Il vento e il presidente

19 Maggio 2010

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Marco Ligas

Il presidente della giunta regionale Cappellacci è indagato nell’ambito nell’inchiesta della procura di Roma sugli appalti dell’energia eolica. Non sappiamo se la cosa lo preoccupi. Forse si sente protetto come lo è il suo principale quando si trova in situazioni analoghe.
È certo che il suo nome ricorre in diverse intercettazioni telefoniche: non parla di questioni personali ma delle scelte politiche relative alle energie rinnovabili. Le intercettazioni non lo colgono in discussioni con galantuomini: scambia opinioni o riceve ordini da Denis Verdini, coordinatore del Pdl, e da Flavio Carboni, un personaggio che ha acquisito popolarità per essere un trafficante. Da questi colloqui si capisce come si è giunti alla nomina di un certo Ignazio Farris a direttore generale dell’azienda regionale per la protezione dell’ambiente (ARPAS) e come gli amici di Berlusconi abbiano sollecitato Cappellacci a rilasciare concessioni e licenze per l’istallazione di parchi eolici. Lo stesso Dell’Utri non sarebbe estraneo a questa vicenda; insomma una parte importante del comitato d’affari del Pdl aveva in programma il trasferimento in Sardegna con l’intenzione di dar vita ad attività speculative funzionali alla spartizione del denaro pubblico e al consolidamento di una rete di malaffare. L’aspetto grave di questa vicenda si riscontra soprattutto nella disponibilità che il presidente della giunta mostra nell’accettare i colloqui con Carboni per esaminarne le proposte. In questo atteggiamento si colgono sia la dipendenza del rappresentante delle istituzioni verso i poteri malavitosi sia la sua incapacità, forse per complicità, di sottrarsi a queste relazioni. Un presidente della regione che si comporta così non può portare nessuna argomentazione a discolpa del suo operato: dovrebbe dimettersi e nel caso non lo faccia spontaneamente l’opposizione dovrebbe chiederne l’allontanamento. Ma evidentemente questi non sono tempi in cui l’opposizione possa essere così eversiva.

***
Intanto si consuma lentamente la speranza che i lavoratori della Vinyls possano abbandonare i loro presidi di lotta per riprendere il lavoro. La Ramco, l’azienda araba che trattava l’acquisto della Vinyls, ha interrotto le trattative e non sembra intenzionata a riprenderle. Una delle ragioni principali di questa scelta sta nel rifiuto dell’Eni di cedere alcuni asset ritenuti indispensabili per il completamento del ciclo produttivo: una salina in Calabria e il parco depositi di Assemini. La Ramco ha ritenuto inoltre sproporzionata la richiesta dei commissari per la vendita dei beni della Vinyls.
Non crediamo che la Ramco avesse deciso l’acquisto della Vinyls perché spinta da un gesto di generosità. Come tante aziende che l’hanno preceduta, sicuramente avrà considerato conveniente l’occasione che si presentava nel rilevare l’ex azienda di Sartor.
Ma ciò che colpisce in questa vicenda è il cinismo con cui il governo e l’Eni hanno condotto le trattative con l’azienda del Qatar. Con sfrontatezza hanno garantito ai lavoratori il massimo impegno perché la vertenza si chiudesse favorevolmente e nello stesso tempo sono riusciti a conseguire l’unico risultato che avrebbero dovuto evitare: il ritiro della Ramco dalla trattativa proprio nel momento in cui doveva concludersi l’accordo. Nel corso della trattativa Eni e governo si sono smarcati vicendevolmente come se fossero due entità politicamente separate, occultando il fatto che lo Stato italiano è l’azionista di maggioranza relativa dell’Eni, quindi con possibilità di intervenire nelle scelte dell’azienda.
La scelta fatta dal governo, tramite l’Eni, non solo ha inferto un colpo durissimo ai lavoratori di Porto Torres, forse ha anche segnato definitivamente il futuro della chimica in Italia. Come hanno ribadito i lavoratori della Vinyls si compie questa scelta scellerata proprio mentre si salvano le attività finanziarie di tanti speculatori: l’economia reale deve cedere il passo al malaffare.
Intanto, mentre avviene tutto ciò, il nostro governatore tratta con i faccendieri.

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