Il diritto alla televisione

16 Novembre 2009

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Mario Cubeddu

La solitudine dell’uomo moderno è stata sconfitta da Facebook? Ognuno di noi può avere tanti amici o amiche di tutte le età, di ogni condizione sociale, di ogni paese e continente. Può comunicare i propri sentimenti, rabbie, frustrazioni, proporreorganizzazione e mobilitazione su temi che lo appassionano. Può inviare all’amico una musica, una canzone, un video, una poesia, un libro. Farglielo avere istantaneamente. Nell’atto di inviare un messaggio artistico c’è qualcosa di creativo: ciò che io scelgo, faccio partire, comunico, diventa anche mio, è trasformato dal rapporto tra me e il mio amico/a.  E così ognuno di noi crede di trovare una risposta all’assillo che divora l’uomo contemporaneo: lasciare una traccia, uscire dall’anonimato, attraverso quei messaggi di cui la tradizione umanistica ci ha detto essere capaci di impedire che moriamo del tutto. Cosa che in realtà non è garantita, non solo a coloro che sono apparsi più volte sugli schermi, ma neppure a chi vede il proprio nome stampato su un libro. In ogni modo il bisogno di far sentire la propria voce in modo personale è fondamentale per gli uomini di oggi. In questo troviamo un senso che arricchisce l’esistenza, ci fa sentire più solidamente partecipi alla vita nostra e a quella degli altri uomini. Più che nelle soddisfazioni economiche e nella disponibilità di beni materiali. Per questo il terreno della rivoluzione digitale è uno di quelli su cui si misura, oggi più che su altri terreni,  il diritto dell’uomo all’uguaglianza del godimento dei beni disponibili per l’umanità nel tempo in cui gli è capitato di vivere. E’ in questi campi che l’uomo contemporaneo può sentire limitazioni e privazioni nei propri diritti. Ad essi la riflessione, l’organizzazione e la mobilitazione politica, dovrebbero essere più sensibili.  In altri paesi europei, quelli in cui Internet fa parte già da anni dell’esperienza di tutti, è  in atto una mobilitazione per la difesa della libertà di comunicazione digitale. Un partito nato in Svezia solo con questo obiettivo ha eletto un europarlamentare. In Italia il tema è importantissimo, anche per la presenza in questo campo di un intreccio tra economia, comunicazione, manipolazione politica, che con il conflitto di interessi costituisce l’essenza della questione italiana di oggi. Un cancro che rischia di trasmettersi ad altri paesi, come il fascismo nel secolo passato. Una battaglia per i diritti digitali, la contestazione puntuale di come questi siano violati e condizionati nel nostro paese, potrebbe essere un terreno importante di lotta politica. Anche in Sardegna, dove il tema è stato affrontato prima che in altre parti d’Italia, terra di sperimentazioni riuscite e di delusioni.   L’introduzione del digitale terrestre in Sardegna si avvia a compiere un anno di vita. E’ il caso di fare qualche riflessione su un argomento che richiederebbe un interesse maggiore da parte di uomini di cultura e di partiti politici. In molte parti dell’isola il segnale è parziale e molto difettoso. Molti canali sono spariti, o sono presenti in maniera intermittente.  La gente, soprattutto gli anziani, è abbandonata a se stessa. In genere si rassegna alla perdita col fatalismo di chi ritiene la propria voce ininfluente. Il diritto alla televisione, anche se non è presente nella Costituzione, è vissuto dagli uomini di oggi come un diritto fondamentale. Non credete a quelli che dicono: io la televisione non la guardo mai. E’ probabile che sia tra quelli che la fanno. Il digitale terrestre ha peggiorato notevolmente il rapporto dei cittadini col mezzo televisivo, ne ha limitato e reso problematica la fruizione. Tutto questo processo è stato governato da un’azienda privata il cui proprietario è anche ai vertici della politica italiana. Il milione e passa di italiani che “non arrivano alla fine del mese”, “non arrivano alla terza settimana”, che ricevono il sostegno delle istituzioni pubbliche o della Caritas per potersi letteralmente sfamare, poter vestire i propri figli, hanno tutti in casa la televisione e probabilmente in tasca un cellulare. Questo fatto, che diamo per scontato anche se non dovesse essere del tutto vero,  offre lo spunto per discorsi moralistici di stampo reazionario: ecco, vedete, se sono poveri è colpa loro. Vivono nello squallore e nella miseria, ma non sanno negarsi quelli che in una casa benestante sono legittimi passatempi e strumenti di comunicazione, mentre in una  abitazione in cui manca il necessario diventano un elemento superfluo, se non un vizio. Questo brutale economicismo, che pretende che chi sta male materialmente debba azzerare anche la propria vita spirituale e di relazione, non fa i conti col fatto che l’uomo ha spesso bisogno più di libertà che di lavoro, più di fantasia che di pane. Con la libertà si costruisce il lavoro e il benessere, con un rapporto creativo con l’ambiente circostante ci si procurano i mezzi di sostentamento e di sopravvivenza. Nella condizione moderna la televisione ha un ruolo centrale. Molti anziani la ritengono un dono del cielo, uno strumento che ha contribuito a cambiare la loro vita. Grazie alla televisione “ho il mondo in casa”, dicono. Ma non è solo questo. Grazie alla televisione anche loro sono nel mondo. Nel senso che hanno la sensazione, o l’illusione, che ciò che essi sono, e i loro problemi, si trovi rispecchiato sugli schermi.  Questo discorso prescinde dalla qualità dei programmi televisivi. Vale cioè anche quando una persona di cultura raffinata, e forse anche un po’ snob, giudica ciò che la televisione trasmette come pura e semplice spazzatura. E invece le cose sono molto più complesse. Succede ad esempio che in una puntata dei “Simpson” ci sia più interpretazione della società contemporanea, ironia, fantasia, che non in molta parte della letteratura contemporanea, non solo italiana. Gran parte dei nostri scrittori sono ben lontano da quella capacità di delineare un profilo dei personaggi e di costruire dialoghi altrettanto credibili, divertenti, profondi.

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