I giovani al tempo del capitalismo selvaggio

1 Ottobre 2016
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Amedeo Spagnuolo

Primo giorno di scuola, entro in classe come ogni anno con molto entusiasmo ancora convinto che con il mio lavoro possa contribuire, anche se in piccolissima parte, ad offrire a questi ragazzi che mi fanno tenerezza più che rabbia, qualche indicazione, qualche suggerimento, insomma qualcosa che li aiuti a tirarsi fuori dalla melassa sociale, politica ed economica che negli ultimi decenni ha inondato la società italiana.

Una disgustosa melassa talmente vischiosa che negli anni è riuscita a imprigionare la maggior parte di coloro che si sono ritrovati giovani in questi ultimi decenni grigi e senza prospettive. Molto spesso ci si lamenta della superficialità e del qualunquismo di molti dei nostri giovani, principalmente di tutti quelli che, noi insegnanti, abbiamo la ventura di conoscere nelle fatiscenti aule delle nostre scuole poco sicure. Per intenderci, l’altro giorno mi accingevo a illustrare le attività didattiche che saranno svolte nel corrente anno scolastico, ad un certo punto la mia attenzione cade su un mio nuovo alunno di prima superiore che, in maniera piuttosto sfacciata, cercava di nascondersi dietro la sagoma di un suo compagno di classe per poter indossare, in tutta tranquillità, le cuffiette dello smartphone e beatamente ascoltare qualcosa. Con gli anni ho imparato che a scuola bisogna avere tanta pazienza e cercare di parlare con i ragazzi che hai di fronte fino allo sfinimento, soprattutto con quelli più “difficili”. Così facendo, nel corso della mia carriera qualche soddisfazione l’ho ottenuta, ma più passano gli anni e più diventa complicato.

Comunque mi avvicino al ragazzino con le cuffiette e gli chiedo che musica sta ascoltando, convinto di poter attirare la sua attenzione parlando di un argomento che probabilmente gli sta a cuore. Purtroppo, spesso, noi adulti, basandoci di frequente sull’esperienza, diamo per scontate troppe cose, per cui pensiamo, ad esempio, che la musica è una forma espressiva talmente potente da poter scuotere chiunque anche il ragazzo più “soporifero” di questo mondo. Nel caso specifico, il ragazzino con le cuffiette mi rispose candidamente che della musica non gliene fregava nulla, così come, probabilmente, non era interessato praticamente a niente. Aggiunse poi che si divertiva ad ascoltare e osservare un inquietante video nel quale un pappagallino continuava a muoversi verso destra e verso sinistra in maniera ossessiva seguendo le sollecitazioni di una disgustosa base musicale sviluppata al computer, tutto li, non c’era nient’altro, insomma il nulla.

Mi piacerebbe poter affermare che si tratta di casi isolati, purtroppo l’esperienza e le informazioni che mi giungono dai media e dalle fonti più disparate mi suggeriscono una soluzione diversa: viviamo in un sistema socio – economico che ci sta sfuggendo di mano, un sistema che sta progressivamente spegnendo le menti dei nostri giovani martellate continuamente da messaggi espliciti e subliminali che hanno tutti lo stesso obbiettivo, plasmare individui poco o per nulla creativi, poco o per nulla critici, poco o per nulla entusiasti della vita, insomma donne e uomini svuotati da tutto ciò che rende un’esistenza degna di essere vissuta e, dunque, facilmente manipolabili e utilizzabili come efficaci strumenti di “consumo”.

Il fatto è che questo sciagurato progetto sta cominciando a incrinarsi, mostra delle preoccupanti controindicazioni che potrebbero ritorcersi proprio contro il capitalismo selvaggio dei nostri giorni che si vedrebbe costretto ad assistere, per esempio, a una pericolosa contrazione dei consumi, cerco di spiegarmi meglio. Nel 1964 Herbert Marcuse, grande filosofo tedesco, scrisse il suo libro forse più importante, L’uomo a una dimensione. L’opera cominciava in questo modo: “Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica  non – libertà prevale nella civiltà industriale avanzata, segno di progresso tecnico”.  Con queste parole Marcuse denunciava il carattere repressivo delle società industriali avanzate che appiattiscono l’uomo su di una sola dimensione, quella del consumatore che si esalta in maniera ottusa quando riesce ad impossessarsi degli oggetti prodotti dall’industria capitalista, dunque la sua unica libertà rimane quella di poter scegliere tra tanti prodotti diversi.

Negli ultimi anni però, e qui ritorno all’esempio del mio alunno affascinato dal pappagallino che danza, tantissimi giovani stanno perdendo, tra i tanti interessi, anche questa attrazione sfrenata per l’acquisto e il consumo di oggetti. Insomma la maniera “selvaggia” con la quale il capitalismo si è sviluppato in questi ultimi anni, sta non solo appiattendo, come diceva Marcuse, l’uomo sull’unica dimensione del consumo bensì sta provocando, soprattutto su molti giovani dei nostri tempi, un vero e proprio svuotamento etico, per cui valori umani che sembravano incrollabili, si stanno invece inesorabilmente sgretolando. Questo però potrebbe ritorcersi anche contro quel sistema del consumo sfrenato giacché plasmare individui “svuotati” significa certo devastare la vita spirituale e materiale di costoro, ma significa anche perdere definitivamente una enorme platea di consumatori in tutto il mondo ormai indifferenti a tutto, anche al pappagallino che balla sullo schermo dell’ipertecnologico smartphone di ultima generazione ormai, anch’esso, non più appetibile.

1 Commento a “I giovani al tempo del capitalismo selvaggio”

  1. Ranieri scotese scrive:

    Mi trovo d’accordo sulla perdita nei giovani anche di quelli che venivano ritenuti stimoli effimeri come quello degli acquisti sfrenati all’ultimo gadget elettronico o quello di far parte delle moderne tribu’,accomunati dall’interesse allo stesso gruppo musicale, o allo stesso operatore telefonico, ma tante altre ce ne sono., ultima la demenziale caccia ai pokemon.L’aspetto che mi preoccupa di piu’ e che parte della nuova generazione non ha neanche questi stimoli. Una vita senza stimoli credo porti ad una forma di depressione latente che amplificata da disoccupazione e mancate certezze per il futuro sfocera’ credo purtroppo in una reale depressione .Che fare? Non ho la soluzione ma credo che l’autore dell’articolo bene faccia a continuare l’insegnamento con I suoi parametri e convinzioni. Qualcuno verra’ salvato.

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