Il presunto “colpo di Stato”

1 Giugno 2014
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Gianfranco Sabattini

Giuseppe Guarino, già professore nell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, socio dell’Accademia Nazionale dei Lincei, già sindaco della Banca d’Italia ed ex Ministro delle Finanze nel Governo Fanfani (1987) e dell’Industria nel Governo Amato (1992), ha pubblicato un libro intrigante: “Cittadini europei e crisi dell’euro”; in esso Guarino sostiene che, con l’Atto Unico Europeo (AUE) del 1986 e il Trattato sull’Unione Europea (TUE) del 1992, è stato effettuato, non con la forza, ma con “fraudolenta astuzia”, un colpo di Stato “in danno degli Stati membri, dei loro cittadini, e dell’Unione”.
Il “golpe” avrebbe determinato lo stravolgimento della ratio sottostante i Trattati AUE e TUE, coi quali, inizialmente, è stata attuata la revisione dei trattati di Roma per il rilancio dell’integrazione europea e per portare a termine la realizzazione del mercato interno; successivamente, con il Trattato di Maastricht, sono state decise la trasformazione della CEE in UE, la costituzione dell’Unione Economica e Monetaria (UEM) e le regole politiche ed economiche per il funzionamento sia della prima (cioè, dell’Unione Economica) che della seconda (cioè, dell’Unione Monetaria).
A sostegno della sua tesi, Guarino sottolinea che, al fine di evitare riflessi emotivi nello svolgimento dell’analisi, si atterrà al “metodo sistemico-formale”, per individuare le forme giuridiche utilizzate, quindi i comportamenti e le decisioni successivi e gli effetti che ne sono seguiti; egli sottolinea inoltre che non farà nomi di possibili responsabili dei processi che hanno caratterizzato l’adozione e l’attuazione dei Trattati e che riferirà i suoi giudizi solo agli atti formalmente adottati.
La fraudolenta astuzia, con cui sarebbe stato consumato il golpe ai danni dei paesi memebri dell’UE, emergerebbe dal fatto che il Trattato di Maastricht sarebbe rimasto inattuato, in quanto l’Unione Economica non è stata creata e l’Unione Montaria non è stata realizzata. L’AUE ed il TUE, secondo Guarino, si sono limitati a creare un “mercato unico” ed una “moneta comune”: il primo, consistente in uno spazio economico per il quale è stata prevista l’applicazione dei principi del libero mercato che di per sé non sono valsi a trasformare il mercato unico in Unione Economica; la seconda, consistente in una moneta comune non per tutti i paesi dell’UE, ma solo per quelli che si sarebbero assogettati alla sua specifica disciplina (i famosi parametri di Maastricht) e con il vincolo, posto come “conditio sine qua non” dalla Germania, che l’euro dovesse essere simile al marco, per evitare fenomeni inflazionistici che avrebbero potuto rendere impossibile uno sviluppo armonioso, equilibrato e continuo dell’economia.
Il vincolo posto dalla Germania ha comportato la necessità che “venissero fissati limiti all’indebitamento di ciascun Stato membro nelle percentuali, rispetto al PIL del 3% nell’indebitamento annuale, del 60% nel debito totale”; il vincolo perciò ha caratterizzato la nuova moneta, nel senso che la sua disciplina ha dovuto conformarsi a tre aspetti fondamentali: innanzitutto, che la promozione della crescita degli stati membri dovesse avvenire in presenza di un elevato grado di convergenza dei risultati economici, di un elevato livello di occupazione e di protezione sociale, per il miglioramento della qualità della vita, della coesione sociale ed economica e della solidarietà tra gli Stati; in secondo luogo, che la promozione della crescita spettasse a ciacuno Stato membro, perché provvedesse, con la propria politica economica, nell’interesse proprio e dell’Unione; infine, che i singoli Stati dovessereo essere dotati degli strumenti necessari per il finanziamento della propria politica economica e, in particolare, della possibilità di ricorrere, quando necessario, all’indebitamento.
La logica sottostante questi tre aspetti e la loro interconnessione è, secondo Guarino, all’origine del colpo di Stato effettuato in danno degli Stati membri dell’Unione e dei loro cittadini; ciò è stata la conseguenza del fatto che la disciplina del Trattato di Maastricht ha formato oggetto del regolamento 1466/’97, che ha avuto l’unico specifico compito di prescrivere a livello di UE indirizzi di massima, al fine di coordinare le politiche economiche degli Stati membri. In tal modo, il “diritto costituzionale degli Stati membri è stato violato”, e la loro sovranità “è stata vulnerata perché è stata loro sottratta la funzione ‘esclusiva’…di promuovere lo sviluppo dell’UE e della zona euro con le proprie ‘politiche economiche’”. Per Guarino, le persone alle quali fare risalire la responsabilità dell’attuazione del golpe e dell’impiego della fraudolenza per realizzarlo sono ignote; si può solo ritenere che esso sia stato attuato per il “sospetto degli Stati più forti che qualcuno dei più deboli”, al fine di essere ammesso all’uso della moneta comune, avrebbe potuto avvalersi di dati non veritieri.
Secondo Guarino, inoltre, esiste un ulteriore effetto del regolamento 1466/97, che supera per rilievo qualsiasi altro: la soppressione della democrazia. Ciò è avvenuto perché ai cittadini degli Stati membri dell’UE è stata sottratta la possibilità di influire sugli indirizzi politici attinenti all’esercizio della sovranità, riguardo soprattutto agli indirizzi economici di base. “Soppresso ogni spazio di decisione politica – conclude Guarino -, è scomparso anche il corrispondente spazio di espansione del principio democratico”.
Cosa fare, per uscire dalla trappola del golpe? L’ostacolo dirimente è costituito dal fatto che allo stato attuale non esiste un vertice politico dell’UE, per cui l’insieme delle istituzioni dell’eurozona costituisce un organismo rigido e “robotizzato”, nel senso che tutti coloro nei quali si incorporano le istituzioni dell’eurozona sono tenuti a fare osservare le norme in vigore. Per “derobotizzare” il sistema occorrerebbe un colpo di Stato per controbilanciare il primo (anch’esso, quindi, non violento e neppure fraudolento) per tornare al regime comunitario soppresso con il regolamento 1466/’97.
A tal fine, non è sufficiente stabilire il diritto al quale si vuole fare ritorno; occorre che si formi presso gli Stati più danneggiati dal golpe fraudolento originario un “fermo e diffuso convincimento generale”, perché, unendo la loro sovranità, possano realizzare una oomune nuova entità politica, “cui affidare la gestione di una nuova moneta comune a sua volta di nuova creazione”. Il contro-golpe, secondo Guarino, potrebbe avere buone probabilità di successo, se gli Stati membri che volessero sottrarsi agli esiti negativi dell’euro invocassero lo staus di “paesi in deroga”, cioè lo status di quei paesi che, come il Regno Unito, pur continuando a fare parte dell’UE, hanno conservato la propria moneta nazionale. Ciò che uno Stato da solo non sarebbe in grado di fare, potrebbe farlo come gruppo; tutti i suoi componenti, cioè, potrebbero chiedere il passaggio alla “disciplina con deroga”, per creare una nuova moneta comune, oltre che un potere politico comune, e gestirne la circolazione all’interno del mercato unico, alla stregua della moneta degli Stati che continueranno a conservare la “disciplina senza deroga”. Il nuovo potere politico, espresso dagli Stati decisi a porre rimedio agli esiti del golpe originario, consentirebbe, non solo il ritorno alla legalità, ma anche, volendolo, di “premere” per affrontare una revisione dei Trattati ed imporre un’accelerazione al processo di unificazione politica dell’Unione Europea.
L’esigenza di una revisione de Trattati UE, per renderli maggiormente flessibili e sottrarre i paesi dell’eurozona agli effetti della camicia di forza dell’euro, è sentita e congivisa in modo genaralizzato. Ma la tesi di Guarino costituiesce solo un “esercizio accademico”; ciò perché, come lo stesso giurista napoletano riconosce, il ritorno alla legalità nel modo da lui auspicato richiede tempo, mentre i paesi maggiormete esposti al rigore delle rigidità di funzionamento dell’eurozona presentano l’urgenza che i Trattati siano riformati immediatamente. L’analisi e la proposta di Guarino sembrano perciò finalizzate a giustificare, sotto mentite spoglie, la fuoriuscita dell’Italia dall’euro. Al riguardo, però, non si deve trascurare che è già stato traumatico il passaggio dalla lira all’euro, accettato solo in vista dei benefici promessi; per questo motivo, solo pochi paesi sarebbero disposti a percorrere lo stesso traumatico passaggio, sulla base di previsioni abbastanza vaghe che può riservare il futuro.
Se il problema della crisi dell’eurozona è la rigidità degli accordi imposti dal potere contrattuale della Germania e dei suoi alleati, ciò non impedisce che i Trattati possano essere rivisti, per garantire meccanismi di flessibilità a livello dell’intera Unione, senza trascurare però la presenza di squilibri propri di ogni singolo paese, di cui l’euro non è affatto la causa. Su questi squilibri bisognerebbe concentrare l’attenzione; in particolare, riguardo all’Italia, bisognerebbe riflettere, più di quanto non sia stato fatto sinora, sul fenomeno dell’eccessivo indebitamento sovrano, che inpedisce di disporre dei mezzi necessari per attuare una politica economica compatibile anche con il rispetto dei vincoli del TUE.
Per ridurre il debito sovrano entro limiti sufficienti a dotare il sistema-paese delle risorse che consentano l’attuazione di una politica economica autonoma, l’Italia dispone di istituzioni caratterizzate da un elevato grado di democrazia, tali cioè da consentirle di assumere le necessarie decisioni pubbliche; la soluzione non richiede “salti nel buio” e tempi lunghi, ma solo il tempo richiesto dall’assunzione di tali decisioni, al riparo da ogni possibile condizionamento estero.

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