Informare/deformare

16 Gennaio 2010

indìformazione

Giulio Angioni

Conosco poco il giornalismo, la sua storia, le vicende importanti della comunicazione pubblica moderna e contemporanea, ma come tutti ne vivo e ne ho vissuto a lungo il bene e il male. Quindi non posso usare in questo caso lo sguardo di chi può capire il particolare attraverso una conoscenza più generale e riflessa. Il particolare che vorrei capire meglio qui e ora sono le vicende dell’informazione giornalistica, locale, nazionale e internazionale, che di problemi ne pone ogni giorno su carta e per via telematica.  Tutto questo mi fa riflettere ancora su certe mie personali esperienze di utente dell’informazione e anche di occasionale emittente, come pubblicista o ospite di luoghi televisivi. Come fruitore d’informazione ho fatto molto spesso anch’io la sgradevole esperienza di trovare troppo inadeguata l’informazione su cose conosciute direttamente, che è un’esperienza su cui forse gli addetti ai lavori e gli studiosi non riflettono abbastanza: queste occasioni imbarazzanti di constatare quanto l’informazione professionale dei media manipoli, stravolga e reinventi ciò che abbiamo magari vissuto in prima persona. A volte lo choc è letale per la fiducia nella fedeltà, nell’utilità stessa dei media che informano in modo che ci risulta così inadeguato, e all’occorrenza così lontano dalle nostre conoscenze dirette. Per qualche periodo della mia vita, breve per fortuna ma molto istruttivo da questo punto di vista, mi è capitato di fare più intensamente e a lungo l’esperienza di constatare che cosa diventa nell’informazione ciò a cui io stesso partecipo o che a volte io stesso faccio più o meno pubblicamente. A parte il divertimento, fino a un certo punto, di scoprire sul giornale, che so, che sei stato contemporaneamente a Sassari e a Villasimius facendo cose che non hai fatto in nessuno dei due luoghi, per me spesso quest’esperienza è stata vertiginosa, da perdere davvero l’equilibrio e la presa sul reale. Fino a fare la non gradevole constatazione che per sapere che cosa hai fatto veramente (nel senso che fa più opinione e ha più credito) devi saperlo dal giornale o dalla televisione: che sei stato là e hai detto e fatto questo e quello, a volte del tutto falso, che è poi inutile e impossibile negare o ridimensionare, persino con i tuoi, persino con tua moglie. E che insomma devi vivere e parlare come se davvero le cose ti fossero andate così, pena il passare per bugiardo. Insomma, l’esperienza sgradevole ma normale che si fa nella vita quotidiana di essere veramente quello che l’opinione comune dice e sa che tu sei e non quello che tu tsai e credi essere, moltiplicata fino a una sensazione di stordimento, di perdita di identità, di aggressione, e quindi di sfiducia e rigetto della funzione informatrice dei media, che ti si riduce a frottola, a pettegolezzo o maldicenza ampliati. Di cui però devi tenere conto, perché i media sono molto più potenti di ogni singolo nel formare opinioni, anche quando a volte ti riguardano e che a volte stravolgono e ti stravolgono. Perciò capisco a volte il vezzo dei politici di negare di avere detto o fatto ciò che gli si attribuisce, tanto è spesso stravolto, tanto è bisognoso di smentita, a parte qualcuno che ci marcia. Insomma, ci capita a tutti, a volte, leggendo sul giornale di cose che ci riguardano, di fare come mia zia che ogni volta che si vedeva in fotografia protestava che quella non era lei. Credo che se gli addetti all’informazione pubblica coi mezzi potenti di oggi riflettessero di più su fenomeni come questo, farebbero meglio il loro lavoro, ma credo che è bene che ci riflettiamo di più anche noialtri come utenti dell’informazione mediatica di massa, da cui molto dipende la nostra vita, tanto che a volte ne derivano aspetti importanti della nostra stessa identità, persino dell’identità personale, o, come si dice oggi, della nostra immagine, ai nostri stessi occhi. E comunque, fa venire i brividi il pensare che cosa può fare un qualunque malintenzionato di questo capire che la “verità” è solo, o soprattutto, il credito che si guadagna un fatto, un detto, una notizia, una calunnia, una balla. Certo, sono cose note, studiate, soprattutto usate in ogni tempo e luogo in ogni forma di propaganda, di pubblicità, di manipolazione dell’opinione pubblica, di desinformatzia, di censura, di vanteria. Ma constatarlo sulla propria pelle fa un effetto diverso.  E, sempre per esempio, che dire di questo essere riusciti a far diventare senso comune sentito e risentito, “verità storica” che l’Italia dopo Mussolini e la guerra è stata governata dai comunisti, anzi da una dittatura comunista stalinista, dalla quale, dopo la caduta del Muro di Berlino, ci ha liberato e ci sta ancora liberando Silvio Berlusconi. E prova un po’ a raddrizzarla questa cosa, se anche i vecchi che l’hanno vissuta quell’epoca finita ieri la vedono in troppi anche loro in questo modo, persino quando quei decenni se li sono sofferti da comunisti brutti, sporchi, cattivi, invidiosi, mangiapreti e così via dimenticando.

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