Il forno e la sirena

13 Febbraio 2014
 U. Malvano - Campagna d'inverno, febbraio 1945
Graziano Pintori

Le pagine che compongono il libro di Giacomo Mameli “Il forno e la sirena” le ho lette d’un fiato; come preso per mano mi sono inoltrato nelle vicende narrate “da professori scrupolosi, fedeli alla storia”, poi, un po’ stordito dal contenuto di quelle pagine, ne esco dopo aver letto l’ultimo segno ortografico. Tziu Cazzai centenario e tziu Brundu ultranovantenne, “professori scrupolosi”, raccontano le loro vicissitudini umane allo “scolaro” Mameli, che le riporta con diligenza e rispetto della naturalezza che contraddistingue il ritmo di vita dei due grandi vecchi. La narrazione è avara di magniloquenza e la descrizione dei fatti e degli ambienti è asciutta, essenziale. Il merito di Mameli è quello di mettere in evidenza proprio la genuinità dei narratori, un particolare che suona come una severa denuncia contro l’immane tragedia della guerra, perché ti fa capire, se mai ce ne fosse ancora bisogno, che le guerre colpiscono e uccidono gli innocenti, compresa la inconsapevolezza dei soldati intruppati come mandrie, per farne carne da macello. Lo sfondo delle due storie è Foghesu, un antico agglomerato di piccoli edifici e strade che con il dramma di tziu Cazzai e tziu Brundu va ben oltre i confini naturali imposti dalla geografia degli uomini e ben oltre gli intenti del loro racconto; la storia del centenario Cazzai va ben oltre l’orto di Maria Lallai dove aveva colto la rosa per Fortuna, la moglie morta qualche anno prima del suo rientro. Come pure il dramma di Brundu vola oltre i confini naturali di Cagliari – Monserrato: frangenti rovinosi non dissimili ai bombardamenti subiti da Varsavia, Berlino, Roma, Parigi. Le bombe piovono dal cielo “coperto di aquile di acciaio”, colpiscono tutti e, allo stesso tempo, tutti in modo fortuito subiscono la sorte: chi muore, chi sopravvive. Infatti, le storie raccontate nel libro sono quelle di due sopravvissuti che la sorte ha voluto che fossero evitati dalla falcifera morte. Il forno del campo di concentramento è stato risparmiato a tziu Cazzai perché l’ago della bilancia si è fermato a 37 kg. non a 35, ossia il limite di peso consentito per sopravvivere. La sirena è quello strumento che ha dato la sveglia a tziu Brundu per mettersi in salvo e correre a perdifiato e con la febbre che segnava 39° e quattro lineete e sfuggire alle bombe che ciecamente distruggevano e uccidevano. Dicevo che Giacomo Mameli per raccontare le due storie diventa discente dei “professori scrupolosi”, impugna la biro, usata con la genialità dell’esperienza, dando la sensazione che a scrivere sia la memoria stessa, tanto il contatto, anche linguistico, è delicato e rispettoso nei confronti dei narratori; un metodo di cui non dobbiamo stupirci perchè dalla lettura traspare la profonda sensibilità di Mameli scrittore, che ama la sua terra e la sua gente.
Mi sono permesso di scrivere questa pagina dopo aver udito Giacomo Mameli alla Biblioteca Satta di Nuoro, in un passaggio del suo intervento aveva detto che la parlata foghesina è quella più fedele al latino, perciò la più bella e armoniosa rispetto a tutte le altre: qualche mugugno nell’auditorio, però subito rientrato nell’ascoltare la sua voce leggere le ultime pagine in dialetto. Quella lettura aveva smorzato qualsiasi intento di polemica linguistica e sicuramente mi aveva stimolato a leggere “Il forno e la sirena”con un animo diverso, cioè quello di tentare un approccio con le emozioni di chi legge e parla il dialetto di Mameli. Infine, sono stato colpito dalla stesura iniziale dei due racconti: il primo è avviato con un numero di matricola e con un quadro di vita quotidiana che sembra scandire le stagioni “…lavoravo come un mulo, vendemmiavo, trebbiavo, zappavo l’orto ecc.”; il secondo racconto invece ti assorda subito con il suono crudo della sirena, è l’allarme delle bombe devastanti che piovono e ti fanno correre senza respiro nonostante la febbre. Le storie sono un crescendo di dolore, disperazione, paura, fame e quant’altro può aver praticato il male assoluto del nazifascismo e la brutalità della guerra. In questo scenario, in modo sfrontato e crudele, danza la morte, che guarda fissa negli occhi, in ogni istante, dal 1943 al 1945.

Foghesu = Perdasdefogu

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