Forza Tommy

1 Febbraio 2014
foto Tommy Di Stefano 162
Giacinto Bullai

Se davvero esistesse un terreno di confine tra la vita e la morte, Tommaso Di Stefano sarebbe in grado di descriverlo palmo a palmo. C’è chi lo definisce un “miracolato”, chi, più prosaicamente, un caso “statisticamente raro”. Lui invece, avvolto da un ottimismo cosmico e dilagante, se la ride e basta: «Sono qui a vivere anche oggi la mia giornata con gioia. Che volere di più?». Tommaso, per tutti Tommy, è un ventunenne cordialissimo e colto, una sorta di antibullo per antonomasia. Linguaggio ricercato, passione per la pittura e la poesia, studente eccellente sin dalle superiori con i suoi sessanta sessantesimi alla maturità classica dai Salesiani e un cursus honorum universitario da far paura: «I miei voti sono per metà 30 e lode e per l’altra metà 30 e rischio di laurearmi con un anno di anticipo». Il tutto conseguito nelle pause tra otto interventi chirurgici alla testa e un coma che lo ha sospeso tra cielo e terra per tre mesi. Perché Tommaso, quartese, figlio di un restauratore di libri antichi e di una educatrice, è dall’età di 13 anni che insieme alla sua famiglia gioca un’immane partita a scacchi con un tumore al cervello: «È un craniofaringioma piuttosto raro, recidivo e molto aggressivo ma lo stiamo tenendo a bada», dice con serafico distacco. Ha deciso di raccontare la sua storia per la prima volta.

Quale è stato il campanello d’allarme?

«Non posso dimenticarlo. Avevo 13 anni. Mi recavo a scuola in pullman come tutte le mattine. Eravamo stipati come sardine in piedi. Quella mattina avevo accusato ciò che sembrava un normale malditesta ma nel bel mezzo del tragitto il dolore si fece intensissimo. Sembrava che la testa esplodesse, percepivo una pressione cranica impressionante accompagnata da una nausea che partiva dalle viscere. Sbiancai ma riuscii comunque a superare la giornata».

Si fece visitare?

«Sì, nel pomeriggio da mio zio pediatra che però registrò tutti i valori e una condizione generale apparentemente nella norma. Ma la notte tornò quel terribile dolore con la nausea profonda e implacabile. Capimmo che c’era qualcosa di strano e all’alba corremmo al pronto soccorso. Il viaggio in macchina fu surreale, ne ho ancora una vaga percezione: ero in uno stato di semincoscienza, sentivo solo il dolore».

Che successe in ospedale?

«Mi sottoposero a una sfilza di esami, passai un’altra notte da incubo, ebbi un collasso e il giorno dopo mi fecero una risonanza: mi sforzai di stare fermo per un’ora e mezza dentro la macchina nonostante le terribili fitte al cervello».
Le comunicarono subito il referto?

«Mi chiesero se volevo sapere. La risposta fu affermativa e questo mi fu detto: “Tommy, la dottoressa ha avuto modo di capire il motivo del tuo dolore. È un problema che si può risolvere solo con un’operazione urgentissima alla testa. È cresciuta una massa nel cervello che dobbiamo asportare”».

Quale fu la sua reazione?

«Mantenni il controllo. A differenza delle infermiere che stavano accanto a me, non versai una lacrima e dissi: facciamo tutto ciò che si deve fare».

Dove decisero di operarla?

«L’intervento era urgentissimo, non si poteva aspettare. Da Cagliari contattarono il reparto di neurochirurgia infantile del Policlinico Gemelli dove avevano già affrontato con successo casi simili al mio. Volammo a Roma con la mia sedia a rotelle al seguito. Il 7 dicembre del 2005 mi operarono. Naturalmente era una craniotomia».

Cosa ricorda di quei momenti?

«Che non accettavo tranquillanti. Mi sdraiai sul tavolo operatorio ancora lucidissimo. Ricordo il sorriso dell’anestesista. Restai otto ore sotto i ferri, 24 ore in anestesia generale, 3 giorni in terapia intensiva. Ma non era finita».

Cioè?

«Scoprirono che il residuo tumorale era recidivo quindi mi dovettero operare ancora una volta a distanza di due mesi. Vista la situazione mi sottoposero poi a una radioterapia potentissima. Prima di iniziare mi sistemavano una maschera di cera sul viso per evitare che i raggi potessero avere effetto su altre parti del cervello».
Nel frattempo riusciva a tenere il passo con la scuola?

«Direi di sì. I miei compagni mi considerarono un piccolo eroe. Stavo a Roma per la terapia tutta la settimana. Studiavo nelle pause tra un trattamento e l’altro. Tornavo a Cagliari il venerdì sera e ogni sabato mattina ero a scuola con la testa fasciata per recuperare le verifiche e i compiti in classe. Quell’anno fui promosso in quinta Ginnasio con ottimi risultati. Ma non era ancora finita».

Il male non le lasciava scampo

«Purtroppo no. Ebbi un’altra grave ricaduta nel 2008, un’emorragia cerebrale che mi spedì dritto in coma per tre mesi. Ci vollero sei interventi tra maggio e agosto di quell’anno e forse qualcosa che non riesco ancora a spiegare per riuscire a uscirne vivo. I medici considerano il mio un caso da manuale. Il professor Concezio Di Rocco porta in giro la mia esperienza nei convegni in mezzo mondo. La verità è che temevano un coma irreversibile».
Ricorda il risveglio?

«Molto bene. Ero spaesato, avevo perso 20 chili, non mi potevo muovere ma finalmente ero cosciente e ricordavo perfettamente tutto quello che era accaduto sino a un attimo prima del lungo sonno. Davanti a me c’erano i miei familiari. Come da prammatica chiesi dove mi trovavo e che giorno era. Realizzai con rammarico che mi ero bruciato tutte le vacanze estive».

Immagino che il seguito non sia stato facile

«Per nulla. Dovetti seguire una lunga riabilitazione sino a luglio del 2009 e frequentare la scuola in carrozzina ma alla fine andò tutto bene. Nel 2010 mi maturai col massimo dei voti e mi iscrissi all’Università, alla Sapienza, Lettere moderne con percorso storico artistico».

Come procede all’Università?

«Ora mi mancano tre esami, ho la media del trenta con diversi trenta e lode e conto di laurearmi questa estate, con un anno in anticipo».

Complimenti, un percorso eccellente

«Grazie, a volte si stupiscono anche i professori».

Adesso come sta?

«Bene. Credo che questo percorso mi abbia arricchito. Le sofferenze consentono di valorizzare al massimo la gioia e io vivo col sorriso ogni attimo. Per il resto sono sotto controllo. Ogni 3 mesi le visite endocrinologiche e ogni 6 le risonanze. Per me è un grandissimo passo in avanti».

2 Commenti a “Forza Tommy”

  1. Leonardo Piras scrive:

    Una storia che oltre a dimostrare che impegno e tenacia sono delle carte vincenti nella vita, ci dimostra che la serenità è un aspetto fondamentale nella Vita, specialmente se il percorso si fà tortuoso e difficile! Complimenti al caro Tommaso che non ha mai perso la speranza e la forza di sognare, non dandosi a estremismi ed esagerazioni, ma dando poco spazio alle problematiche che cercavano di disturbarlo e impegnandosi, con risultati eccellenti, nei suoi doveri di studio!

  2. Tommaso Di Stefano scrive:

    Caro Leonardo,
    la ringrazio del gentile e puntuale commento!!!
    É certo che siano l’impegno e la tenacia le carte sempre vincenti di una vita!!!
    Accolgo i suoi complimenti e faccio tesoro della speranza e della forza di sognare che fino ad oggi hanno sempre allitato il mio animo!!!
    La vita pone noi dinnanzi a ostacoli non indifferenti e credo sia la forza e la capacità di non darsi mai per vinti proseguendo normalmente il proprio cammino di studio e di lavoro una maniera efficace di prendersi gioco delle difficoltà proprie ottenendo ancora risultati eccellenti in ogni campo essendo portatori di un sorriso luminoso e sincero!!!
    Grazie ancora di cuore!!!

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