Il terrorismo figlio della Guerra Fredda globale?

1 Febbraio 2016
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Gianfranco Sabattini

Il libro di Odd Arne Westad, “La guerra fredda globale”. Gli Stati Uniti, l’Unione Sovietica e il mondo. Le relazioni internazionali del XX secolo”, “si occupa della genesi del mondo odierno, di come le maggiori potenze del tardo Novecento – gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica – sono intervenute a più riprese nei processi di cambiamento di Africa, Asia e America Latina, e di come, attraverso questi interventi, hanno alimentato molti degli Stati, dei movimenti e delle ideologie che dominano sempre più le questioni internazionali”.

L’analisi di Westad è effettuata al limite di una lettura della storia del mondo contemporaneo in termini di filosofia della storia. Il volume è, infatti, un’interpretazione, “sovra partes” delle motivazioni e delle decisioni, disgiunte dagli interessi materiali immediati che potevano in qualche modo giustificarle, che hanno orientato le due superpotenza protagoniste della Guerra Fredda nelle loro politiche attuate nei confronti del Terzo mondo.

Guerra Fredda e Terzo mondo, sostiene Westad, sono neologismi coniati nella seconda metà del Novecento, essi, per quanto siano stati utilizzati per scopi diversi e in differenti ambiti culturali, sono le categorie storiche in base alle quali può essere interpretata l’evoluzione del mondo dalla fine del secondo conflitto mondiale ai nostri giorni. Il primo a usare l’espressione Guerra fredda, afferma Westad, è stato Geoge Orwell nel 1945, “per condannare la visione del mondo, le convinzioni e le strutture sociali sia dell’Unione Sovietica che degli Stati Uniti, come pure la guerra non dichiara che sarebbe scoppiata fra loro”. Benché all’inizio avesse una valenza critica, negli anni Cinquanta l’espressione Guerra Fredda è stata utilizzata per designare il conflitto non dichiarato che opponeva gli USA all’URSS.

Anche il concetto di Terzo Mondo è stato formulato pochi anni dopo la fine della guerra, all’inizio degli anni Cinquanta, acquistando rilevanza storica e politica dopo la Conferenza di Bandung che, nel 1955, ha visto i capi di Stato africani ed asiatici riunirsi per il primo grande vertice post-coloniale. Nel contesto della Guerra Fredda, il concetto di Terzo Mondo ha assunto un significato univoco e preciso: il rifiuto dei paesi ex-coloniali di essere governati dalle superpotenze, e dalle loro ideologie, e la tendenza ad individuare alternative, sia al capitalismo che al socialismo reale di stampo sovietico.

Avvalendosi delle due categorie storico-politiche, Westad nel suo libro sostiene che gli USA e l’URSS sono stati indotti ad intervenire “nel Terzo Mondo sulla spinta delle ideologie intrinseche ai loro sistemi politici”; ciò perché le due superpotenze, ritenendosi eredi della modernità europea, hanno perseguito l’obiettivo di “cambiare il mondo al fine di dimostrare la validità universale delle rispettive ideologie”. Contribuendo a favorire la diffusione della sfera della libertà e della giustizia sociale, le due superpotenze agivano nel presupposto di assecondare le tendenze naturali della storia mondiale, dietro il “paravento” giustificatorio di tutelare la sicurezza propria e dei propri alleati; entrambe si sono sentite investite della “mission” specifica a favorire lo sviluppo del paesi del Terzo Mondo, ciascuna di esse ritenendosi indispensabile, nella considerazione che, senza il proprio coinvolgimento, la missione sarebbe stata inesorabilmente “banalizzata” dalle élite locali.

Per queste ragioni, le motivazioni dell’azione delle due superpotenze nei confronti del Terzo Mondo sono state diametralmente di segno opposto a quelle del colonialismo dell’inizio dell’era moderna; gli obiettivi di Washington e di Mosca non sono stati tanto lo sfruttamento e l’assoggettamento dei Paesi ex-coloniali, quanto l’esercizio su di essi di un loro “controllo politico”, al fine di favorirne la crescita e lo sviluppo. Benché durante lo svolgersi della Guerra Fredda, questa distinzione potesse essere percepita non veritiera, secondo Westad è divenuta invece importante ai fini della comprensione del significato storico della Guerra Fredda; se ciò non fosse avvenuto, sarebbe sfuggito ad ogni possibile comprensione il fatto che, mentre per l’imperialismo dell’era moderna la coscienza sociale dei paesi colonizzati è stata l’ultima delle preoccupazioni, la sua considerazione è stata invece un tratto distintivo della Guerra Fredda, fin dal suo inizio. Ne è prova il fatto, secondo Westad, che le critiche di USA e URSS per l’imperialismo europeo sono sempre state profondamente sincere, in quanto “intrecciate con le rispettive visioni ideologiche”.

Sebbene le due superpotenze siano rimaste contrarie, in linea di principio, ad ogni forma di colonialismo per tutto il tempo della Guerra Fredda, la tragedia di questa sta nel fatto che i metodi da esse utilizzati per imporre la propria visione della modernizzazione ai Paesi del Terzo Mondo sono stati del tutto simili a quelli cui hanno fatto ricorso le vecchie potenze coloniali; la tragedia è espressa, secondo Westad, dal fatto che i due progetti storici, in origine autenticamente anticoloniali, sono divenuti col passare del tempo parte di “modelli di dominio” di antica concezione, a causa dell’intensità del conflitto che ha visto contrapposte le due superpotenze e della “paura quasi apocalittica delle conseguenze di una vittoria dell’avversario”.

I costi economici diretti sostenuti da USA e URSS, tuttavia, non sono stati privi di conseguenze, soprattutto per l’Unione Sovietica, la quale, anche in relazione alle condizioni della sua situazione economica interna, che l’hanno resa progressivamente dipendente dalle fluttuazioni dei prezzi delle sue materie prime esportate, è andata incontro ad una disgregazione; un’evoluzione inevitabile, per effetto dell’inizio del processo di democratizzazione, che ha reso ancora più insostenibile nei confronti dei cittadini la debolezza dello squilibrato apparato produttivo realizzato. Sta di fatto che, con la disgregazione dell’URSS, gli USA sono divenuti l’ipersuperpotenza assoluta a livello mondiale. Ma, ironia della sorte, la “vittoria”, per implosione dell’URSS, ha prodotto effetti che non hanno tardato a ribaltarsi sulla potenza “vittoriosa”.

Cavalcando un facile trionfalismo, fondato sull’idea sbagliata che la potenza economico-militare acquisita implicasse il riconoscimento di un’intrinseca moralità alla propria azione, l’iperpotenza ha continuato la sua politica interventista in tutte le aree del Terzo Mondo, incluse molte di quelle un tempo alleate di Mosca, favorendo una trasformazione in senso capitalista dei loro sistemi sociali. Da un lato, tale interventismo ha aperto la strada alla globalizzazione dei mercati degli anni Novanta; dall’altro lato, esso ha reso possibile per tutti gli Stati, inclusa la maggior parte di quelli del Terzo Mondo, la partecipazione al processo di crescita del post Guerra Fredda.

Non solo, ma ha anche reso possibile a molti movimenti identitari presenti in alcuni di questi Stati l’aspirazione ad un’indipendenza del loro paese, affrancata dai modelli valoriali loro estranei, attraverso il ricupero dei valori culturali autoctoni. Sono gli insuccessi che i movimenti identitari hanno sperimentato, anche a causa del conservatorismo delle élite locali, ad averli spinti ad individuare nell’Occidente egemonizzato dall’iperpotenza americana il nemico contro cui lottare a qualunque costo, anche mediante il ricorso a strategie di guerra mai sperimentate nel passato. E’ questo, secondo Westad, l’aspetto più agghiacciante del modo in cui si è conclusa la Guerra Fredda.

Questa situazione, che rende precario e molto instabile l’equilibrio delle relazioni internazionali tra gli Stati, potrà essere superata?. Secondo Westad, il superamento è molto improbabile, anche se non impossibile; ciò perché l’ascesa dell’iperpotenza americana a leader dell’Occidente tende a conservarsi permanentemente. Per correggere questa posizione conservatrice, il futuro dipenderà dalla capacità dell’intero Occidente, ma soprattutto degli Stati europei, di concepire le proprie azioni tenendo nella debita considerazione ciò che la Guerra Fredda ha insegnato, ovvero che l’interventismo unilaterale non va a vantaggio di nessuno.

Senza essere dei pacifisti arrendevoli, occorre riconoscere la necessità che un governo responsabile delle relazioni internazionali in un mondo caratterizzato da un grande varietà di culture, l’unico modo di opporsi al terrore praticato dai movimenti identitari, non è la guerra, ma la ricerca di sempre maggiori forme di interazione nel rispetto della diversità; senza con ciò rinunciare ad agire, quando necessario, secondo modalità multilaterali, per prevenire le minacce originate dall’irrazionalità umana.

 

Immagine: Pablo Picasso- Massacro in Corea

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