Il sistema bancario italiano e la crisi

16 Maggio 2015
banche e futuro
Gianfranco Sabattini

Occorreva la crisi che ha investito l’economia mondiale per mettere a nudo i limiti del sistema bancario italiano e quelli del settore reale; è quanto emerge dall’articolo di Antonio Pezzuto, “Il sistema bancario italiano negli anni della crisi”, pubblicato sul n. 4/2014 di “Mondo Bancario”; ciò che risulta interessante dell’articolo è che l’esposizione delle vicende che hanno caratterizzato il sistema bancario italiano, a partire dal crollo dei mercati immobiliari americani dei subprime, è condotta parallelamente a quella delle vicende, non certo esaltanti, del settore reale; fatto, questo, che consente di capire quanto i limiti del sistema bancario nazionale dipendano prevalentemente dal fatto che, nel tempo, soprattutto dopo la ricostruzione postbellica del Paese, l’organizzazione e l’attività delle banche si sono perfettamente conformate alla prevalente struttura e modalità di funzionamento del mondo della produzione.
Tra i primi anni Novanta e il 2007 – osserva Pezzuto – il sistema bancario nazionale è stato interessato “da un ampio e profondo processo di trasformazione e modernizzazione che ne ha modificato la natura giuridica, gli assetti proprietari, le strutture organizzative e i profili operativi”. Le banche pubbliche sono state privatizzate e il peso della proprietà pubblica nel settore bancario, che all’inizio degli anni Novanta era di circa il 75%, si è quasi azzerato nei primi mesi del 2007. Nel corso di quell’anno, in presenza di condizioni economiche favorevoli, il sistema bancario nazionale godeva “di uno stato di salute abbastanza soddisfacente”; ciò rendeva possibile che, sebbene il ROE (return on common equity), ovvero il rendimento del capitale e delle riserve, esprimente la redditività del capitale proprio, si riducesse e i coefficienti di patrimonializzazione risultassero inferiori rispetto ai gruppi bancari internazionali, la qualità del credito erogato, misurata dal rapporto tra sofferenze ed esposizioni di bilancio, migliorasse.
Nel 2008, la crisi dei mercati finanziari americani ha raggiunto l’Italia; il suo impatto sul sistema bancario, tuttavia, è stato relativamente contenuto, per via della bassa esposizione degli istituti di credito italiani verso la cosiddetta “finanza strutturata” (forma d’investimento in titoli ad alto rischio) e del loro prevalente orientamento verso attività d’impiego e di raccolta al dettaglio. Il sopraggiungere dell’onda lunga della crisi dei subprime ha però determinato, per la maggior parte degli intermediari italiani, un peggioramento delle condizioni di provvista ed un aumento della difficoltà di conversione in attività liquide dei titoli in portafoglio, senza che il loro valore di mercato diminuisse. Negli anni successivi, sino al 2011, le difficoltà del sistema bancario nazionale si sono aggravate, con pesanti ripercussioni sul settore reale, che ha subito gli effetti della flessione del commercio estero, dell’inasprimento delle condizioni di finanziamento della produzione e della perdita di fiducia, da parte delle imprese e dei consumatori, per via dell’incertezza gravante sulle prospettive della domanda e dell’occupazione.
Nel 2011, la crisi del debito pubblico ha aggravato le difficoltà di raccolta a medio e lungo termine delle banche; queste, aiutate attraverso operazioni straordinarie della Banca Centrale Europea, solo in parte hanno potuto evitare l’interruzione del credito alle imprese e alle famiglie, in quanto sono state costrette a provvedere al miglioramento della loro posizione netta di liquidità e a contenere il peggioramento dei loro indici di patrimonializzazione. Tuttavia, a causa del deterioramento delle condizioni del settore reale, nel 2012 il settore bancario ha dovuto di nuovo ridurre il credito alle imprese, penalizzando soprattutto quelle di minore dimensione, e subire nel contempo un peggioramento delle partite deteriorate e della redditività. Nel 2013, le criticità del sistema bancario italiano sono ancora peggiorate, con conseguente ulteriore diminuzione degli impieghi destinati alle imprese. La riduzione del credito erogato ha riflesso, sia fattori di domanda connessi alla contrazione dei reddito disponibile, che fattori di offerta legati principalmente al deterioramento delle esposizioni creditizie.
Nel 2013, la situazione del settore reale italiano era l’esatto “pendant” del sistema bancario; la struttura finanziaria del settore produttivo italiano, in precario equilibrio sino al 2007, sotto i colpi della crisi ha evidenziato l’insostenibilità del basso livello di capitalizzazione delle imprese e dell’elevata incidenza dei loro debiti bancari sul totale dei debiti finanziari. Questa situazione ha fatto emergere, nel complesso, la fragilità della natura ciclica del modello di finanziamento delle imprese italiane, nel senso che tale modello – come osserva Pezzuto – ha teso ad ampliare l’offerta nelle fasi congiunturali favorevoli e a razionalizzarla nelle fasi avverse, attraverso l’aumento del costo del debito in funzione dell’aumento del rischio e la riduzione dell’offerta.
La fragilità delle condizioni finanziarie e patrimoniali del settore produttivo italiano ha rappresentato un fattore che ha fortemente penalizzato il governo della crisi, sia perché ha impedito alle imprese di contrapporre alla diminuzione dell’offerta di credito altri mezzi di finanziamento, sia perché si è tradotto in un aggravio dei costi e in un aumento dei rischi per le banche. In questa situazione, nel mezzo della crisi, si sono moltiplicate le iniziative orientate al sostegno delle imprese, per migliorare il loro grado di patrimonializzazione e per facilitare l’accesso a fonti alternative al credito bancario. In questa direzione devono essere considerate le diverse iniziative intraprese, come la costituzione, nel 2010, del “Fondo Italiano di Investimento” e, nel 2012, del “Fondo Strategico Italiano”.
Il primo, finanziato dalla Cassa Depositi e Prestiti, dal Banca Monte dei Paschi di Siena, da Banca Intesa-SanPaolo, da UniCredit e da altre banche minori, con il compito di favorire il rafforzamento patrimoniale e i processi di aggregazione delle piccole e medie imprese; il secondo, creato per legge e finanziato dalla Cassa Depositi e Prestiti (azionista di maggioranza) e dalla Banca d’Italia, con il compito di acquisire partecipazioni in imprese ritenute di rilevante interesse nazionale, dotate di alte prospettive di redditività e di sviluppo. Ai due “Fondi” vanno aggiunti alcuni decreti legge coi quali si è inteso, da un lato, favorire l’afflusso di capitale di rischio in occasione della costituzione di nuove imprese e, dall’altro, introdurre degli incentivi fiscali a favore delle imprese propense ad investire nel capitale di rischio di attività “start up innovative”.
Inoltre, sempre nella prospettiva del sostegno del settore delle imprese, per migliorare la loro patrimonializzazione e favorire la diversificazione delle loro fonti di finanziamento, è stato potenziato il ruolo dei consorzi di garanzia collettiva dei fidi e sono state, tra l’altro, introdotte nuove misure per garantire, da un lato, le banche erogatrici di linee di credito alle imprese e motivarle a concedere una moratoria dei debiti delle imprese e, dall’altro, per accelerare il pagamento da parte della Pubblica Amministrazione dei debiti pregressi verso le imprese. A tutto ciò, vanno aggiunte anche altre facilitazioni istituzionali, quali la concessione di un “fattore di sconto”, a valere sulle regole previste dall’accordo interbancario Basilea 3, a favore delle piccole e medie imprese e la possibilità delle banche di ricorrere alla Banca Centrale Europea per operazioni di rifinanziamento, volte alla concessione di nuovo credito alle imprese e alle famiglie.
In conclusione, la crisi ha fatto emergere che le deboli condizioni operative del sistema delle banche e quelle, ugualmente deboli, del settore reale sono tra loro strettamente interconnesse. Ne consegue che, se il miglioramento degli indici patrimoniali e l’aumento della redditività delle banche rappresentano le pre-condizioni perché il sistema bancario torni ad essere funzionale al processo di crescita del settore reale, occorre riconoscere che ciò può avvenire solo se quest’ultimo riuscirà, in tempi brevi, a ristrutturarsi, superando i propri limiti endemici, quali la sottocapitalizzazione e la piccola dimensione di una parte consistente delle imprese che lo compongono. Le banche possono diventare un concreto supporto della crescita del settore reale, non solo quando riescono a migliorare le loro operazioni di intermediazione, ma anche, e soprattutto, quando possono trarre dal settore reale i segnali certi e stabili di una crescita futura, meno incerta e più efficiente sul piano produttivo rispetto al passato.

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