Giornata di solidarietà con il popolo palestinese

1 Dicembre 2015
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Omar Suboh

Il 29 novembre del 1977, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite istituì la Giornata internazionale di solidarietà con il popolo palestinese.
La conseguenza di questa scelta: l’opposizione al piano di spartizione della terra di Palestina emanato il 29 novembre del 1947. Da chi? Da l’Onu stessa. Basterebbe questa contraddizione per sollevare una ventata di dubbi e delegittimazioni conseguenti (logicamente) a giornate come queste.
L’ONU, all’epoca prendeva il nome di Società delle Nazioni, decise di dividere la Palestina in due territori: uno assegnato al neonato stato di Israele, il restante agli arabi. Secondo la medesima risoluzione, la numero 181, la spartizione della Palestina storica, pose le basi, i fondamenti, alla catastrofe, la cosiddetta Nakba, la tragedia e la pulizia etnica della popolazione palestinese ad opera delle forze armate sioniste.
Le percentuali di questa catastrofe annunciata: gli israeliani si videro assegnare il 56% del territorio palestinese, con lo scopo di fondare uno stato ebraico; il restante 44% sarebbe rimasto a disposizione degli arabi, per l’improbabile creazione di uno stato indipendente.
Il problema di fronte a una scelta come questa, fu la mancata considerazione del 45% della popolazione all’interno dei confini dello stato, formato per l’appunto da arabi, ben l’80% di questo infatti era di proprietà di famiglie arabe.
Dunque, per gli abitanti della terra di Palestina, tutto ciò non poteva che configurarsi come una forma di usurpazione effettiva.
Una porzione di terra immensa, popolata dagli arabi autoctoni, si venne a configurare come una minaccia reale alle mire imperialiste e espansionistiche (coloniali?) dei sionisti, ovvero: per gli stessi che avrebbero voluto uno stato a maggioranza ebraica, il focolare nazionale degli ebrei (addirittura precedente all’affermazione del nazionalsiocialismo, se consideriamo che la nascita del movimento sionista di Theodor Herzl, nel primo congresso tenuto a Basilea, risale al 1897), il Grande Israele, esteso per tutti i territori palestinesi, dal Nilo all’Eufrate.
Di fronte alle tragedie quotidiane dei territori occupati, che vede quota 105 i morti ad oggi, di cui 19 i bambini, le percentuali delle vittime dall’ultima sollevazione popolare, promossa contro il terrorismo di Stato di Israele, la Comunità Palestinese in Sardegna ha reagito.
Una reazione che ha un sapore letterario, culturale, poetico, come gli scritti di Mahmud Darwish.
Presso il teatro di via Goldoni, nel comune di Elmas, con le voci dei giovani ragazzi dell’istituto Monsignor Saba, guidati dal teatrante e burattinaio Fabio Pisu (tornato da un esperienza di laboratorio teatrale a Betlemme, con i bambini della Diabetics Friends Society, impegnata nella divulgazione scientifica e nella raccolta di materiale per la cura di questa patologia) e dalla consolidata compagnia Is Mascareddas, abbiamo assistito a una grande opera di umanità, militante e politica.
La compagnia teatrale Is Mascareddas ha voluto rendere omaggio alla grande burattineria italiana, coinvolgendo attivamente il pubblico (che ha dato prova di grande partecipazione), raccontando di come i burattini durante il regime fascista, rappresentarono una delle forme più alte di teatro politico. Di fronte ai gerarchi fascisti che chiedevano il conto di ciò che sentivano durante gli spettacoli, i teatranti rispondevano: “ma non l’ho detto io, l’ha detto lui!”, indicando i burattini, come per discolparsi.
Fabio Pisu, con le poesie di Darwish, ha dato voce a un linguaggio universale, fatto prima che di parole, di gestualità, di simbolismi scritti nell’immanente codice astrale del ‘non detto’, dell’esserc-ci in termini heideggeriani, dell’essere prima che dell’ente.
I giovanissimi attori dell’istituto hanno dato corpo e sangue alle figure di soldati, poeti, innamorati, militanti (come rappresentazione dei quotidiani tentativi di resistenza di fronte alle barbarie dei coloni) e delle madri di Palestina.
Il tutto, scandito da quelle parole di Mahmoud Darwish sullo sfondo del palcoscenico che pesano come macigni sulle spalle: “io rifiuto lo spirito di disfatta e mi aggrappo alla speranza folle che la vita, la Storia, e la Giustizia abbiano ancora un senso”.
Tutto questo all’indomani degli attacchi di Parigi. Di fronte a quella che l’antropologo francese Jean-Loup Amselle definisce «etnicizzazione» dei conflitti sociali, dove tutta una frangia dell’intellighènzia vira verso il razzismo, ma dietro copertura (vedi il libro Sottomissione di Michelle Houellebecq). Per usare una distinzione categoriale gramsciana, ripresa dall’intellettuale palestinese Edward Said, nel libro Dire la verità, questa consiste nella netta divisione tra intellettuali organici, ovvero tra coloro che sono direttamente collegati con le imprese che acquisiscono potere (Said fa l’esempio degli scienziati dell’economia politica, che hanno per oggetto il settore pubblicitario e l’espansione dei mercati, in senso neocapitalista) e gli intellettuali tradizionali (come gli insegnanti, ecc.). Said usa l’esempio di Stephen Dedalus per affermare la libertà di pensiero come obbiettivo nel divenire, di fronte al fallimento di una generazione nichilista (come nell’Educazione Sentimentale di Flaubert), da cui trae le proprie milizie l’Isis stesso.
Oggi il colonialismo si manifesta come forma di divisione e occupazione giustificata dalla riproduzione del terrore: una strage quotidiani che trova la propria linfa dalla destabilizzazione come strategia della tensione per alimentare lo scontro tra civiltà.
Per dirla con Laura Guazzone, docente di Storia dei paesi arabi presso l’Istituto di Studi Orientali all’università la Sapienza di Roma, i movimenti moderati politici sono entrati in un declino cui è corrisposta l’ascesa dei movimenti radicali. Questi movimenti nascono e crescono già negli anni 90 in reazione a quella globalizzazione neoliberista e alla diseguaglianza crescente. Movimenti che sono cresciuti e che oggi risultano più attraenti per i giovani, proprio perché vincenti, rispetto ai moderati cui è stata preclusa la via riformista
Di fronte all’emergere delle realtà xenofobe e islamofobe, fomentate dalla stampa reazionaria, ma anche dalle stesse istituzioni che con i loro apparati militari permettono come qualche settimana fa a Pontivy, in Bretagna, immediatamente dopo gli attacchi al teatro Bataclan, di far sfilare il movimento di estrema destra Adsav, dando il via in quella occasione ai nazionalisti bretoni di aprire una vera e propria caccia allo straniero, costringendo sia gli attivisti antifascisti e sia gli stranieri che li capitavano a tiro a scappare e rifugiarsi nelle abitazioni vicine per evitare un pestaggio sicuro. Nonostante tutto, nessuna istituzione ha impedito che quella manifestazione si svolgesse.
Nell’Italia berlusconiana i finanziamenti volti alle politiche di integrazione si sono pressoché azzerati, come qualsiasi dialettica volta alla comprensione multiculturale delle varie realtà sparse nel nostro territorio.
I risultati sono sotto i nostri occhi: da un lato le comunità europee arabe sono sotto pressione per l’aggressiva spinta dell’estrema destra neofascista, dall’altra dalla penetrazione dell’Islam radicale.
E’ in questo senso che giornate come queste, vanno sfruttate per la mobilitazione di tutti noi, per contribuire a realizzare una alternativa alle politiche di prevenzione in senso poliziesco, alle guerre, volte esclusivamente nell’interesse di fomentare lo scontro tra civiltà, generalizzando colpevolisticamente e in maniera criminale, l’arabo in generale, senza più distinzioni e promuovendo una xenofobia sistematica.
Di fronte alla disumanizzazione del diverso, l’incontro tra le Comunità si manifesta come esempio di laicità.
Restiamo umani, per dirla con Vittorio Arrigoni, nonostante siano ormai ben più di 70 anni che la Palestina sia senza uno Stato.
Noi viviamo fiduciosi che un giorno ritorneremo, e forse riusciremo a girare il profilo disegnato da Naji al-Ali, l’autore di Handala, pensando agli altri «mentre prepari la tua colazione, […] mentre fai le tue guerre, […] non dimenticare coloro che chiedono la pace. Mentre paghi la bolletta dell’acqua, […] pensa a te stesso, e dì: magari fossi una candela in mezzo al buio», così pensa agli altri, come scrisse il poeta, Mahmoud Darwish.

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