Un giorno qualcuno ti chiederà

1 Aprile 2014
solitudine del lavoro
Ciro d’Alessio

Un giorno in azienda il padrone convoca la Rsu e gli comunica che “al fine di gestire situazioni di crisi o in presenza di investimenti significativi per favorire lo sviluppo economico e occupazionale dell’impresa”, ha bisogno di modificare “la prestazione lavorativa, gli orari e l’organizzazione del lavoro”.

Ciò significa che può aumentare ritmi delle linee di montaggio, aumentare l’orario di lavoro giornaliero o tagliare le paure e spostare la mensa a fine turno.
Ci ritroveremmo in breve tempo con una fabbrica completamente riorganizzata, con gravi ricadute sulle condizioni materiali dei lavoratori e con seri rischi per la sicurezza degli stessi.
Ora mettiamo il caso che dopo una settimana o due un gruppo di lavoratori chiama la Rsu di fabbrica per denunciare i carichi eccessivi a cui sono sottoposti chiedendogli di intervenire perché la vita in fabbrica è diventata insostenibile.
La Rsu chiederà ed otterrà un incontro con l’azienda nel corso del quale denuncerà le ricadute negative che la riorganizzazione del lavoro ha portato sulle linee.
La risposta dell’azienda sarà senza batter ciglio che lei altro non sta facendo che applicare la parte terza del Testo unico sulla rappresentanza: “titolarità ed efficacia della contrattazione collettiva nazionale di categoria e aziendale”.
A questo punto dinanzi al rifiuto dell’azienda la Rsu per far valere le ragioni dei lavoratori che rappresenta può solo scioperare, cercando mediante il conflitto di migliorare le condizioni dei lavoratori.
Ma sempre secondo il Testo unico quella Rsu scioperando andrà incontro a sanzioni.
Così chi rappresentiamo sarà costretto a subire aumenti di ritmi, tagli delle pause e tanto altro ancora, mentre la Rsu darà dimostrazione di aver perso qualsiasi legittimità e utilità.
Facile immaginare cosa poi ci risponderanno quegli stessi lavoratori quando chiederemo loro di rinnovare la tessera alla nostra organizzazione, oppure quando chiederemo a qualcuno di loro di iniziare un percorso di militanza sindacale.
Ci verrà detto che oramai il sindacato ha completamente abbandonato le ragioni dei lavoratori per abbracciare le ragioni delle imprese e che tanto è inutile inscriversi visto che non riesce nemmeno più a tutelarli contro ritmi massacranti.
Molti in questi mesi hanno risposto a queste nostre osservazioni dicendoci che un accordo è frutto della contrattazione, elemento essenziale dell’azione sindacale, e che se un accordo si firma è perché se ne condividono i contenuti, quindi non c’è motivo poi di metterlo in discussione.
Questa è una mezza verità perché chi ci ha risposto ha dimenticato di dire che con le regole introdotte con il Testo unico del 10 gennaio gli accordi che non si condividono si subiscono.
Se in un azienda si deve fare un accordo essa deve favorire sempre una piattaforma unitaria, ma se non si arriva a un testo condiviso l’azienda prenderà in considerazione solo la piattaforma proposta dal 50% più uno delle organizzazioni sindacali.
Ciò vuol dire che anche là dove una sola organizzazione sindacale rappresenta il 49% dei lavoratori se le altre organizzazioni sindacali presenti in azienda si mettono insieme per arrivare al 51% saranno loro a poter presentare la piattaforma e chi invece rappresenta il 49% non ne potrà presentare un’altra alternativa, dovrà accettare quella proposta alla maggioranza, pena vedersi negare anche i diritti sindacali.
In Fiat, apripista della negazione dei diritti¸ è accaduto che al rinnovo del Contratto collettivo specifico di lavoro la Fiom ha proposto la sua carta rivendicativa, discutendola nelle assemblee, modificandola quando emergevano elementi importanti e soprattutto facendola votare da lavoratrici e lavoratori. In modo da poter rendere realmente partecipi i lavoratori e poter portare al tavolo delle trattative anche la voce di chi poi quell’accordo lo vivrà sulla propria pelle.
Sappiamo bene che considerazione hanno del volere dei lavoratori la Fiat e le organizzazioni firmatarie del CCSL, ma noi come delegati Fiom abbiamo potuto dire che c’era un alternativa e quell’alternativa l’abbiamo costruita con i veri titolari di qualunque contratto e accordo nelle varie assemblee degli stabilimenti del gruppo.
Ma per poter semplicemente affiggere un volantino e tornare a fare le assemblee e quindi discutere con i lavoratori nelle fabbriche abbiamo dovuto combattere una dura battaglia culminata nella sentenza della Corte Costituzionale dello scorso novembre. Sentenza che proprio l’accordo del 10 gennaio raggira tranquillamente con la regola per cui chi non è firmatario di contratto non ha accesso ai diritti sindacali. Esattamente il modello Fiat da noi combattuto e che la Corte Costituzionale ha cancellato.
La Cgil in questi anni non ha mai sostenuto fino in fondo le ragioni che ci spingevano allo scontro con Fiat e oggi, dopo che quella battaglia ha cancellato un modello autoritario, firma un accordo che reintroduce quelle norme, senza aver fatto prima una sola assemblea, senza un solo momento di confronto con i lavoratori, con i delegati e senza il voto vincolante di chi quell’accordo lo subirà.
Oggi la Cgil propone di emendarsi dall’errore organizzando una truffa: si parla di voto di tutti gli iscritti con modalità tutt’altro che trasparenti, con assemblee da farsi (?) con Cisl e Uil (ci chiediamo perché non con Confindustria) senza la possibilità da parte di chi quell’accordo lo contrasta di poter esprimersi fra i lavoratori, perché il voto non sarà sul Testo unico ma sulla sua firma a quell’accordo della Segreteria nazionale. Perché la Cgil dà per scontato che i lavoratori quell’accordo lo conoscono già e quindi è inutile rispiegarlo nelle assemblee.
L’accordo del 10 gennaio può stravolgere la nostra organizzazione, restringendo il diritto al dissenso ed emarginando chi manifesta le sue critiche. Rischia di diventare pratica comune ciò che è successo a due compagni della segreteria della Filt-Cgil napoletana: dopo il congresso in cui hanno portato avanti al nostro fianco la battaglia sugli emendamenti, è stato loro comunicato che il rapporto di collaborazione con l’organizzazione era finito e che dovevano immediatamente ritornare nelle proprie aziende.
Come per i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori anche per il sindacato i segnali di pericolo sono evidenti: tocca a noi salvare la democrazia nella Cgil perché sia sempre di più lo strumento con cui quotidianamente lottare per migliorare le condizioni di chi cerchiamo di rappresentare.

*delegato Fiom Fiat Pomigliano

 

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