Il dibattito nel manifesto

16 Luglio 2012

Marco Ligas

Dopo l’accordo raggiunto al ministero del lavoro che scongiura, almeno nel breve periodo, l’interruzione delle pubblicazioni, continua il dibattito promosso dai circoli del Manifesto sullo stato del quotidiano.
La riunione del 7 luglio svolta a Bologna è stata un momento importante di questo dibattito: non solo si è parlato delle difficoltà economiche del giornale ma si è discusso anche della necessità di un nuovo progetto editoriale e di un rapporto più costruttivo tra redazione e area del Manifesto, intendendo per area del Manifesto l’insieme dei lettori, dei sostenitori, dei simpatizzanti e di tutti coloro che sin dalla sua nascita hanno considerato il Manifesto uno strumento di informazione critica e di progettualità per la sinistra.
A Bologna c’erano i rappresentanti dei circoli, ormai presenti in varie regioni del paese, e diversi compagni della redazione: una buona occasione dunque per un ampio confronto.
Il tema ‘proprietà della testata’ ha occupato una buona parte del dibattito. In particolare ci si è soffermati sulla proposta di dar vita ad un’Associazione che raccolga 8/10 mila soci che partecipino attivamente alla vita del giornale. L’impegno economico dei soci (5/6 cento euro da versare anche in modo dilazionato nel corso di un anno) dovrebbe garantire l’acquisto della testata. Naturalmente un obbligo precipuo dell’Associazione sarà quello di garantire il massimo rispetto dell’autonomia della redazione.
L’idea di un’Associazione formata da lettori che diventano comproprietari del giornale ha avuto il riscontro favorevole di tutti i rappresentanti dei circoli: è apparsa l’unica strada percorribile non solo per uscire dalla crisi ma, soprattutto, per ricreare e consolidare un rapporto circolare con un’ampia area della sinistra che ha sempre considerato il Manifesto un importante strumento di informazione, estraneo alla sudditanza che caratterizza gran parte della carta stampata nel nostro paese.
Su questo tema, che ritengo della massima importanza, è emersa una diversità di opinioni con alcuni compagni della redazione, soprattutto con Benedetto Vecchi e Carlo Lania. Entrambi hanno ribadito la centralità del ruolo di chi fa tutti i giorni il giornale; Lania ha addirittura escluso l’ipotesi di una partecipazione dei circoli alla proprietà della testata che, a suo parere, deve appartenere esclusivamente a chi lavora nel giornale.
Si tratta di differenze importanti che non possono essere affrontate e risolte con un dibattito tutto interno alla redazione per poi comunicarne le conclusioni ai lettori, magari chiedendo loro un ulteriore impegno economico per la sopravvivenza del quotidiano.
Ritengo che i temi discussi a Bologna debbano essere pubblicizzati; il Manifesto, come stabilito, deve riservare una pagina ai lettori e ai redattori perché tutti possano esprimere le loro opinioni; non abbiamo cose da nascondere, la fuoriuscita dalla crisi passa attraverso la pubblicizzazione del dissenso e la sua ricomposizione dopo un’ampia partecipazione di chi si sente parte integrante di questa esperienza.
Se non si percorrerà questa strada penso che il futuro del Manifesto sia segnato. Nella migliore delle ipotesi sopravvivrà un altro quotidiano, un Manifesto qualsiasi, di cui non si avverte certo il bisogno, ma chiuderà definitivamente la sua esperienza il Manifesto, quello nato nel 1971. E non ci sarà alcuna motivazione del tipo ‘nel corso di questi decenni è cambiato il mondo intero per cui non si capisce perché non possa cambiare anche il Manifesto’ che legittimerà l’errore che si rischia di commettere.
Naturalmente le diversità che sono emerse a Bologna su questo aspetto non possono mettere in secondo piano i temi relativi al progetto editoriale e al ruolo politico del Manifesto.
Di che cosa deve parlare il giornale, che cosa viene sottovalutato? Valentino Parlato ha ragione quando ricorda che stentiamo a cogliere i cambiamenti che sono avvenuti nel paese, soprattutto a livello sociale. Dovremmo fare più inchieste, dice, e capire meglio le condizioni di vita di tante persone che subiscono la povertà e vengono relegate nell’area della marginalità.
Forse, dico io, facciamo troppe interviste a dirigenti del centro sinistra i quali ripetono stancamente le solite cose senza che ne siano convinti loro stessi e invece dovremmo appassionarci/impegnarci di più nell’individuare nuovi obiettivi di impegno politico e sociale.
Insomma la crisi incalza, mette in difficoltà tanti lavoratori, l’unità per fronteggiarla diventa sempre più difficile; questi processi avvengono nel nostro paese ma anche in Europa dove nessuno parla più di lotta comune contro un capitalismo sempre più aggressivo. Forse dovremmo occuparci di più di queste cose, questo è il ruolo politico che il Manifesto dovrebbe svolgere con più determinazione.
Naturalmente senza dimenticare la situazione di estrema precarietà che viviamo attualmente in seguito all’amministrazione controllata.

10 Commenti a “Il dibattito nel manifesto”

  1. Nicola Imbimbo scrive:

    Se la proposta Vecchi Lania ha anche una soluzione finanziaria che non ricade di nuovo sui lettori, non credo ci sia motivo di essere contrari. Se invece quella strada – come par di capire dall’articolo di Marco, porta alla fine certa dell’esperienza del Manifesto allora bisogna far diventare “proprietari” della testata quei tanti lettori che vedono nel Manifesto uno strumento di informazione e di crescita democratica.Credo anch’io che vadano ripresi i temi della lotta contro il capitalismo e la sua più recente e “delittuosa” evoluzione. Quello che Gallino chiama finanzcapitalismo. Non risparmiare critiche alle scelte che fanno i partiti, non dare tanto spazio a chi ancora crede possano essere rinnovabili come Alberto Asor Rosa e oltre i temi sociali riprendere la discussione sulla “democrazia” in Italia e nel mondo, sulla crisi del “partito” cosi come è nato, vissuto ( e morto) nel secolo scorso, sulle concrete e future possibilità diverse di partecipazione alla vita democratica che si sono affacciate e praticate nell’ultimo ventennio. Naturalmente se la campagna di sottoscrizione per la proprietà del quotidiano partirà dovrà esserci un grande impegno anche del circolo di Cagliari a sostenerla.

  2. Marco Ligas scrive:

    Caro Nicola, il problema non consiste nello stabilire se l’attuale redazione abbia o no una soluzione finanziaria che non ricada sui lettori. Non ce l’ha, se l’avesse avuta non ci troveremo in questa situazione. Per questa ragione i circoli propongono una proprietà collettiva della testata: i soci che possono acquistano una o più azioni, anche a rate, ma con il principio un socio un voto. La testata sarebbe poi affittata alla nuova cooperativa che si formerà dopo la liquidazione dell’attuale.
    Ripeto, l’idea di un’Associazione formata da lettori che diventano comproprietari del giornale non solo ha avuto il riscontro di tutti i rappresentanti dei circoli ma è apparsa l’unica strada percorribile per ricreare e consolidare un rapporto circolare con un’ampia area della sinistra che ha sempre considerato il Manifesto un importante strumento di informazione.
    Trovo irragionevole che la proposta di una testata di proprietà di lettori/sostenitori trovi l’opposizione di alcuni redattori .
    Si ha paura del confronto con i lettori? O che questi possano sfiduciare la redazione? Ma questi aspetti sono intrinseci alla natura del manifesto.

  3. Graziano Pintori scrive:

    La proprietà collettiva dovrebbe essere la soluzione più naturale, in considerzione del fatto che il popolo del manifesto è un popolo di lettori militanti. Da sempre questi lettori hanno attivato, secondo le necessità, una sorta di “soccorso rosso” nei confronti del Manifesto:acquistandone più copie pagandole a prezzi più alti dei soliti quotidiani; sottoscrivendo varie iniziative per salvarlo dal fallimento. Questo avviene perchè il lettore/militante sente di appartenere al Manifesto e, allo stesso tempo, sentirlo proprio. Perciò, considerato il protagonismo dei lettori, il tema relativo alla proprietà della testata non deve porsi. Invece sono convinto che il tema principale sia come organizzare il popolo dei lettori militanti, come indurli ad un ulteriore impegno personale, garantendo loro, allo stesso tempo, la specificità redazionale del Manifesto, ben nota fin dalla sua nascita. Riterrei utile mettere in rilievo anche la questione dell’agibilità all’informazione democratica, dal momento in cui certi quotidiani (La Repubblica e Il Corriere della Sera) sono disponibili gratuitamente con l’acquisto di uno dei due principali quotidiani sardi. Quasi uno sbeffeggiare e schiaffeggiare i parenti poveri che, come il Manifesto, subiscono gli effetti delle regole coercitive del mercato editoriale, che strangolano “gli irregolari” fino a determinarne la definitiva scomparsa.

  4. Marcello Madau scrive:

    Sono pienamente d’accordo con quanto espresso da Marco. La diversità storica e ‘di mercato’ di un’esperienza come quella de ‘il manifesto’ non può essere promossa come valore, come è stato fatto in questi anni, se poi ci si comporta – o ci si atteggia – come una qualsiasi gestione editoriale, senza valutare le nuove proposte provenienti da avanzate forme di proprietà editoriale. Penso che il ‘circolo del manifesto della Sardegna’ debba consolidare il rapporto con i circoli nazionali e promuovere questa linea nell’isola, farne azione politica primaria verso l’obiettivo di una proprietà di lettori-sostenitori. Può sembrare curioso, ma – di fronte alla rigidità di redattori nazionali che non ne vogliono sapere – l’obiettivo di una proprietà di lettori-sostenitori assume il profilo di una rivendicazione socialista rispetto ad un privatistico concetto di proprietà.

  5. Benedetto Vecchi scrive:

    La rappresentazione della redazione e del collettivo del manifesto che emerge è solo una forzatura autoconsolatoria di chi non è interessato a discutere sul futuro del giornale. Le proposte sul futuro proprietario del giornale sono presto riassunte: a) editore collettivo modello taz e affitto della testata a una cooperativa di soci-dipendenti; b) acquisto della testata da parte di una associazione di lettori e della cooperativa di soci-dipendenti come entità giuridiche separate con un meccanismo dipartecipazione nella due realtà in un consiglio di amministrazione e con la definizione di uno statuto che definisca ruolo della nuova proprietà collettiva e l’autonomia della redazione; c) acquisto della testata da parte dei soci-dipendentti che rimarranno dopo l’esercizio provvisorio; d) acquisto da parte di qualche “illuminato”. Tolta la prima proposta, le altre sono ipotesi. Nel collettivo, quando ne abbiamo discusso, abbiamo valutato la proposta b e c.
    Ultima annotazione: smettete di parlare di rinnegamento del passato. Chi sta al manifesto è perché vuol difenderre quella storia, senza tuttavia adorarla come un feticcio. Chi vuol rimanere fedele a quella storia ha il dovere politico, teorico e morale di registrare cosa è cambiato nel mondo e nel collettivo. Le logiche di identità immutabili rischiano di soffocare il manifesto.

  6. Marco Ligas scrive:

    Penso che, oggi più che mai, sia necessario discutere del Manifesto e del suo futuro; occorre però lasciare da parte i nervosismi e l’arroganza se no si fa lo stesso errore commesso da Benedetto Vecchi che mi attribuisce una tendenza all’autoconsolazione (di che cosa?) o il disinteresse (!) verso il futuro del giornale.
    Ribadisco quanto ho già detto in altre occasioni: mi colpisce nei comportamenti di alcuni compagni della redazione l’estraneità al principio della partecipazione alla vita del Manifesto; partecipazione di chi? Di quella che per semplicità abbiamo definito area del Manifesto.
    Ma è davvero così complicato aprire un dibattito sul quotidiano? Non sarebbe opportuno confrontarsi con i lettori sulle proposte indicate da Vecchi o da altri? Perché non viene praticata questa strada? Di che si ha paura? Il giornale si arricchirebbe se si intensificassero le relazioni con i circoli che operano nelle varie regioni. Da loro potrebbero venire suggerimenti importanti. Quando nel 1970 Pintor ci presentò l’idea del Manifesto, l’accompagnò con una richiesta precisa: badate, ci disse, che questa ipotesi andrà avanti se anche da parte vostra ci sarà un coinvolgimento teso a capire meglio ciò che avviene nel nostro paese e nelle nostre regioni. Non solo dunque un impegno finanziario.
    Praticare e consolidare questo metodo di lavoro e di indagine non significa difendere e adorare feticci. E stiamo attenti a non farci travolgere dalla necessità del cambiamento ad ogni costo.

  7. Marcello Madau scrive:

    E’ spiacevole il modo con cui Benedetto Vecchi sanziona la posizione di Marco, che riflette quella del circolo del Manifesto Sardegna. Invoca la necessità di cogliere il cambiamento e non adorare feticci. Ma ne mantiene almeno uno, pratica classica nel vecchio mondo comunista a sfondo religioso: gli anatemi. Ricordate la distribuzione e la negazione di patenti di comunismo, marxismo, leninismo etc.? La nostra analisi è, normalmente, giusta o errata, ma Vecchi decreta che siamo disinteressati a discutere sul futuro del giornale. Da sentirsi offesi, ma d’estate è faticoso. Magari, per la difficoltà della situazione, si tratta di normali, pur se non lievi, cadute di stile e di tono. Speriamo che non succeda ancora.
    Ammetto di essere legato al passato, anche se prossimo: in una riunione dei ‘circoli’ a Roma alla quale partecipai (26 marzo 2011), Norma Rangeri parlò della costruzione di un nuovo editore collettivo fra redazione e circoli…
    Discutiamo del futuro del manifesto, con la necessità del cambiamento attraverso un processo democratico che consolidi il giornale e la sua storia, senza la via dell’autoreferenzialità, che può insidiare tutti, anche noi, ma ci sembra molto presente – mi auguro solo una conseguenza, transitoria, della situazione – in alcuni compagni della Redazione.
    Il prossimo numero ‘speciale’ su questi temi. Speriamo che Vecchi non lo trovi autoconsolatorio, e possa cambiare idea e toni. Se non dovesse succedere, non sarà il problema prioritario.

  8. Benedetto Vecchi scrive:

    E quale è l’anatema: non essere d’accordo con quanto scrive Marco Ligas? e qual è l’autoreferenzialità? quello di dire che la crisi del manifesto non riguarda la forma giuridica che emergerà della liquidazione coatta, ma che ha le sue radici nel venir meno, perché consumata, inattuali, politicamente irirlevante, la vecchia idea di fare da interfaccia tra movimenti e sociaetà politica, realtà così cambiate da rendere impossibile ogni conmparazione. Ribadisco quanto detto a Bologna: il recupero disovranità del manifesto, passa attravero tre soggetti: i soi dipendenti, i collaboratori e i lettori. Non mi sottraggo alla discussione, ma che sia tale.

  9. Redazione "Il Manifesto Sardo" scrive:

    Quando più persone si confrontano su qualsiasi questione è normale che emergano posizioni differenti. Il problema non è dunque quello di essere d’accordo o in disaccordo. Talvolta però qualcuno ha la pretesa (o la presunzione) di qualificare gli interlocutori che la pensano diversamente come persone disinteressate a risolvere il problema comune o comunque intrappolate nella difesa ad oltranza del passato. Nei due commenti che Benedetto Vecchi ci ha inviato emerge questa modalità di dialogo. Non ci piace perché non favorisce il dibattito ma non ce ne facciamo un tormento.
    Ci interessa di più parlare del giornale e del suo futuro. Intanto ci preme capire come uscire dalla liquidazione coatta. Quali delle tre ipotesi (escludiamo la quarta) avanzate da Vecchi è preferibile: la a), la b) o la c)? Discutiamo queste cose nel chiuso della redazione magari escludendo la minoranza di cui non vengono pubblicati i documenti che elabora? O coinvolgiamo anche altri soggetti? E il nuovo progetto editoriale come sarà? Senza cadere nella contrapposizione manichea tra cambiamento e conservazione cosa dovrà dire il Manifesto? Non possiamo discutere di queste cose negli spazi ridotti di 20 righe. Dobbiamo necessariamente aprire il giornale al dibattito, il più ampio possibile. Benedetto, ci spieghi con un intervento, se vuoi, perché non volete farlo nonostante le tante sollecitazioni. Bada che queste censure assomigliano al centralismo democratico praticato dal Pci.

  10. Redazione scrive:

    Stiamo riversando i vari interventi e commenti qua postati nell’articolo ‘Ancora sul Manifesto’, nel quale proseguono traccia e discussione qua iniziate.

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