Go in peace

16 Gennaio 2010

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Alice Sassu

L’attesa alla stazione di Betlemme per raggiungere Gerico è lunga. Prima di iniziare la tratta, il service deve raggiungere il numero sufficiente di persone per riempirsi. Gerico è una zona che potenzialmente potrebbe rappresentare un’attrattiva turistica per la sua storia antica e per il suo piacevole clima subtropicale. Anche Mahmoud ci credeva quando ha aperto la sua attività. Attendiamo circa un’ora per partire, nessun turista viaggia con noi, solo qualche palestinese che raggiunge la sua famiglia. Nel tragitto incontriamo l’immensa colonia di Ma’ale Adumin, che con i suoi 33.000 abitanti rappresenta un importante collegamento tra le colonie a est di Gerusalemme. Il piano per la sua costruzione intendeva isolare Gerusalemme Est da Gerico e tagliare la Palestina da nord a sud. Superato il colosso di case bianche a schiera, si stende un paesaggio mozzafiato: montagne e zone desertiche, quasi lunari. Solo i beduini le abitano. S’intravedono le loro baracche, nelle alture uomini con i dromedari, nella piana donne che lavorano ai campi. Tutto è arido e sembra che non possa nascere alcuna vita da quelle terre. La tribù non risiedeva in queste zone, ma in altre più fertili dove ora si spande la colonia di Ma’ale Adumin. La popolazione beduina continua ad essere perseguitata. Le case vengono abbattute, vivono in baracche e per il proprio sostentamento sono costretti a lavorare alla mercé delle fattorie israeliane (sempre che ottengano i permessi per entrarvi). Gerico è vicina, iniziamo ad intravedere la pianura, un po’ di il verde e le palme. Gli abitanti della città negli anni ‘60 erano prevalentemente produttori agricoli, ora solo una piccolissima parte riesce a vivere dal lavoro nei campi. Peraltro, enormi quantità di acqua vengono confluite nelle colonie che appaiono immediatamente verdi e lussureggianti. La confisca di terre e la penuria di acqua ha impedito che la produzione agricola continuasse ad essere l’economia portante della zona. Se negli anni ‘60 la Giordania con gli altri stati del Golfo importava il 60% dei prodotti agricoli di Gerico, nel 1994 Israele fa un accordo con la Giordania e si acuisce la dipendenza dei produttori palestinesi dal mercato israeliano. Gerico è una piccola città, in tanti girano in bicicletta e il clima è estivo. L’atrio dell’hotel è grande, spazioso e a prima vista sembra che un tempo accogliesse tanti turisti, insomma che l’economia girasse, ma forse questa era la speranza. Foto incorniciate di Arafat addobbano le pareti. Alcune ritraggono l’anziano Mahmoud, proprietario del piccolo Hotel, con Arafat, quando si recò in visita in città. Lui è di Gerusalemme e racconta che decise di aprire l’attività a Gerico quando 15 anni fa pensava che si prospettassero delle possibilità per la pace e per l’economia del suo paese. Ci offre un caffè arabo e si agita quando parla delle sue speranze disilluse, sente poco Mahmoud, e parla solo lui. L’indomani mattina si offre di portarci come taxista verso le spiagge del Mar Morto, di turisti nel suo hotel, oggi, ci siamo solo noi. Corre spedito in macchina, attraversiamo le lande desolate, le palme e iniziamo ad intravedere il mare, e torrette, ristoranti e villaggi balneari israeliani. Dicono che si trovano anche delle calette libere per bagnarsi nel mare più salato del mondo, ma veniamo attratti da un cartello “Go in Peace”, così, infatti, accolgono i turisti nel villaggio balneare. Ombrelloni, tavolini, sdraio, e tanti turisti indaffarati a riempire di fango il proprio corpo, per poi sdraiarsi sotto il fil di sole di dicembre. Un grande cartellone pubblicitario dell’Ahava indica l’ingresso per il negozio di costose creme ai sali del Mar Morto. Si racconta che nel 1988 una donna di un kibbutz, notando delle turiste cospargersi con i fanghi del Mar Morto, abbiamo pensato di realizzarci un business. Nel sito dell’azienda si legge: “Ahava è l’unica Società al mondo avente i diritti esclusivi di estrazione e lavorazione sulle rive stesse del Mar Morto, la prima e la più venduta nel mondo, studiata e pluripremiata”; e si legge ancora: “non compriamo dalla fonte, noi siamo la fonte”. Oggi è tra le prime aziende nel mirino della rete di boicottaggio internazionale contro le merci israeliane. Mentre diversi operai palestinesi lavorano al miglioramento del villaggio balneare, i bus sono in attesa dei turisti, che ripuliti e rinvigoriti dai fanghi si dirigono verso gli hotel israeliani della zona. La sera, tra le vie della città, in cerca di cd di musica araba palestinese, conosciamo Hassun. Ci invita nel suo negozio, beviamo un caffè e parliamo di musica, di donne, di vita e di Palestina. È là che conosciamo Ziad, lui parla italiano, e lavora nel centro turistico di Gerico. Ci racconta che sono pochi i palestinesi che vanno al Mar Morto, alcuni perché boicottano l’occupazione, e altri perché non possono entrare. Immagino siano i soliti palestinesi della lista nera, quelli che militano contro l’occupazione, o che sono stati arrestati per “detenzione amministrativa” (insomma senza giustificato motivo). Hassun prima di salutarci ci ricorda di mostrare quello che accade, di raccontare l’occupazione, di far capire che i palestinesi non sono terroristi, e che Gerico è bella e anche il Mar Morto. Mahmoud ci offre il solito caffè arabo e ci congeda con un sorriso. Ziad dice di aver paura, crede che oramai la popolazione palestinese sia allo stremo, che una nuova intifada sia vicina, e conclude: “se scoppia un’altra guerra questa volta ci fanno sparire tutti”. Questo ci dice Ziad.

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