazione già forte di spaesamento. Nel vortice della frammentazione la mappa mi rassicura, la riconosco, so leggerla, so interpretarla, è una presenza chiara e amica, pur sfuggendo essa stessa, nel suo stare lì e non altrove, ad un senso ordinario di appartenenza e ad un universale perché. Il conosciuto e l’ignoto galleggiano insieme nello spazio definito del collage. Il tempo ha lavorato da quel 9 gennaio in cui ho visto i collage per la prima volta, ed altri pezzi del mio autoritratto emergono dal racconto di Francesca; il Giappone, il cerchio (il sole), l’ombra senza corpo… diventano amplificatori di paure buttate in fondo, megafoni della troppo dolorosa visione, da bambina, di fin dove possono portare la perdita di riferimenti, la mancanza di scale di valori, la confusione data dall’arroganza del potere, microfoni del troppo dolore provato nell’affacciarsi alla vita e scoprirci una tale follia, autentica.
Non ho potuto allora condividere la paura assoluta della perdita di riferimenti generata da tale presa di coscienza. Adesso ho la possibilità di farlo attraverso il lavoro di Francesca, e di questo profondamente la ringrazio.
“In un milionesimo di secondo, un nuovo sole si accese nel cielo, in un bagliore bianco, abbagliante. Fu cento volte più incandescente del sole del firmamento. E questa palla di fuoco irradiò milioni di gradi di calore contro la città di Hiroshima. In questo secondo, 86.000 persone arsero vive […] dissolvendosi nella vampa solare dell’atomica che esplodeva”. Da “Il gran sole di Hiroshima” di Karl Bruckner, 1961.

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