I falsi, per la verità

16 Giugno 2009

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Natalino Piras

Dal libro delle sepolte, una lettera mai pubblicata dal quotidiano “La Stampa”. Nuoro, 14 gennaio 2009.  Io non sono uno storico. Forse sono un aspirante narratore e scrivo a proposito dei due articoli sulle “Annales”, nella “Stampa” di ieri, a firma di Miguel Gotor e Giuseppe Galasso. Mi sembrano accomunati da spirito liquidatorio di una esperienza che a vederla dalla mia periferia ha ancora molto da insegnare. Forse perché in periferia la storia e il suo insegnamento accadono dopo che il centro o i centri degli eventi li hanno già elaborati, fagocitati e aboliti. Come sembra accadere per il magistero e il metodo delle “Annales”, sostengono pur con differente voce, i professori Gotor e Galasso. Il primo registra il grado di consumo del metodo storiografico inventato da Marc  Bloch e Lucien Febvre nel 1930 e basato sull’allargamento della storia a fatti fino ad allora trascurati o addirittura non considerati. Il secondo dice invece che il ribasso e la fine della scuola di Bloch e Febvre “rilanciano oggettivamente molti aspetti fondamentali della tradizione storiografica europea, gettati via come parte dell’acqua sporca che si riteneva di ravvisare in quella tradizione”. Condivido a tal proposito la sottolineatura di Galasso sul male fatto dagli “ismi” e sull’utilizzo ideologico da parte di questi anche della scuola delle “Annales”. Ma da sardo posso dire che molta storia della e sulla Sardegna scritta nello spirito di quella “tradizione storiografica europea” richiamata da Galasso era e resta acqua sporca. Se fosse possibile rivendicherei contro quella tradizione storiografica lo spirito delle “Annales”. Chiamo a sostegno le “Carte d’Arborea”, false pergamene e codici che un frate minorita iniziò a distribuire nella Sardegna della seconda metà dell’Ottocento.  Opera di un paleografo cagliaritano, frustrato ma abile, avido  di soldi  e per questo capace di mettere su un piccolo atelier di scrittura, le “Carte”, falsate a datare dal medioevo dei sardi e prima ancora dalla dominazione romana,  inventavano uno splendore mai esistito nella storia dell’Isola. Misero a rumore il mondo, non solo sardo e italiano, ma anche europeo come rilevò lo stesso Benedetto Croce. Le “Carte d’Arborea” erano dei falsi e come tali condannate nel 1870 da un tribunale internazionale presieduto dallo storico Theodor  Mommsen. Però interpretano lo spirito dei sardi più di qualsiasi “tradizione storiografica europea”. Ne costituiscono il romanzo storico, come giustamente dice lo storico Manlio Brigaglia, ma allo stesso tempo svelano quanto di falso, compresso, abraso, cancellato, manipolato, imposto con forza e via dicendo ci sono nella tradizione  storiografica  che si occupa di Sardegna. Le “Carte d’Arborea” non furono un fenomeno isolato. Sono nello spirito del tempo, di poco successive a fatti analoghi succeduti nella Sicilia dei Viceré e delle congiure giacobino-iluministe  – Sciascia ne ha fatto romanzo storico con Il Consiglio d’Egitto –  e coeve di altri falsi inventati a Praga e Parigi passando per Bologna e altre città e paesi dell’Europa. Tutte animate dall’idea periferica di contestare l’elaborazione della storia cosi come avviene nel centro. La scuola delle “Annales” che inizierà a occuparsi di storia vera un secolo dopo tutte queste invenzioni, riceve lezione dalla scuola del falso e applica questo metodo di fantasia, di romanzo storico, alla vera storia. Una cosa mai avvenuta prima. Ricordava il 23 ottobre scorso Luciano Canfora, sul “Corriere della sera”, di quando Marc Bloch, nell’Apologia della storia, uscito postumo nel 1948, “per esemplificare il compito primario di distinguere il vero dal falso, partì dai falsi di Vrain-Lucas. Costui, ormai dimenticato, aveva venduto nel 1857 all’Accademia delle Scienze lettere inedite di Pascal dalle quali veniva fuori che Pascal aveva formulato il principio dell’attrazione universale prima di Newton. Niente paura. Dopo poco Vrain sfoderò lettere in cui Galileo forniva a Pascal i dati necessari”. E Bloch a commentare:  “L’esperienza insegna e la storia conferma: i falsi si presentano a grappoli!”. Non foss’altro che per questa continua attualizzazione della cerca di un lumen, le “Annales” non hanno esaurito la loro funzione maieutica. In un convegno sui falsi d’Arborea a Oristano nel marzo del 1996, Gabriella Olla Repetto si serve ancora dell’Apologia di Bloch: “Ma non basta constatare l’inganno. Occorre anche scoprirne i motivi: se non altro per svelarlo meglio”. La continuazione della cerca del “buono storico” che per Bloch deve somigliare all’orco della fiaba che – rileva Gotor – là dove fiuta carne umana, là sa che è la sua preda”, ha ragione di continuare. Considerato pure che l’orco-storico Bloch, ebreo,  venne fucilato perché uomo della Resistenza  contro il nazismo, che  fu orco vero, divoratore di molta carne umana fuori di ogni metafora. A tal proposito pur riconoscendo a Bloch la nobiltà della scelta di fare il capitano anche nella Resistenza, come lo fu nell’altra immane storia della prima guerra mondiale, l’articolo di Miguel Gotor parla di età anagraficamente tardiva. Non direi. Raccontano, e la cosa può benissimo appartenere all’oralità che dà corpo alla scrittura, che fu il cinquantottenne Bloch a infondere coraggio a un ragazzo di 16 anni, davanti al plotone d’esecuzione delle SS. Una giusta attualizzazione della parabola evangelica, della sua tradizione storica, del Vento che soffia dove vuole.

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