Il mese dei diritti

1 Novembre 2013
Eleonor Rosolvelt
Gianfranca Fois

Sta per iniziare a Cagliari, per il secondo anno consecutivo, il mese dei diritti umani, dal 10 novembre al 10 dicembre, nel corso del quale si terranno numerosi incontri pubblici che ruoteranno intorno ai diritti fondamentali. Infatti il 10 dicembre del 1948 fu promulgata la Dichiarazione dell’Onu sui diritti fondamentali dell’uomo che in gran parte coincidevano con quelli presenti nella Costituzione italiana del 1946, emanata all’indomani della seconda guerra mondiale e degli orrori che l’avevano accompagnata.
Sono passati decenni da allora e per decenni ci siamo illusi che si trattasse di diritti ormai acquisiti una volta per tutte anche se sarebbe bastato mettere il naso fuori dal nostro ricco mondo occidentale o, in Italia, leggere con attenzione quanto previsto dalla Costituzione per renderci conto che la maggior parte dei diritti era tale solo sulla carta e che la nostra Costituzione era ancora da attuare.
C’è voluta una crisi di proporzioni gigantesche per farci capire non solo questo ma anche che quei diritti che avevamo considerato acquisiti, sicuri, inalienabili tali non erano perché se i diritti non si esercitano e se non ci si adopera per garantirli a tutti, possono cessare di esistere.
Questo pertanto è il motivo che ha generato la nascita di comitati per la difesa ma anche per l’attuazione della carta costituzionale e la necessità di sensibilizzare i cittadini sui propri diritti. E’ questo estremamente importante perché ne stiamo perdendo anche la consapevolezza e il dramma più grande, come sostiene il linguista nordamericano George Lakoff a proposito della libertà, non è soltanto perderli ma perderne il concetto stesso.
Senza contare il fatto che viviamo in un’epoca in cui il potere dei singoli stati, che avevano dato corpo e radici ai diritti, sta diminuendo e lascia spazio a poteri transnazionali che non devono rendere conto ai cittadini del loro operato e, anzi, sono liberi di muoversi per il mondo calpestando tutto e tutti come ci ha insegnato quest’ultima crisi.
Contemporaneamente però le idee di giustizia, dei diritti mai come oggi si sono diffuse, pur tra difficoltà e contraddizioni, in tutti i paesi, generando spesso conflitti, lotte e rivoluzioni ma anche speranze.
E’ perciò necessario che anche in Sardegna venga ripreso e diffuso il tema dei diritti e, anzi, ne venga allargato il concetto con l’inclusione di nuovi che erano rimasti in ombra sino a poco tempo fa.
In particolare vorrei riflettere sul diritto a un ambiente sano e collegato a questo, sul diritto alla salute e al cibo e a un cibo di qualità.
Già da tempo diversi studi hanno dimostrato che la Sardegna è uno dei territori più inquinati d’Italia, in particolar modo nelle zone in cui sorgono attività industriali, ( Sulcis, Porto Torres, peraltro in pieno declino e senza che le imprese procedano al disinquinamento) e attività militari, vedi il Salto di Quirra ecc.
Il Censis, già nel 2007, nel suo rapporto individuava ben 18 aree a rischio e una percentuale di morti per tumori, malattie cardiovascolari e malattie della prima infanzia (tutte tipiche di ambienti fortemente inquinati) superiore alla maggior parte delle regioni italiane.
E’ chiaro che un inquinamento simile determina terreni e acque fortemente compromessi e quindi prodotti della terra nocivi per la salute umana. Nel complesso l’opinione pubblica non sembra particolarmente allarmata anche perché l’informazione è spesso carente e poco approfondita. Il movimento popolare e le lotte di quest’ultimo periodo dovrebbero farci percepire con forza quale possa essere il risultato di una devastazione del territorio per certi aspetti irreversibile.
Bisogna quindi tener presente non solo il modo di produzione del cibo ma anche la sicurezza alimentare legata, fra l’altro, anche a una gestione del territorio corretta. L’articolo 41 della nostra Costituzione, che il governo della destra voleva eliminare, prevede che l’iniziativa economica privata “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.
E se il termine dignità ci rimanda alla consapevolezza dei nostri Padri costituenti riguardo le terribili condizioni disumane degli internati che lavoravano nei lager gestiti dai nazisti tedeschi e nei campi di concentramento gestiti dai fascisti italiani (e su questi ultimi peraltro si è voluto stendere un velo d’oblio), il termine sicurezza ci rimanda certamente anche al cibo che deve essere sano e non deve essere inquinato dall’uomo, in particolar modo da chi possiede industrie che possono inquinare.
Ma voglio ricordare anche il diritto all’accesso al cibo, a un cibo adeguato dal punto di vista quantitativo e qualitativo, ormai infatti anche in Sardegna per molte famiglie sta diventando difficile accedervi, non è più così raro vedere persone che frugano nei cestini di raccolta dei residui di cibo, in particolare nei pressi di bar e ristoranti e sentire casi di bambini che non ricevono un adeguato nutrimento.
Insomma penso che sia necessario che tutti noi prendiamo coscienza del fatto che una società che vuol essere civile e democratica deve proteggere i propri diritti garantendo contemporaneamente quelli altrui.

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