I migliori anni del nostro berlusconismo

16 Febbraio 2011

Natalino Piras

“E a Berlusconi nostru ca er vetzeddu, como nche lu sedimus a poleddu”. Così, a ritmo di “A nde cheres de cozzula Juanna”, riprendo qui alcune considerazioni sui “Migliori anni del nostro maccartismo” a firma Istefane Dorveni nel mio sito www.natalinopiras.it Caricare Berlusconi a dorso d’asino e farlo allontanare dal paese, come si faceva sino a non molto tempo fa per esattori e cattivi amministratori. E non perché Berlusconi sia vecchio, “vetzeddu”, lui non ha canizie: quanto perché è degno di sedere “a poleddu”, appunto a dorso d’asino. Una specie di “risus paschalis”, alle porte del carnevale, tempo in cui era permesso portare gli asini dentro la chiesa. Berlusconi a foras! Lo abbiamo gridato ieri, un milione di gente, in Italia e in Europa, lungo i cortei e nelle piazze, nel segno di “Se non ora quando?”, titolo di un romanzo di Primo Levi, moltitudine per la dignità delle donne. Dice la ministra Gelmini che si tratta di poche radical chic. Balle. Riguardi la Gelmini della pubblica non-istruzione i servizi televisivi. A Nuoro, per dire della periferia dell’impero, io non ricordo tanta gente per una manifestazione di piazza: quando la testa del corteo svoltava da via Manzoni verso Giardinetti, la coda stava davanti al Santuario delle Grazie, mezzo chilometro. E io ho visto e sentito gridare e soffiare nei fischietti e cantare donne e uomini. Ho visto poliziotti in pensione e suore, ragazze in carrozzina e gente anziana. Una signora vestita di rustico reggeva uno dei tanti cartelli il cui significato unitario era sempre quello di “Berlusconi a foras!”. Ma perché tutto questo? Perché forse è arrivato il tempo di storicizzare i migliori anni del nostro berlusconismo. Dico “migliori anni” pensando non al programma ballerino della tv di stato ma al film di William Wyler “I migliori anni della nostra vita”, 1946. Parla di ritorno dall’orrore della guerra e una scena rimane particolarmente impressa, quando un reduce sferra un pugno a un altro reduce, suo amico, che sostiene: “E adesso la guerra dovremmo farla contro i rossi”. Premonizione di altri migliori anni alle porte, quelli del maccartismo, di caccia alle streghe. Questo bisognerebbe mettere a didattica. Altro che fare i radical chic accusando gli altri di esserlo, tipico atteggiamento da parvenu, da scrittrici e scrittori da nouvelle vague, da gente di televisione, di dominio dei media. Apparire, imporre l’apparenza, mistificare. Perché quell’apparenza è sostanza, impregnata di volontà assoluta di potere sugli altri, appunto di dominio. Questi sono stati e ancora sono i migliori anni del nostro berlusconismo. Nel mio sito ho interrotto le puntate di “Alturas”, romanzo che inizia con l’avvento del berlusconismo in Italia, nel 1994. Già da quel lontano marzo ho sperimentato sulla mia pelle cosa volesse dire, giornalisticamente parlando, la presa di potere di Berlusconi nel mondo dell’informazione. Era lo stesso Berlusconi che qualche anno prima aveva esposto a Camilla Cederna la sua visione del mondo: ragazze, feste e festini, “l’orgia del potere” per parafrasare il brutto titolo italiano di “Z”, film di Costa Gavras sulla Grecia dei colonnelli. Un’altra orgia di abiezioni. Quando Berlusconi prese il potere a tutto si poteva pensare tranne che uno come lui potesse essere un tycoon liberal. “Ma no’ lu idiatzes, non lo vedevate?” Eppure furono in tanti a non voler vedere in quella primavera del 1994. Asserviti alla mistificazione, specie dei media. Giornalisticamente parlando non si poté più essere sperimentatori di linguaggi perché il berlusconismo entrò come peste del linguaggio. Ha infettato la scrittura. Se volevi campare e/o avere successo, dovevi adeguarti,  omologarti agli standard imposti dal berlusconismo. Un arco che va da Drive in, vi siete mai chiesti il successo di Faletti?  e che attraverso Il grande fratello arriva alla demonizzazione di qualsiasi dissenso. L’anticomunismo come spettro e come metodo, come Asso nella manica, appunto un altro famoso film di Billy Wilder.  I cuori e le menti si conquistano con la propaganda e la parlata  mica con tutte le nostre deleterie coerenze. Eppure mi torna il voltastomaco sentire Ferrara arringare in tv, dire che Berlusconi deve tornare allo spirito di quel 1994. Gli richiamo Delunas fucilato alle Ardeatine: “Si mi ‘olto tottu in giru’ido solu abba e bentu”. Mi giro intorno e non vedo un magnate di giornali che pur negli eccessi sia stato tanto privo di codice etico come Berlusconi. Valutate ancora: bunga bunga, ultimo dei neologismi, che entra a far parte del lessico. Allora noi diciamo che “berluscone” o “berluscones” sta a significare l’arroganza di chi nel cavaliere di arcore vede l’uomo della provvidenza, di chi ne ammira le prodezze in campo amatorio, ne esalta il lauràr  de la madona,  la sua capacità di  mentire e vendere. Quasi a contrasto della manifestazione di ieri, a Nuoro, l’altra sera ancora un pubblico estatico pendeva dalle labbra di un giornalista-scrittore che decantava il saper imporsi da parte di Berlusconi, appunto nella logica e nella capacità di chi riesce a vendere frigoriferi agli esquimesi. Come se questo fosse un vanto. E nessuno dei nuoresi che sia alzato in piedi a dire di come Berlusconi osteggiò Il venditore, libro eretico di Peppino Fiori sull’ascesa e sull’imposizione del berlusconismo. È che si è berluscones anche a sinistra, a volte in maniera inconscia altre volte consapevole. Sempre per il proprio utile come insegna il capo. Come tanti voltagabbana. Si è berluscones giornalisticamente, politicamente e letterariamente parlando. Io, contro i berluscones, ne ho fatto e faccio esperienza, sulla mia pelle. E dire che sono uno di educazione milanese, con tutti i preti lombardi che mi hanno insegnato a capire Manzoni ma anche il fatto che il 25 aprile del 1945,  comandanti del CLN in testa, la folla liberata sfila davanti al Duomo. Che è poi segno di come quella  cattedrale gotica mette a paragone la bassura con la vertigine del divino, il buio con la luce. Anche ieri il Duomo milanese è stata la meta di Se non ora quando?”. Ora, appunto, una domanda: come si fa a far passare la nostra bassura ma pure la nostra sacralità di anime e corpi nella griglia del berlusconismo? Sarebbe come pretendere  di adeguare la sofferenza del comprendere  e del donarsi con chi, ricco Epulone, nega a Lazzaro persino le briciole. Magari illudendolo che se non c’è pane tutti i giorni  ci sarà pure cioccolato, una volta al mese. Questo è il berlusconismo: la più spietata, mattonaia e cafona affermazione del liberismo in economia, la negazione di un patto equo e solidale in politica,  la mistificazione come dominio dei mezzi di comunicazione di massa. Meditate: in modo che poi ci venga bene il risus paschalis.



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