Il museo della memoria del mare

1 Aprile 2008

SCARPE ABBANDONATE
Gabriele Del Grande

Mamadou va a morire è un reportage che racconta le vittime dell’immigrazione clandestina. Migliaia di giovani morti nel tentativo di raggiungere l’Europa, scomparsi nelle acque del Mediterraneo, nel deserto del Sahara, nei campi minati o nelle carceri dei paesi dell’Africa. I loro carnefici non hanno un volto definito ma sono comunque ravvisabili negli effetti delle colonizzazioni, della globalizzazione, nella tendenza alla sopraffazione che spesso accompagna i comportamenti degli uomini. Gabriele Del Grande è l’autore di questo reportage. Con la sua autorizzazione ne riproduciamo una pagina significativa.

….Lungo le spiagge tra Zarzis e Ras Jedir, ogni giorno dopo il turno alle poste, Mohsen Lidhiheb raccoglie da undici anni gli oggetti consegnati dal mare lungo 150 chilometri di spiagge. Sono soprattutto bottiglie di plastica, ma anche tavole da surf, canapi, testuggini, lampade al neon, elmetti, spugne, tronchi di legno, palloncini scoppiati. Moshen ne ha creato un museo, il Museo della memoria del mare. Una memoria di plastica, fatta di opere d’arte sui paradossi dell’uomo moderno, costruite con i rifiuti recuperati nelle spedizioni ecologiche sul mare. Una delle installazioni, al centro del giardino circondato da mura di bottiglie di plastica colorate, è dedicata a Mamadou. È una montagna di almeno 150 paia di scarpe. Sono scarpe nuove, sono scarpe sportive e giovani. Roba che non si butta. Sono le scarpe dei naufraghi. Moshen le custodisce insieme ad un centinaio di camicie, giacche, pantaloni, maglioni e magliette recuperati a riva, strappati dai corpi sepolti nel mare. Sono tutti lavati e appesi in modo ordinato sotto una tettoia. “Sono l’unico monumento che ricorda la strage che sta avvenendo quaggiù” dice Moshen. Da qualche anno il mare consegna i corpi dei naufraghi alle spiagge di Zarzis. Fuori dalla città, verso Ben Garden, vicino alla frontiera, esiste addirittura una specie di cimitero segreto, tra le dune. Nessuno sa dove sia, ma è sicuro che vi siano sepolte almeno una sessantina di persone. Prima li portavano nei cimiteri di Zarzis, ma poi sono diventati troppi. E l’odore acre che bruciava nell’aria dopo il passaggio del camion coi corpi tardava a sparire. Moshen nelle sue spedizioni ha ritrovato tre cadaveri e altri tre pezzi di corpi. La prima volta nell’agosto del 2002.
“Da qualche giorno si diceva in giro del ritrovamento di parecchi cadaveri sulle spiagge di Zarzis. La gente mi chiedeva se avessi trovato la mia parte di naufraghi, scherzando. Ma io non scherzavo affatto. Ogni volta che entravo in acqua sentivo l’angoscia salire allo stomaco. Avanzavo con cautela, ero scalzo, avevo paura di toccare uno dei cadaveri sottacqua. Il mare mi aveva consegnato prima l’immondizia del nord, giunta dal Canale di Sicilia. Poi i messaggi in bottiglia che parlavano della crisi dell’uomo moderno e finalmente le onde mi portavano la prima vittima in carne e ossa della corsa verso l’Occidente. L’avevo visto da lontano. All’inizio sembrava una tartaruga rivolta sul guscio. Quando mi sono accorto che era un essere umano mi sono sentito mancare, il battito del cuore mi assordava. Era là bocconi, coperto dalle alghe fino al ginocchio e sopra la testa. Taglia media, quel corpo muscoloso in vita era stato consumato dal sole e dalle onde, la pelle beige. Con le lacrime agli occhi ho recitalo il Corano e ho pregato Mosè, Cristo e tutti gli dei perché dessero la pace all’anima di Mamadou. Poi ho gridato con tutte le corde della rabbia la mia collera. Non ho voluto fare foto al mio amico, perché il suo corpo, il suo spirito, la sua bellezza appartengono soltanto a dio”.
……Accanto al mucchio di scarpe al museo, Mamadou e la principessa annegata. Due manichini di legno con indosso i panni dei naufraghi. Cappellino e tuta di nylon per lui. Mezzo busto rosa lei. A pochi passi un sole di grosse ampolle di tungsteno e raggi di neon abbracciato da un grande canapo.
…….“ Mamadou dì a tua madre che sei stato il benvenuto, e che abbiamo pregato perché tu sia benedetto. Mamadou racconta al tuo dio, qualunque esso sia, quanto l’uomo soffra e si affligga. Mamadou va’ dai tuoi fratelli e dì loro che la felicità non era altrove e che forse era tutto una maledetta chimera”.

altre foto di Lihidheb Mohsen su www.seamemory.org

2 Commenti a “Il museo della memoria del mare”

  1. Francesco Masala scrive:

    queta canzone con immagine sta bene con l’articolo?

    http://www.studiosankara.com/sunugaal.html

    ciao f.

  2. precari in linea scrive:

    Intervista alla Signora Lina! ex titolare della genny service
    Oggi colleghiamoci tutti!

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