Guardiamo la luna, non il dito

1 Marzo 2017
Cristiano Sabino

Riceviamo e pubblichiamo la risposta di Cristiano Sabino all’articolo di Claudia Zuncheddu sulla riscrittura dello Statuto (Red)

Come non dare ragione a Claudia Zuncheddu quando, nel suo bello e approfondito articolo pubblicato sul Manifesto Sardo Il sogno ingenuo della riscrittura dello Statuto Speciale Sardo, sottolinea come tutto ciò che viene toccato dalla classe politica legata ai partiti centralisti si trasformi miracolosamente in fango. Ciò avviene da anni, anzi, da sempre. Potremmo tranquillamente dichiarare che il compito dei partiti italiani in Sardegna e delle loro varie stampelle, consiste proprio in questo: assimilare e distorcere tutte le elaborazioni politiche, economiche e filosofiche prodotte dall’indipendentismo per disinnescarle. Lo stesso patrimonio culturale sardo ha subito questo processo e non bisogna dimenticare che le pro loco sono nate per volontà del fascismo al fine folklorizzare la cultura sarda e italianizzare i sardi.

E non dimentichiamo neppure la confluenza di una parte del Partito Sardo D’Azione nel fascismo stesso (il cosiddetto sardofascismo). Dal dopoguerra in poi sono centinaia i casi di manipolazione e corruzione delle idee sardiste e indipendentiste, come molteplici sono i casi di compravendita dei suoi valori e putroppo anche dei suoi dirigenti. In tempi più recenti possiamo fare l’esempio di due grandi cavalli di battaglia dell’indipendentismo: la flotta sarda e l’agenzia sarda delle entrate. La prima fu realizzata in maniera distorta e grottesca dalla Gunta Cappellacci e tutti sappiamo come finì quell’esperimento, anche grazie alle assurde regole della UE sulla concorrenza (le quali impediscono al pubblico di finanziare il privato ma non impediscono il sorgere dei monopoli).

Il secondo argomento è stato utilizzato dalla Giunta Pigliaru per fare un enorme regalo al Governo Renzi rinunciando ai ricorsi alla Corte Costituzionale sugli accantonamenti (cioè le ritenute alla fonte che lo Stato esegue sui fondi a disposizione delle regioni con la giustificazione che tutti devono concorrere al pareggio di bilancio). In entrambi i casi si è giocato sulle parole. La flotta sarda non era in realtà una vera flotta sarda, ma si trattava di finanziamenti pubblici a società private, e nel secondo caso l’ASE (agenzia sarda delle entrate) non è una agenzia delle entrate, perché non ha alcun potere di riscossione.

Il discorso vale anche per tanti altri temi: lingua sarda; piano energetico; piano paesaggistico; spopolamento; infrastrutture; artigianato, agricoltura, riforma ASL. Insomma i partiti italiani in Sardegna e le loro liste civette di matrice sarda o sardista sono un Re Mida al contrario: rendono tossico tutto ciò che toccano.
Fatte tali dovute premesse veniamo al nostro argomento: lo Statuto Autonomistico. Sabato 11 febbraio si è tenuto a Sassari un’importante giornata di analisi e dibattito a cui hanno partecipato praticamente tutti i movimenti indipendentisti e sardisti e diversi studiosi.

Da parte mia ho aperto il convegno con un intervento riassumibile in tre parti: 1) lo Statuto presenta diversi punti mai attuati a causa della volontà subalterna della classe politica colonialista che ha sempre governato la Sardegna; 2) nello Statuto mancano diversi diritti fondamentali come per esempio i diritti linguistici, il riconoscimento nazionale e il diritto democratico all’autodeterminazione (solo per citarne alcuni); 3) la battaglia per l’attuazione dei punti dello Statuto mai fatti valere e per i nuovi diritti da conquistare non può essere delegata alla classe politica colonialista che governa attualmente l’isola perché essa ha più volte dimostrato la sua subalternità rispetto alla gestione del potere centralista. Ecco perché la questione dello riscrittura dello Statuto non può essere un’operazione di ingegneristica istituzionale ma deve diventare una bandiera politica del movimento che fa capo al concetto e al programma dell’autodeterminazione.

Le obiezioni a questo ragionamento sono sostanzialmente due:

1) Dichiarare di voler riscrivere lo Statuto è pericoloso perché l’idea potrebbe essere impugnata dalle forze politiche colonialiste che procederebbero ad una riscrittura peggiorativa o addirittura alla cancellazione dello Statuto stesso

2) Ci sono argomenti ben più importanti da trattare e questo tipo di dibattiti è inconcludente e inutile
Alla prima obiezione rispondo semplicemente che ciò è vero per qualsiasi argomento. Qualunque cosa facciano gli indipendentisti viene letteralmente parassitata dai partiti colonialisti. È sempre successo e sopra ho fatto alcuni esempi, ma potremmo farne a palate. Per impedire che il lavoro indipendentista venga depredato è necessario superare l’attuale fase di frammentazione e non solo nelle singole lotte sporadiche o settoriali come qualcuno propone. Ciò non è più sufficiente, anche perché gli indipendentisti hanno sempre fatto lotte comuni e hanno sempre partecipato alle lotte dei comitati e ai movimenti sociali, ma poi non hanno mai quagliato quando c’era da tirare le somme e nei momenti decisivi si sono presentati divisi. Per fare in modo che il nostro patrimonio ideologico e programmatico non venga più messo a sacco bisogna creare ambiti di condivisione e convergenza ufficiali, regolamentati e democratici, altrimenti le singole battaglie dei singoli movimenti saranno sempre destinate o ad essere dimenticate o ad essere assimilate come è accaduto finora.

Alla seconda obiezione non bisognerebbe neppure rispondere perché si tratta del ben noto approccio “benaltrista” che viene sempre utilizzato da parte di chi non ha gli strumenti di affrontare le questioni e quindi cerca di spostare l’attenzione su altri problemi. Mi limito a sottolineare come tutti i singoli problemi e le singole vertenze siano intrecciate alla questione dello Statuto. È inutile farci illusioni, qualunque problema ci troviamo ad affrontare, alla fine, inciampiamo nel problema della riforma dello Statuto, a meno che non ci interessi solo fare propaganda o sponsorizzare un brand politico.

A mio parere dovremmo ascoltare maggiormente le utili argomentazioni degli intellettuali che hanno partecipato al convegno a Sassari. In particolare quanto dichiarato dal politologo Carlo Pala, il quale ha suggerito di agitare la bandiera del passaggio dallo statuto “burocratico” allo statuto “politico” e del costituzionalista Omar Chessa, che ha suggerito di agire in primo luogo sulla Statutaria e quindi sulla legge elettorale, al fine di permettere alle forze dell’autodeterminazione di avere rappresentanza politica.

Nessuno è ingenuo e nessuno qui gioca al ribasso. La bandiera dell’applicazione avanzata dello Statuto e di una sua riscrittura deve essere una bandiera dell’indipendentismo unitario, uno dei punti forti con cui finalmente si annuncia al popolo sardo che la rotta è stata invertita e che l’alternativa al colonialismo esiste ed ha un progetto di media e lunga gittata. Che poi è la differenza che Gramsci individuava tra “politica” e “politichella”, cioè tra l’agire autoreferenziale e settario finalizzato alla gestione dei propri interessi particolari e l’agire in prospettiva di costruire società e stati nuovi. Basta scegliere. A noi interessa la “politica” gramscianamente intesa!

Scrivi un commento


Ciascun commento potrà avere una lunghezza massima di 1500 battute.
Non sono ammessi commenti consecutivi.


caratteri disponibili

----------------------------------------------------------------------------------------
ALTRI ARTICOLI